Un indagine D-La Repubblica delle Donne traccia l'identikit del nuovo consumatore. Informarsi? Sì certo, ma mi raccomando facciamolo bene...per tutto!

Consumatori sempre più “etici” alla ricerca di prodotti che strizzano l’occhio alla sostenibilità nel senso più esteso possibile, ma anche “greenwashing” quel fenomeno che potrebbe “ingannare” consumatori attenti sì, ma non abbastanza.

Partendo da un’analisi pubblicata su “D-La Repubblica delle Donne” e rilanciata da Wine News con cui si scatta la fotografia dei nuovi consumatori, soprattutto della generazione Z, (indagine basata sul Rapporto Coop 2021, un’analisi di Life Gate e uno studio di Futerra), introduciamo anche un argomento non nuovo, ma di cui non ci siamo mai trovati a parlare nello specifico. Non parliamo dunque solo di vino, ma di tutto e in quel tutto, ovviamente il vino è una parte importante dato che, lo dicono i numeri, è e resta, nonostante la pandemia, un vero e proprio traino per l’economia italiana. Ecco perché la sua immagine va senza dubbio tutelata.

 

I consumatori fanno scelte sempre più “etiche”. Possono essere climatariani, reducetariani, plastic-free…insomma la sostenibilità per loro ha un senso!

Partiamo allora dall’indagine rilanciata da Wine News. Se ti dovessi definire, come consumatore, ti definiresti etico? Beh se non lo sei sei ormai tra i “pochi” dato che, come rileva l’indagine di D-La Repubblica delle Donne, la gran parte dei consumatori sembra ormai essere attentissima a cosa porta in tavola e non solo. Lo definiscono “eticalista” e dentro questo grande contenitore ci sono i climatariani e i reducetariani. Nuovi consumatori che a loro volta possono essere “plastic-free” e sostenibili anche nei confronti del loro portafogli.

Il consumatore climatariano e quelle reducetariano

Il punto base è questo: il consumatore “eticalista” vuol sapere tutta la verità su ciò che porta in tavola. Ed è proprio qui che si inserisce il discorso del Greenwashing di cui parleremo più avanti. Intanto sappiamo che oggi attenzione ce n’è e tanta. Le etichette? Si leggono. Le scelte, insomma, si fanno su criteri precisi. Va da sè che il climatariano è quel consumatore che le sue scelte le orienta verso quei prodotti che identifica come capaci di contribuire alla lotta ai cambiamenti climatici, sentendosi quindi parte di questo processo. C’è poi il reducetariano. Se non riuscite a decifrare è più semplice di quanto possiate pensare: è il consumatore che tenta di ridurre il consumo mondiale di carne, ma anche l’inquinamento tanto che in giro potete vederlo molto più facilmente su bici, monopattini e auto elettriche che su mezzi ritenuti inquinanti.

I consumatori plastic free e quelli con la sostenibilità…nel portafogli

Plastic-free non dobbiamo neanche spiegarlo. Possiamo solo aggiungere che è quel consumatore che sceglie cibi sani e made in Italy e che spesso ha avviato questo percorso di consapevolezza proprio a causa della pandemia. Quando parliamo di sostenibilità nel portafogli non fate confusione: non è quello che vuole spendere meno, ma il contrario. E’ il consumatore che, per la qualità, e per aver certezza di portare in tavola i cosiddetti “cibi etici” è disposto a spendere di più. Un aspetto questo che interessa molto il vino come ci è capitato di parlare in passato. Altro riscontro che troviamo il dove i consumatori cercano le informazioni: via web, social e app!

I Brick e i Gold e i Green

Secondo Futerra ci sono quindi i “Brick” cioè i consumatori cui non interessano i problemi che ci circondano perché troppo presi dai loro. Se invece siete tra quelli che pensano alla sostenibilità come un vantaggio personale allora potrete definirvi “Gold“. Infine, se a cuore avete il pianeta e tutti gli altri esseri viventi, beh, va da sé che siete orgogliosamente “Green“. Tutti hanno una cosa in comune: pensano che i brand possono davvero dare il loro contribuito e assumersi la responsabilità di portare avanzi azioni che fanno bene al pianeta. Ed è in quella direzione che si muovono loro (i consumatori) nel decidere quali prodotti acquistare.

