Uno sguardo in giro per il mondo per capire come, in altri Paesi, si affronta il problema dei cambiamenti climatici e la necessità di promuovere una reale sostenibilità. Oggi andiamo al di là delle Alpi

Quella della lotta ai cambiamenti climatici e l’affermazione di un mondo e anche una viticoltura sostenibile non è una lotta solitaria. Se è vero che l’Italia è leader in termini di superfici vitate e soprattutto è il primo Paese in Europa ad aver adottato uno standard pubblico di sostenibilità per il settore grazie al via libera del Ministero delle Politiche Agricole al Decreto Sostenibilità, è altrettanto vero che allargare l’orizzonte e capire come si muovono gli altri Paesi per sapere se riusciremo a vincere questa sfida.

L’occhio, noi, oggi lo “gettiamo” al di là delle Alpi per fare una tappa in Francia dove leader del cambiamento è la regione di Bordeaux, come riporta The Drink Business. E intanto, sempre in Francia, Moët Hennessy, la divisione vini e liquori del gruppo leader nel settore dei beni di lusso Moet Hennessy-Louis Vuitton (Lvmh), per accompagnare la sua transizione ha aperto un Centro di Ricerca. 

Se l’obiettivo è comune, la ricetta non è unica. I luoghi cambiano, le necessità anche. Ecco che allora ognuno, a misura propria, può dare un contributo importante perché il mondo del vino diventi sostenibile. E non dimentichiamo, in quest’ottica, l’appello arrivato anche dai wine writers che al settore ha chiesto un vero e proprio “alleggerimento”.

 

Non esiste “una” viticoltura sostenibile. Esistono tanti modi per garantirla. La lotta è di tutti, l’identità di ognuno!

A spiegare che non esiste un’unica soluzione per avviare un cambiamento all’insegna della sostenibilità è stata la Master of Wine Lydia Harrison che, come leggiamo su The Drink Business, ha parlato delle pratiche sostenibili a Bordeaux in un seminario online. E’ stata lei a sottolineare la necessità che i produttori si dimostrino “flessibili” nell’approccio invece di dover necessariamente seguire regole prestabilite. Le iniziative possono essere tantee, insomma, e tutte significative.

Ed è proprio in questa direzione che si muove la regione francese, sebbene attenzione la si debba prestare dato che, le troppe certificazioni, rischiano di creare più confusione che benefici nell’impatto che tali cambiamenti, importanti, hanno sui consumatori. Come ben dice, se non si ha almeno chiara l’unicità dell’obiettivo, accade che i consumatori finiscono per far confusione tra sostenibilità e biologico. Far comprendere bene cosa vuol dire essere “ecologici” è dunque più complicato di quanto sembri e di qui l’importanza di comunicare le credenziali ecologiche sulle etichette dei vini.

 

Bordeaux punto di riferimento per la Francia in quanto a sostenibilità

In Francia è proprio la regione di Bordeaux a fare scuola sul tema. Si trova qui, infatti, il 75% dei terreni vitati votati a pratiche sostenibilità. Quasi 20 mila ettari di terreno nella regione sono certificati biologici o sono in conversione. Rispetto a solo un anno fa si parla del 43% in più. Sono invece 72 le proprietà biodinamiche certificate su 1.400 ettari e 2.2000 proprietà Hve (alto valore ambientale) certificate. A ciò si aggiungono i 400mila euro di investimenti che ogni anno si fanno per ridurre l’uso dei pesticidi.

Numeri che, in sostanza, testimoniano che un cambio di passo c’è.

 

Viticoltura sostenibile: le best practice della regione di Bordeaux dove la vigna non è solo vite, ma varietà e spazio per fauna e impollinatori…

A spingere il cambiamento per arrivare ad avere una viticoltura sostenibile sono molteplici fattori: l’esigenza di tutelare il territorio, ovvio, così come quella di adeguarsi alle politiche europee, ma anche quella di rispondere alle esigenze dei consumatori che, spiega Harrison, a certi temi prestano sempre più attenzione. E a chi dice che è difficile praticare la sostenibilità nella regione di Bordeaux perché è umida risponde chiaramente che impossibile non è. Quel che ci vuole è solo un po’ più di impegno e perseveranza. Cose che, ci permettiamo di aggiungere, lì dove riscontrabili testimoniano davvero la volontà di cambiare.

La Master of Wine porta allora alcuni esempi di come, con pratiche diverse, alcune aziende della regione si siano attivate per dare, attraverso la loro peculiarità, un contributo alla lotta globale. Tra queste c’è la Luca Planty Chateau Giraud che ha colto, già prima del Covid, che i giovani consumatori sono attenti alle tematiche ambientali e che sempre più, sottolinea Harrison, cercano i vini biologici non solo quando comprano, ma anche quando sfogliano le Carte dei Vini.

