I dati del primo semestre 2021 lo confermano: le esigenze dettate dal lockdown non erano 'emergenziali'. Il cambiamento è concreto, duraturo e foriero di opportunità, purché ci si formi nel modo giusto e si impari a comunicare con 'semplicità' in un mercato sempre più globale e complesso

Digitale e multicanalità nel mondo del vino sono un nuovo modello di business. Lo dicono i numeri del primo semestre pubblicato su Horeca News: il cambiamento non è stato temporaneo. Quella della pandemia è stata sì un’accelerazione, ma non dettata dal semplice fatto di affrontarla. E’ stata piuttosto una risposta ad una nuova esigenza che, nel tempo, si sta radicando come una vera e propria realtà.

Cambiano le cose dunque. E’ così per chi fa parte della filiera, ma anche per i consumatori. Si potrebbe dire che la pandemia è stata come una sorta di spartiacque tra il passato e un nuovo modello di business dell’intero settore che ha spinto molti, e continua a farlo, ad acquisire competenze che, oggi, devono essere di tutti per restare competitivi sul mercato.

Dai social media, ai webinar, passando per e-commerce, shop online, a cambiare è stato anche il linguaggio. La parola d’ordine, oggi è “semplicità” a fronte di un universo sempre più complesso, ma anche sempre più accessibile.

 

La multicanalità e il digitale per il mondo del vino hanno significato l’eliminazione delle barriere geografiche. E’ tempo di ‘coltivare’ per puntare su un buon ‘raccolto’

Per capire quanto sia cambiato l’approccio al mondo del vino partiamo dai consumatori. I dati parlano chiaro: più del 20% degli europei ha comprato nel 2020 vino in un Paese diverso da quello di residenza. Quello che ci dice il digitale, dunque, è che le barriere sono cadute, le distanze si sono accorciate e oggi più che mai bisogna aprirsi al dialogo con realtà nuove e diverse. E’ così che ci si può inserire in nuove e vivissime fette di mercato.

Non solo. L’opportunità è di tutti. E’ un po’ come una nuova conquista del Far West, se possiamo permetterci di fare un paragone. Molto è ancora da capire, tanto da definire, ma una cosa è certa: non importa quanto grande sia la propria azienda, anche i più piccoli possono trovare nuovi terreni da “coltivare” e far sentire la loro voce in un mondo in piena trasformazione.

 

Essere ‘chiusi’ ci ha resi più ‘aperti’

Se c’è stato un effetto positivo nel lockdown, emerge dai dati pubblicati, è che la curiosità ha avuto stimoli nuovi. Sarà stato l’effetto “chiusura” a spingere a cercare nuove “aperture”, ma sta di fatto che, come accennato, molti, tra Smartphone e Pc, si sono dilettati nella scoperta di vini nuovi, anche stranieri. La voglia di conoscenza è cresciuta e a conquistare sono state le storie, la geografia delle aree di produzione e le tipologie dei vitigni.

Ecco che allora diventa importante rispondere nel modo giusto. E farlo vuol dire sapersi muovere nel mondo della comunicazione digitale. Il linguaggio andava e va semplificato e questo è un tema che abbiamo già trattato tempo fa. Arrivano così gli influencer, gli storyteller, i brand ambassador. Insomma ci vuole qualcuno che sappia veicolare i messaggi delle aziende. Messaggi che oggi più che mai, e questo crediamo di poterlo dire senza paura di sbagliare, si muovono nell’ottica della sostenibilità. Ecco perché le storie attraggono. Sapere cosa si consuma, oggi, è diventato importante. Al di là dei brand, al di là di quanto si sia “famosi”.

La multicanalità, in questo scenario, diventa dunque prioritaria. O meglio lo diventa il sapersi muovere in modo trasversale, comunicare in modo trasversale. Paradossalmente il digitale che è così globale, diventa intimo e personale. Essere diretti è un mantra, eliminare il più possibile intermediazioni anche.

 

Multicanalità ha significato crescita esponenziale dell’e-commerce e il fenomeno non si arresta. Per il B2B l’opportunità si chiama Platform Economy, è ora di capirlo!