Molto dettagliato l’articolo di WineNews che vi invitiamo a leggere perdendo un po’ di tempo e giocando con voi stesso per capire quale consumatore siete, ma questa indagine ci serve da spunto per introdurre il secondo tema di questo nostro articolo: il greenwashing. La prima domanda è…sapete cos’è? E se sì, come difendervi da un fenomeno che si diffonde sempre di più?

 

Bene la voglia di sapere tutta la verità, ma bisogna saperla riconoscere: attenzione al fenomeno del Greenwashing!

Non lasciamoci andare a facili allarmismi. E’ un problema, un fenomeno in crescita, questo sì, ma non si faccia l’errore di pensare “ecco visto…lo sapevo”. La fiducia è un elemento imprescindibile per la nostra vita e lo è anche nei confronti delle aziende, così come verso le istituzioni. Lasciamo a casa i nostri pregiudizi e cerchiamo solo di analizzarlo il “Greenwashing” così da avere qualche arma in più per difenderci.

Parlando di vino crediamo si possa dire che nel settore è forse meno diffuso, grazie alla grande attenzione dei produttori e di tutta la categoria, anche quella politica che ha permesso all’Italia di essere il primo Paese al mondo ad avere optato per uno standard pubblico di sostenibilità per il settore enologico grazie al via libera arrivato dal Ministero delle Politiche Agricole al decreto Sostenibilità con cui si costituisce il Comitato della Sostenibilità.

E altre iniziative di attenzione alla sostenibilità sono la crescente attenzione all’agricoltura rigenerativa, o ancora la nascita della Sustainable Wine Roundtable.

Detto ciò il Greenwashing sta per “verde” e “lavare” in senso letterale. Tradotto è “darsi una patina di credibilità ambientale” ovvero mostrare un “ecologismo di facciata”. Insomma è quel fenomeno per cui le aziende si dicono eco-friendly ma poi…non lo sono poi tanto. Fenomeno moderno…sì, ma non troppo. La sua origine si fa risalire al 1986 per voce dell’ambientalista americano Jat Westerveld che lo utilizzò per definire la pratica delle catene alberghiere che promuovevano la sostenibilità ambientale su cui puntavano per il lavaggio della biancheria, nascondendo invece un mero interesse economico. Ora che sappiamo cos’è il Greenwashing…possiamo andare avanti.

 

Possiamo difenderci dal Greenwashing? Con un po’ più di attenzione sì e anche gli addetti ai lavori possono fare (e fanno) molto per darci certezze!

Utilizzando un proverbio potremmo definire il Greenwashing quel fenomeno per cui “le chiacchiere se le porta il vento”. Il problema è che, però, se quelle chiacchiere non si vanno a verificare si potrebbe pensare di comprare qualcosa di davvero ecosostenibile, senza sapere che invece la mission di chi ce la vende come tale, è tutt’altra.

Sono tanti i big del commercio che si sono ritrovati condannati per aver venduto un’immagine non reale della loro sostenibilità, ma a quanto pare l’esperienza insegna poco. Se il greenwashing si diffonde, tanto vale allora sapere come difendersi e per quanto riguarda il vino, ringraziamo tutti i protagonisti del settore che, con regole sempre più rigide e attenzione alle certificazioni cercano, nel valorizzare l’eticamente corretto, anche di evitare di essere travolti da fenomeni come questo. In questo senso importantissime le battaglie portate avanti contro il glifosfato in vigna, aggiungeremmo!

Il consiglio base è uno e uno soltanto: ciò che state comprando è tracciabile? Ci si dice bene come nasce il prodotto, dove, che giri fa prima di arrivare nel nostro carrello? Ecco…un consumatore “eticalista” a questo deve prestare tantissima attenzione.

 

Non facciamoci ‘persuadere’ senza approfondire. Impariamo a guardare la pubblicità con occhio critico e a leggere bene le etichette!

Abbiamo trovato quindi una mini guida su Green-Planner che ci dice come riconoscere le aziende che praticano il Greenwashing e, di contro, quelle realmente eco-friendly.

