Si diffonde sempre di più e negli Stati Uniti c'è la prima azienda certificata al mondo. Ma cosa si intende con questa pratica? Scopriamolo insieme

Avete mai sentito parlare di agricoltura rigenerativa? Noi lo facciamo oggi, approfittando della 51esima Giornata Internazionale della Terra…il nostro pianeta! Un pianeta che merita rispetto perché senza, anche la nostra esistenza avrebbe i giorni contati.

Quale occasione migliore per parlare di quella che oggi è un trend, ma che chi già da anni la sostiene, ritiene come la chiave di volta anche per il settore enologico. Una chiave di volta che deve tradursi in un vero e convinto cambio culturale e che, per chi l’agricoltura rigenerativa la pratica, è la prassi che più ci riavvicina al rapporto con la natura e ci permette di affrontare concretamente la lotta ai cambiamenti climatici.

 

Agricoltura rigenerativa: cos’è, su cosa si fonda e perché chi la pratica la ritiene vantaggiosa…in tutti i sensi!

Cerchiamo di definire l’espressione “agricoltura rigenerativa”. Si tratta di un sistema basato sull’imitazione della natura grazie all’uso di una vasta gamma di piante che immagazzinano e riciclano carbonio, aumentando tra l’altro la diversità e l’attività microbica del suolo. Un antitesi alla modernità? No. Si parla di commistione tra “vecchio” e “nuovo” attraverso una cura del terreno che fa leva proprio sulla naturalità e che, secondo il ricercatore Richard Leask è capace di “rigenerare” appunto i terreni devastati dalle colture intensive iniziate nel dopoguerra sotto l’egida della massimizzazione della produzione, aumentando non solo la qualità, ma anche garantendo alta produttività.

Leask è stato a capo di  uno studio sull’argomento riportato da Wine Australia. Uno dei tanti di settore. Tante università, infatti, si sono occupate e si occupano di agricoltura rigenerativa e secondo le rilevazioni fin qui condotte, è emerso che questa pratica se applicata ovunque, potrebbe far fronte al 40% delle emissioni di Co2 mondiali, consentirebbe la riforestazione e anche il passaggio a fonti energetiche alternative. Una pratica di coltivazione che per il sociologo Jeremy Rifkin ha a che fare con l’empatia: quella che dobbiamo avere verso ogni forma di vita che ci circonda perché è dalla convivenza con l’ambiente, dal rispetto che abbiamo per questo, che possiamo trarre il nostro massimo vantaggio. Dobbiamo in sostanza sentirci parte dell’ambiente, non suoi padroni e decisori.

 

In sintesi…

Entrando nello specifico lo scopo di questa pratica di coltivazione è quello di riportare la terra alla piena vitalità ed efficienza. Per farlo bisogna agire sui minerali e sulla sostanza organica e microbiologica della terra, possibile combinando pratiche agricole biologiche per la nutrizione delle piante e la difesa delle colture. L’obiettivo è dunque ridare alla terra fertilità perché possa essere “casa” di piante sane e resistenti: viti incluse. Tradotto: meno mezzi meccanici e preparati biologici per fertilizzare così da diminuire l’erosione dei terreni, la purezza dell’acqua e delle falde oltre che abbattere l’uso dei pesticidi. Il tutto sulla scia della permacultura. Sapete cos’é? Ve lo spieghiamo.

 

La permacultura…

Il termine “permacultura” è stato coniato a metà degli anni ’70 da Bill Mollison e David Holmgren per identificare un sistema integrato ed evolutivo di specie vegetali e animali perenne o auto-perpetuante, utile all’uomo. Un riequilibrio dell’ambiente, per cui la permacultura è quella progettazione e conservazione consapevole ed etica di ecosistemi produttivi che riproducano quelli naturali. Un sistema che si applica alle strategie economiche e alle strutture sociali e che si può definire una sintesi tra ecologia, geografia, antropologia, sociologia e progettazione.

 

Agricoltura rigenerativa…in Francia c’è chi punta sulle vigne a piede franco, ma il trend conquista gli Usa dove la pratica sta diventando un vero e proprio must!

Tra i Paesi dove l’agricoltura rigenerativa sta prendendo più piede ci sono certamente Francia e Stati Uniti. Nel primo caso, in realtà, parliamo di cosiddette viti a piede franco che crescono su terreno sabbiosi allagati in inverno. Cosa si intende per viti a piede franco? Bella domanda. Sono quelle che in zone specifiche e isolate fatte di terreni sabbiosi o accarezzate dal clima d’altura, sono riuscite a superare indenni l’attacco della temutissima Fillossera. Si tratta di viti che non sono mai state innestate con quelle americane, per farla breve. Quelle da cui arrivò il temutissimo parassita.

Tanto per soddisfare la vostra curiosità vi diciamo che sì, sono sempre più rare, ma in Italia ci sono ancora viti a piede franco ad esempio nelle aree di Ravenna e Forlì, in Sardegna, in Sicilia, in Valle d’Aosta, in Piemonte, in Campania e in Veneto. Nel 2005, particolarità, l’Alto Tronto ha recuperato una cultivar di Pecorino. Se poi parliamo di Paesi dove le viti si coltivano esclusivamente a piede franco è d’obbligo citare Cile e Canarie.