L’e-commerce ha subito fatto registrare una forte crescita durante il lockdown. Questo non è un segreto. Quello che ci si chiedeva è se, questo boom, avrebbe retto nel tempo. E così è stato. Tutti quelli che ci hanno creduto, lo dicono i numeri, hanno visto crescere il fatturato o, nella peggiore delle ipotesi, hanno contenuto le perdite. Scegliere la multicanalità, insomma, ha premiato.

I dati dell’Osservatorio Digital Fmcg di Netcomm ci dicono chenel primo semestre del 2021 i numeri dell’e-commerce sono cresciuti del 37,5% dopo un 2020 in cui hanno raggiunto i 2,9 miliardi di euro (l’84% in più rispetto al 2019). Va detto però, secondo i dati Nomisma Wine Monitor, ad aver la meglio sono stati i big dell’e-commerce e la Gdo, con i prodotti premium che hanno conquistato sempre più palati.

E i produttori medio-piccoli che fanno riferimento soprattutto all’Horeca? Per loro questo cambio repentino non è stato poi così positivo. Per loro i cali di fatturato hanno toccato anche il 50%.

 

Quel passo da compiere che si chiama Platform Economy

A questo punto ci siamo chiesti non tanto il perché (è evidente), ma come mai non si sia travato un canale diverso anche per loro. E a questo proposito crediamo che se c’è un passo che va compiuto, ma che ancora stenta ad essere percorso, è quello di capire che se nel B2C è vero che esiste l’e-commerce, è altrettanto vero che esiste la cosiddetta Platoform Economy, quella in cui noi di Enolò abbiamo sempre creduto. Se preferite potete chiamarla Marketplace Economy. E’ quel volto della rivoluzione digitale che riguarda il B2B. Grazie ad essa, lo dicono le esperienze e gli studi di settore, si abbattono i costi, si migliora la visibilità e si ampliano i mercati. Ne parlavamo già nel 2017!!!

 

In un universo che cambia, anche le professionalità devono adeguarsi e, con loro, il linguaggio che deve essere semplice e diretto!

Cambiano i mercati, cambiano i linguaggi e, di conseguenza, cambiano le professioni. In questo cado diremmo, ancora una volta, che si ‘ampliano’, nel senso di avere il bisogno di acquisire nuove conoscenze.

Ancora una volta la pandemia, paradossalmente, ci è venuta incontro. Per i professionisti del settore, parliamo di sommelier e assaggiatori, è stata una sfida ardua. Loro, che l’eccellenza enologica dei nostri vini sono chiamati a raccontarla, hanno dovuto trovare nuovi modi di farlo. Hanno dovuto formarsi in modo diverso, grazie al digitale e hanno dovuto comunicare in modo altrettanto diverso modificando, prima di tutto, il loro linguaggio. E abbandonare i tecnicismi è stato così necessario da rivelarsi fondamentale per capire quanto ampio è il raggio di azione di chi, di vino, ha diritto di parlare.

Durante la pandemia, come ricorda Horeca News, sono nate collaborazioni con le Università, si sono create nuove opportunità di formazione con altri Paesi. Insomma, l’offerta si è ampliata. Ciò che doveva essere una soluzione emergenziale si è dimostrata così vincente che ora è parte integrante del modo in cui viene concepita la formazione dei professionisti del vino.

 

Nuovi modi di fare cultura enologica

E chi già lo era, ha trovato nell’online nuove chiavi per avvicinare consumatori, per diffondere cultura, per condividere, per far conoscere. Si sono organizzate degustazioni online, non è di certo un segreto. Sono nati kit di degustazione a domicilio che, ancora una volta, erano pensati con linguaggi semplici, diretti e coinvolgenti. Tutti, insomma, abbiamo potuto apprendere e possiamo continuare a farlo. Il fenomeno non si arresta.

Se pensiamo a quando ci siamo trovati a parlare di degustazione virtuale, ci scappa un piccolo sorriso!

Che dire? Se qualcuno ha pensato che fosse in atto una rivoluzione è ora che prenda atto che questa…è già avvenuta e che ora bisogna adeguarsi ad un nuovo modo di comunicare, vendere e raccontare il vino!