  • Punto primo: non facciamoci ingannare. La pubblicità può dirci tutto e il contrario di tutto. Ci affascina, ci colpisce, gioca con la nostra percezione. Sta a noi capire se quello che ci dicono è vero (ancor più se davvero è la verità che vogliamo). Per difenderci guardiamo meglio: cioè cerchiamo di capire se il prodotto che ci stanno vendendo come ecosostenibile viene presentato così “solo” per alcune caratteristiche nel suo complesso. Se così fosse allora forse siamo di fronte ad un caso di Greenwashing.
  • Se ci fornisce numeri (e sì i numeri ci danno sicurezza), ma non ci sono informazioni di supporto accessibili o certificate da terze parti, cioè in pratica se non si sa bene da dove arrivano...allora punto due: attenzione!
  • Punto tre: indicazioni vaghe e generiche sul prodotto? Potrebbe essere che ci si cerchi di far percepire un significato non reale…insomma…potremmo fraintendere, quindi al vago diciamo “no”!
  • Un fenomeno orribile, ma sempre diffusissimo: quello delle etichette false e le certificazioni contraffatte. Un fenomeno da cui, da soli, è davvero difficile difendersi. Qui, in gioco, devono entrare anche categorie ed enti preposti a darci una mano.
  • Altro possibile “inganno” quello per cui di un prodotto ci si dice cose vere, ma senza entrare nel merito degli effetti ambientali che lo stesso può avere!

Avete preso appunti vero? Lo sappiamo non è semplice, ma con un occhio un po’ critico la nostra parte possiamo farla davvero tutti! E comunque vi possiamo tranquillizzare. Essendo considerata pubblicità ingannevole, quella del Greenwashing è una realtà controllata dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.

 

Contro il Greenwashing tracciabilità e certificazioni sono fondamentali. Se avete ancora dubbi sappiate che la Blockchain offre una enorme garanzia!

Da quanto detto fin qui risulta quindi quanto mai rilevante il discorso delle certificazioni. Quelle serie, quelle che esistono quelle che, tra l’altro, fanno dell’Italia del vino un esempio quantomeno in Europa. Un’etichetta ingannevole, ripetiamolo, può danneggiare tutti: consumatori e ambiente. Saperlo porta un danno “etico” a chi l’ha diffusa. 

Trasparenza e tracciabilità, dunque, sono elementi imprescindibili per tutti i settori, vino incluso. E nella tracciabilità un ruolo rilevante lo riveste proprio la Blockchain, realtà cui Enolò strizza l’occhio da tempo. 

 

Ecco i numeri di un fenomeno in crescita, ma non lasciamoci andare a facili allarmismi. Le aziende serie ci sono…e sanno come farsi riconoscere!

Diamo allora un po’ di numeri del fenomeno del Greenwashing riportano i risultati di un’indagine condotta dall’Unione Europea secondo cui l’interesse degli italiani verso l’ambiente e la sostenibilità è cresciuto parecchi negli ultimi 10 anni. Un’indagine Swg di marzo ci dice che il 77% degli intervistati ha detto di essere attento alle problematiche legate alla sostenibilità con un valore, per i laureati, che raggiunge l’84%.

Per il 54%, un dato davvero stupefacente, il miglioramento delle condizioni ambientali è più importante delle crescita dell’occupazione.

Guardando alle aziende (dei più disparati settori) finiti nell’indagine Ue, quello che è emerso non è di certo “rassicurante”. Se da una parte ha sottolineato il commissario alla Giustizia Ue Didier Reynerds, molti si comportano bene, ci sono tanti che della correttezza non fanno certo una priorità. Sui 344 siti web analizzati si è scoperto che più della metà delle aziende non ha fornito informazioni sufficienti per permettere ai consumatori di verificare la veridicità delle affermazioni (37%). Si riscontravano quindi affermazioni vaghe e generiche per dare la sensazione che i proprio prodotti non avessero effetto sull’ambiente con il 59% delle aziende che non ha fornito prove facilmente accessibili per sostenere quanto affermavano. Nel 42% dei casi totali, dunque, le informazioni apparivano “false o ingannevoli” tanto da essere potenzialmente equiparabili alla pratica commerciale sleale prevista dalla stessa Unione.

Insomma ci sono le fake news che ci possono anche strappare un sorriso (oltre che portarci un danno) e le fake news legate al greenwashing che possono avere un peso ben più grande. Informiamoci e facciamolo bene. Guardiamo con attenzione le certificazioni, leggiamo le etichette e se abbiamo dubbi rivolgiamoci a chi, risposte serie, può darcele.