Ma veniamo a quella che si definisce propriamente agricoltura rigenerativa agli Stati Uniti e nello specifico alla Napa Valley Californiana, a Paso Robles (località della California anche questa) e in Oregon. Qui l’agricoltura rigenerativa è una cosa seria come testimonia un recente articolo apparso su Vine Pair in cui si sostiene, apertamente, che da questa che deve passare il futuro del vino…se un futuro lo vogliamo. Tre le realtà di cui ci si racconta e noi oggi, le raccontiamo a voi.

 

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A Napa…

Gamble Family Vineyards, a Napa, Tron Vineyards in Oregon e Tablas Creek Vineyard a Paso Robles sono tre realtà che hanno scelto l’agricoltura rigenerativa. Tanto che quest’ultima, a febbraio, è diventata la prima azienda vinicola con certificazione biologica rigenerativa al mondo.

Ma andiamo con ordine. Per Tom Gamble, leggiamo su Vine Pair, “quello che c’è sotto i tronchi e i tralicci è tanto importante quanto quello che c’è sopra“. Per lui scegliere questa pratica vuol dire più di una cosa. Non solo miglior ritenzione idrica del suolo, piante più resistenti e maggiore biodiversità nei campi. C’è anche un vantaggio sociale: quello di contribuire alla lotta al cambiamento climatico dato che il suolo sano e attivo su cui crescono piante longeve, spiega, consente di limitare le emissioni di Co2. 

Gamble ritiene l’agricoltura rigenerativa è un “processo additivo”. Un processo che gli ha permesso di preservare le aree naturali intorno alla sua fattoria e diventare un habitat in cui gli insetti “utili” possono contribuire a combattere quelli “cattivi”. “Un cucchiaio di terra ha tanti microbi quanti sono gli esseri umani sulla terra”, dice Gamble. “Senza la giusta alimentazione, quei microbi giacciono spesso dormienti incapaci di nutrirsi e riprodursi. Quando sono adeguatamente nutriti – sostiene -, prendono vita e svolgono un ruolo essenziale nel trasferire il nutrimento delle coltivazioni di Cabernet Sauvignon, Sauvignon Blanc, Petite Sirah e altre viti”.

 

In Oregon…

Spostiamoci in Oregon dove Craig Camp ha assunto la carica di direttore generale di Troon Vineyard nel 2016. Una proprietà per decenni coltivata convenzionalmente. Alle piante sembravano mancare molti dei nutrienti base, ma quando ha fatto testate il terreno Camp ha scoperto che c’erano, ma erano appunto…dormienti! Perché? Non erano sufficientemente nutrite ovviamente.

Di qui la scelta biodinamica, ma subito dopo l’interesse verso l’agricoltura rigenerativa che, è convinto, è “la prossima evoluzione” del settore. Per lui si tratta di “restituire più di quanto prendi e fare un investimento a lungo termine sul tuo terreno”.

 

A Paso Robles…

E sulla stessa scia si muove Jason Haas il primo al mondo ad ottenere, come abbiamo detto, la certificazione biologica rigenerativa nella sua Tablas Creek Vineyard di Paso Robles, in California. Un’azienda partita proprio come quella di Haas dalla scelta biodinamica, ma che si è poi spostata verso quest’altra pratica dato che, lui stesso afferma, alcuni aspetti della biodinamica non lo convincevano. Come esempio porta quello delle corna di mucca sepolte. I nutrienti erano già nella terra, da qui è partita la suo rivoluzione che però, sottolinea, è stata avviata perché alla ricerca di principi scientifici fondati.

Hass è stato attratto quindi dalla voglia di far sì che il benessere fosse garantito agli animali tanto quanto l’equità ai lavoratori. Per lui agricoltura rigenerativa vuol dire quindi non solo ambiente, tutela dell’ambiente e lotta ai cambiamenti climatici, ma anche una vita a misura d’uomo per i lavoratori cui vanno garantiti salari e condizioni di lavoro eque. Insomma, una sostenibilità a 360 gradi.

 

Ma con l’Agricoltura rigenerativa che vino si ottiene? Chi la pratica è certo: migliore!

Resta a questo punto una domanda cui dare risposta. E il gusto del vino? Chi pratica l’agricoltura rigenerativa ne è convinto: migliora! Per Haas, ad esempio, è così che si ottengono vini capaci realmente di enfatizzare il terroir e, addirittura, di dare ai vini “il sapore” del luogo.

E migliori i vini lo sono anche per Camp. Per lui ogni pianta d’uva ha sistemi e ritmi naturali che deve seguire. “Se permetti a quel sistema naturale di funzionare – ha dichiarato a Vine Pair – otterrai una pianta più sana. E una pianta più sana produrrà uve più sane. Maturerà in modo più efficiente con un equilibrio naturale di acido e zucchero. Vedi la differenza. ho visto la chimica cambiare drasticamente nelle nostre vecchie vigne e uve”.

E anche Gamble segue la scia. “C’è freschezza e vivacità nei vini che nascono da terreni reintegrati – spiega alla rivista –, contro stanchezza e mancanza di freschezza di altri”.

D’altra parte lo slogan della Regenerative Orgnica Alliance, quella che rilascia la certificazione, è chiara: Farm like the world dependence.

Fascino l’agricoltura rigenerativa, c’è da ammetterlo, ne ha. Voi cosa ne pensate?