Uno studio scientifico pubblicato negli Usa fa tremare, ma la diversificazione ci potrebbe salvare. In Italia se ne discute e tra le possibilità che ci sono e quelle che ci potrebbero essere arriva la proposta-provocatoria di Angelo Gaja

Sì, la geografia del vino con i cambiamenti climatici può davvero cambiare. Ne avevamo già parlato, ma ora ad aprire ad una nuova riflessione è lo studio scientifico pubblicato sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences degli Stati Uniti.

Fin troppo allarmistica, forse, ma se sul valore scientifico non siamo in grado di giudicare di certo alcune domande bisogna porsele a cominciare dal fatto se vi sia un modo di arginare il problema e, soprattutto, aprire una riflessione su cosa potrebbe accadere alle denominazioni dato che a quanto pare alcuni viticoltori hanno deciso già di “emigrare” con i loro vitigni, anche gli autoctoni.

 

Cambiamenti climatici: in Italia con l’aumento delle temperatura a rischio il 90% del nostro patrimonio vitivinicolo

Stando allo studio condotto a rischio, per l’aumento delle temperature, sarebbe ben l’85% dei vigneti di tutto il mondo. A fare la differenza, dunque, saranno anche le scelte politiche per affrontare il fenomeno del cosiddetto Climate Change. E a rimetterci di più potrebbe essere proprio l’Italia visto che, secondo gli studiosi, il riscaldamento globale fino a 4 gradi Celsius potrebbe farci perdere il 90% del nostro patrimonio. Destino che condivideremmo con la Spagna.

Parole che prendiamo con il giusto scetticismo, ma che cambiamenti in atto ci siano è innegabile e allora tanto vale continuare a spingere la ricerca, come già si sta facendo, per tutelare una biodiversità che il mondo ci invidia.

Una soluzione, secondo Ignacio Morales-Castilla, uno degli autori dello studio pubblicato negli Stati Uniti, ci sarebbe. Possibile dunque far sì che la viticoltura e l’agricoltura si adattino alle nuove temperature. Soluzione che si troverebbe semplicemente in quella che potremmo definire “la capacità” di piantarle le viti.

Piantare varietà o qualità di uve diverse potrebbe ridurre le perdite facendole scendere, nelle aree meno a rischio un range compreso tra il 56 e il 24 per cento e in quelle dove le temperature tendono ad alzarsi di più di almeno un terzo scendendo dall’85% previsto al 58%.

 

Far fronte ai cambiamenti climatici diversificando e spostando le coltivazioni: è questa una possibile soluzione?

La soluzione sarebbe dunque quella di diversificare e cambiare disposizione alle coltivazioni. Come si è arrivati a questa conclusione? Attraverso lo studio di 11 varietà di uva da vino che sono diventati una sorta di “indicatori climatici” e sui quali si sono condotti esami per valutarne l’adattabilità.

Per quanto i viticoltori possano però fare la loro parte, molto dipenderà, ed è questo il monito più rilevante, dalle scelte che farà la politica a livello globale per diminuire le emissioni e dunque evitare che le temperature continuino ad aumentare. Lo sottolinea Morales-Castilla: “dobbiamo essere consapevoli del fatto che maggiore è il riscaldamento e minori sono le possibilità di adattamento”.

Il futuro del mondo del vino è dunque nelle mani di chi le decisioni, quelle importanti, le prende. Al contrario davvero ci potremmo trovare di fronte ad uno stravolgimento geografico della viticoltura e per l’Italia i danni potrebbero essere incalcolabili. La tutela delle denominazioni, ad esempio, è un fattore determinante per la nostra viticoltura che ne fa un elemento distintivo di eccellenza. Salvare il “made in Italy” si può. Ci vorrebbe solo un pizzico di lungimiranza per non lasciare, a chi verrà, l’impossibilità di risolvere problematiche su cui, in parte, si è ancora in grado di intervenire.

 

La buona prassi dello Champagne che raccoglie la sfida: entro il 2050 abbattimento del 75% delle emissioni di Co2

Uno dei primi esempi di “sfida al cambiamento climatico” è arrivata dalla regione francese dove si produce un brand che non ha bisogno di presentazione: Champagne. Il Comitè Champagne a novembre 2019, infatti, ha preso il suo impegno: ridurre del 75% le emissioni di tuto il comparto entro il 2050. Sfida raccolta e lanciata a Milano in occasione del corso di formazione promosso dal Bureau du Champange Italia.

