Uno studio psicologico presentato alla Valpolicella Annual Conference lo conferma: i più i termini non li comprendono. Abbiamo fatto un piccolo 'esperimento' linguistico ed è vero...bisogna imparare a comunicare il vino a qualunque categoria

E’ un tema di cui ci siamo occupati di recente e che la Valpolicella Annual Conference ha confermato: il linguaggio del vino va cambiato. E’ quanto emerso dallo studio presentato in occasione della Conferenza, svoltasi tutta in digitale, organizzata dal Consorzio dei vini del veronese e presentata da Roberto Burro, docente di psicologia dell’Università di Verona.

 

Il linguaggio del vino non viene compreso dai più. Su territorio, azienda, storie ed esperienze si dice troppo poco…ma è quello che i consumatori vogliono sapere!

Basta un dato per capire che il linguaggio del vino è ancora troppo elitario: solo un terzo dei termini usati dai sommelier e nelle guide, infatti, è compreso anche dalle persone che di vino non sono esperte. Un gap importante che impedisce, di fatto, a chi vorrebbe saperne di più di entrare in un mondo che dell’accessibilità deve fare un valore, senza per questo rinunciare alla sua eccellenza.

Al centro dello studio presentato i termini tecnici dell’Ais, l’Associazione italiana sommelier. Il 40% delle parole che usano i degustatori professionisti, ma anche i produttori, riguardano l’olfatto; il 40% i descritti del gusto; il 16% la vista e solo il 4% il racconto di territorio, azienda, storie dei produttori stessi, e correlazioni culturali: dall’arte al design.

Insomma tanto tecnicismo che, però, al grande pubblico fa fatica ad arrivare. Eppure l’esigenza è ormai nota da anni: l’esperenzialità è una chiave di volta nel legame con il produttore. Lo dimostra l’enoturismo, ma per attrarre la capacità di raccontarla, quell’esperienza diventa fondamentale.

 

Un piccolo esperimento linguistico nei panni di un non esperto: per comprendere il significato di tannico non basta un’enciclopedia!

Il problema è che così non ci si riesce ad identificare con il vino oggetto della descrizione. Questo nonostante, come già accennato, saperla raccontare significa incuriosire, appassionare e invogliare chi magari programma una gita, a scoprire il luogo in cui nasce. A volte, ha spiegato Burro, si usano parole che per i più sono davvero ostiche da digerire per descrivere un calice. Esempi? Catrame e pipì di gatto.

Nello studio di psicologica scientifica condotto sono stati 64 i descrittori presi in esame. Termini “quotidiani” per gli esperti come tannico, astringente, abboccato. Comprensibili per gli esperti sì, ma per i non esperti…ci vuole un dizionario e non è detto che questo chiarisca.

Abbiamo fatto un nostro “esperimento” (chiamiamolo così) e abbiamo cercato tannico sulla Treccani. Ecco la descrizione: “che ha relazione col tannino; piante tanniche, prodotti tannici, tannanti; in enologia, detto del vino, solitamente quello rosso e giovane che, alla sensazione gustativa si presenta ricco di tannino”. La descrizione continua, ma il fatto è che ora, un non esperto, dovrebbe cercare tannino. Lo abbiamo fatto e questa è la prima parte della descrizione che abbiamo trovato sulla stessa prestigiosissima enciclopedia: “nome generico di una classe di composti contenuti in diverse piante (nei legni, nelle cortecce, nei frutti e rizomi, nelle radici), con proprietà analoghe a quelle dell’acido tannico, solubili in acqua, dal sapore astringente, capaci di precipitare i sali di metalli pesanti” ecc…ci fermiamo qui perché ora, per logica, dovremmo cercare acido tannico.

La domanda è? Quando un non esperto arriverà a capire cosa vuol dire tannico? Scoraggiante non credete?

 

Il linguaggio del vino deve essere più efficace e l’università di Verona ha elaborato un algoritmo per trovare quello giusto al seconda del ‘a chi’ dobbiamo parlare!

Ecco che allora, come spiega lo studio, si dovrebbe sviluppare una comunicazione più efficace. O almeno un’altra comunicazione che si aggiunga a quella professionale. Dovrebbero svilupparla le aziende, e anche i sommelier. Per farlo ci vorrebbe, ha spiegato alla Valpolicella Annual Conference lo psicologo, bisognerebbe mettere un approccio personalizzato a seconda dell’utente e il suo grado di preparazione enologica. Una volta fatto questo si potrà implementare lo stesso approccio con un algoritmo messo a punto dall’università di Verona che permetterebbe di categorizzare la profilazione psicologica del cliente.

Un tema piuttosto interessante e accolto con favore anche dal presidente del Consorzio di tutela dei vini della Valpolicella Christian Marchesini. “Spesso – ha ammesso parlando del ‘vinese’ –  ci capiamo tra noi, ma evidentemente il consumatore vuole un linguaggio nuovo e più inclusivo. Non solo per addetti ai lavori”.

Secondo quanto abbiamo avuto modo di leggere e raccontarvi, ci sembra anche opportuno sottolineare come la necessità di cambiare il linguaggio del vino (e ‘vinese’ ci piace molto), deriva anche dal cambio di approccio con lo stesso. Parliamo sempre di comunicazione: parliamo di media, di digitale.

 

Investire nel linguaggio vuol dire investire nella professionalità…

La pandemia ci ha mostrato senza se e senza ma come la famosa rivoluzione digitale nel settore si sia abbattuta improvvisamente sulla filiera e tutti si sono dovuti adattare. Qualcuno lo ha fatto meglio, qualcuno lo ha fatto peggio, qualcuno lo sta facendo e qualcuno lo farà. Certo è che non è rimandabile. Il passo è compiuto. Non è immaginabile che questo cambio di passo che ha costretto tutti a ripensarsi e ripensare il modo di comunicare per conquistare il mercato online, mantenere saldo il rapporto con i consumatori anche per le ricadute turistiche ed economiche, non valga per il racconto che si fa di un singolo vino.

I social sono diventati come gli antichi “cantastorie”. Sono i luoghi della condivisione e dell’aggregazione e non si può pensare di raccontare un vino, lì dove si aggregano tutte le tipologie di persone, rivolgendosi esclusivamente ad un pubblico elitario.

Modificare il proprio linguaggio, lo abbiamo accennato, non vuol dire abbassare il proprio livello, ma anzi dare alla propria eccellenza una diversa accessibilità. Si può regalare un sogno, si può regalare una sensazione. Si può regalare un’emozione. Per questo, oggi più che mai, affidarsi a dei professionisti che sappiano sposare questo nuovo modo di comunicare, è importantissimo. Noi di Enolò questa strada l’abbiamo già intrapresa da tempo permettendo ai produttori di utilizzare la nostra piattaforma originale per comunicare e farlo con il supporto di chi, in quel senso, può dare i giusti consigli e agire nella direzione giusta.

Comunque si decida di rivoluzionarsi una cosa è certa: bisogna saper parlare a tutti…soprattutto ai meno esperti! Per chi lo è le occasioni per scambiarsi specifiche terminologiche, non mancheranno di certo. E’ agli altri, che oggi, bisogna rivolgersi.