E’ dunque certa che, con le gelate sempre più frequenti nella regione, e l’imprevedibilità dei fenomeni metereologici, il Cabernet Franc e il Petit Verdot, a maturazione tardiva, saranno sempre più importanti per Bordeaux, ma anche che avere una vasta gamma di varietà che germogliano e maturano in momenti diversi potrebbe essere una sorta di “polizza assicurativa” per vigne e viticoltori.

 

Le buone pratiche

Tra i pionieri, in questo senso, c’è proprio la Luca Planty Chateau Giraud, la prima tenuta Grand Cru Classé a Bordeaux ad ottenere la certificazione biologica e che ha messo la tutela della biodiversità a capo di ogni sua azione. L’azienda ha triplicato la presenza vegetale nelle sue vigne, piantando camomilla, levistico issopo ed equiseto così da attirare otlre 700 specie di impollinatori.

Stessa cosa avviene a Chateau Brown a Pessac-Léognan dove solo il 55% della tenuta è piantata. Per il resto ci sono meli, ciliegi e peri che fioriscono accanto all’apiario del castello. Come afferma Jean-Christophe Mau che è alla guida dell’azienda “gli alberi sono rifugi per la biodiversità. Attirano api, insetti e uccelli e agiscono come trappole di carbonio naturali”. Un approccio che ha portato all’aumento della fauna tra le vigne tra caprioli, lepri, cinghiali, beccacce e picchi. E c’è anche chi, come il Gruppo Grand Chais de France, che tra i filari ha installato delle vere e proprie stazioni meterologiche progettate per gestire la salute della vita e ottimizzare i trattamenti. Il risultato? L’azienda ha ridotto i livelli Ift di oltre il 34% rispetto alla media nazionale.

 

E intanto in Champagne prosegue l’azione sostenibile di Moët Hennessy che ora ha un Centro di Ricerca per guidare la transizione

Ph: il nuovo Centro di Ricerca Moët-Hennessy (credit: sito web Moët-Hennessy)

Restiamo in terra di Francia dove Moët-Hennessy si è impegnata a ridurre la propria impronta di carbonio adottando l’obiettivo di 1,5°C come stipulato nell’accordo di Parici e confermato dal Science Partnership di iniziativa Baset Targets (Sbti). Quattro i piani d’azione: ridurre l’impatto di carbonio sulle materie prime, sviluppare imballaggi eco-consapevoli, sfruttare l’energia rinnovabile e promuovere il trasporto a basse emissione.

Un annuncio che segue altre iniziative di viticoltura sostenibile promosse dal programma Living Soils Living Toghether dell’azienda e l’inaugurazione, la scorsa settimana, del nuovo Centro di Ricerca Robert-Jean de Vogue vicino alla cantina Mont Aigu di Oiry, nella regione di Champagne. un centro costato circa 20 milioni di euro e dedicato all’avanzamento della conoscenza delle future sfide ambientali e produttive, alla lotta dei cambiamenti climatici e, di conseguenza, alla promozione di pratiche di viticoltura sostenibili.

Tutti elementi di uno stesso mosaico per arrivare alla riduzione del 50% delle emissioni di carbonio entro il 2030. Il Centro è stato concepito dall’architetto Giovanni Pace e si estende in un’area di 4mila metri quadrati.

 

Quattro poli di ricerca per garantire eccellenza-sostenibile

E il Centro stesso è sostenibile. E’ stato infatti realizzato con materiali che garantiscono un isolamento naturale e riducono il consumo di energia. Al suo interno un polo di microbiologia e biotecnica studierà l’impatto dei microorganismi sui vigneti e sul processo di fermentazione. Un altro polo si occuperà della fisiologia vegetale per mitigare l’impatto dei cambiamenti climatici su uva e vita e affrontare il problema del riscaldamento globale. Un altro, di ingengeria, si occuperà dell’analisi del processo di vinificazione, dalla pigiatura all’imbottigliamento al fine di ottimizzarlo e promuovere la ricicalbilità. Infine l’hub di analisi sensoriale e formulazione che studierà il profilo organolettico dei prodotti dell’azienda in tutto il processo produttivo. L’obiettivo? Assicurar la massima qualità.

Quella di Moët Hannessy è una storia avanguardista in realtà, iniziata nel 1941 con il suo fondatore Robert-Jean de Voguè e che, a quanto pare, continua a stupire!

Sì, vogliamo pensare che tutti hanno compreso l’importanza di cambiare e che alla fine…la lotta la si potrà vincere!