Da queste parti, infatti, la temperatura media è aumentata di 1,1°C in trent’anni. E se fino ad oggi ha fatto bene ai mosti garantendo una vendemmia precoce, un calo di acidità notevole e una crescita minima dl titolo alcolometrico volumico naturale, se si arrivasse ai 2°C la tendenza non potrebbe che invertirsi.

Di qui la volontà di anticipare la possibilità che possa o meno concretizzarsi. Dalle bottiglie più leggere che consentono di limitare del 20% l’impatto delle emissioni di Cos, ad un programma di innovazione varietale per selezionare varietà più resistenti agli stress climatici, fino al riciclo e la valorizzazione del 90% degli scarti, la regione di Champagne ha intrapreso la via delle buone prassi già da 15 anni. Ora raccoglie la sfida più grande: quella di ridurre le emissione nei prossimi 30 anni garantendo così un futuro certo al suo prodotto d’eccellenza.

 

L’Italia e i cambiamenti climatici. Il professore Attilio Scienza: “ricerca è al passo, produttori no”

E l’italia? In quanto a ricerca non ha di certo nulla da invidiare. Uno dei massimi riferimenti, in questo senso, è il professor Attilio Scienza che qualche mese fa, ai microfoni di WineNews lo ha detto chiaramente: “la ricerca è al passo dei cambiamenti climatici. Spesso le aziende no”. “Oggi – ha spiegato – gli strumenti a disposizione sono tanti e consentono risposte immediate, ma spesso le aziende non li utilizzano e non li aggiornano. E non penso solo agli strumenti tecnologici – ha spiegato -, ma anche a studi importanti come la zonazione. Magari fatta sulla carta, in tanti territori, ormai da anni, e che in molti casi andrebbe rivista e aggiornata perché nel frattempo, alcune denominazioni sono cambiate”.

Uscire dunque dall’ottica della storicizzazione, ma non della storia e fare un passo avanti per tutelare il nostro patrimonio. Molte le aziende che hanno iniziato a lavorare in cantina e in vigna, ma anche attraverso la formazione, alla lotta al cambiamento climatico. La scienza ci ha anche “regalato” la vite a risparmio idrico. E già nel 2017 avevamo avuto modo di parlarvi di come risparmiare acqua nella produzione del vino.

Limitare le emissioni è diventata oggi dunque una vera e propria impellenza. Sì perché a fronte di chi investe nella sostenibilità, c’è anche chi non lo fa e non sempre o comunque non solo per mancanza di consapevolezza. A mancare, spesso, sono le risorse perché gli investimenti possono essere davvero importanti. Ecco che allora a lanciare una proposta in un certo senso “provocatoria” è stato uno dei produttori più influenti nel mondo del vino italiano: Angelo Gaja.

 

La proposta-provocatoria di Angelo Gaja ai grandi produttori: “meno fondi pubblici per la promozione extra Ue. Destiniamola alla ricerca”

Angelo Gaja ha dunque lanciato qualche giorno fa la sua proposta provocatoria: ‘distrarre’ parte del finanziamento pubblico destinato alla promozione del vino italiano nel mondo (a fronte di un efficentamento di questo che resta comunque un elemento determinante), per destinarlo alla ricerca e, in particolare, ai portinnesti più resistenti ai cambiamenti climatici, alle varietà destinate alla produzione delle denominazioni italiane che si dimostrino dunque più resistenti a malattie e carenza idrica.

Un’analisi lucida la sua: per 12 anni le aziende italiane hanno usufruito di fondi (oltre un centinaio di milioni di euro l’anno) per promuovere il loro vino all’estero. Molte di queste hanno ormai imparato come affrontare le sfide dei mercati extraeuropei. Loro, dice, potrebbero “ormai attingere a mezzi propri, rinunciando almeno in parte al sostegno pubblico”. Soldi che, di conseguenza, potrebbero, dice, essere destinati alla ricerca. “In presenza delle problematiche causate dal cambiamento climatico – sottolinea – la ricerca scientifica costituisce la risorsa alla quale attingere per ottenere soluzioni di contrasto praticabili e compatibili. La ricerca deve essere sostenuta, non va temuta. I risultati che sarà in grado di fornire dovranno essere disponibili per tutti, alle stesse condizioni. Ai produttori – conclude –, che non intenderanno attingervi, resteranno maggiori possibilità di differenziazione dei propri vini”.

Decisamente provocatorio, ma con un concetto di base, quello di sostenere la ricerca, che di certo non può non essere condiviso e condivisibile. Dobbiamo tutelare le nostre denominazioni e il nostro immenso patrimonio enologico.