L'indagine Wine Monitor parla chiaro: l'Italia è tra i 12 Paesi top buyers a livello globale. Segnali più che incoraggianti, ma è tempo di conquistare la generazione Z

Siamo tornai e lo facciamo con una buona notizia: i numeri del vino italiano dopo le riaperture post-covid sono ottimi. Non lo diciamo noi (ovviamente!), ma Wine Monitor, o meglio l’Osservatorio Vinitaly Nomisma Wine Monitor. Nel primo semestre dell’anno, infatti, le importazioni sono cresciute del 7,1% sul pari del 2020 e hanno fatto registrare un +6,8% sul 2019. Tradotto: l’Italia è tra i 12 Paesi top buyers a livello globale!

 

Le riaperture post-covid per il vino italiano hanno rappresentano la ripresa dopo l’anno della resistenza!

Una buona notizia che arriva a due mesi dall’apertura del Vinitaly Special Edition in programma a Verona dal 17 al 19 ottobre. Numeri importanti se si considera che lo studio è stato condotto sui dati doganali delle importanzinmi dei 12 principali mercati mondiali della domanda del vino. Una fetta che vale circa i 3/4 del totale export made in Italy.

Se il 2020 è stato l’anno della resilienza, ci sembra che si possa azzardare a dire che il 2021 potrebbe davvero rivelarsi l’anno della ripartenza. Tra i 12 Paesi buyer di riferimento ad andare bene è anche la domanda globale del vino. La conferma che no, di bere un buon calice non si è stancato nessuno. Questo è infatti cresciuto nell’ultimo anno dell’8,1% con la Francia irragiungibile che registra un +26,2%.

Il Bel Paese, però, vince se ci limitiamo a fare un bilancio rispetto al periodo pre-Covid, cioè il primo semestre 2019. Lo fa con quel +6,8% (quasi 2,6 miliardi di euro) a fronte del +2% dei cugini d’oltralpe (3,3 miliardi di euro) e le importazioni totali di vino ancora con il segno negativo (-1,7%…quasi 10 miliardi di euro).

 

Il vino italiano nei mercati globali…boom in Cina, ma negli Usa il calo c’è!

Entrando nello specifico con le riaperture post-covid, sulle principali 12 piazze mondiali rispetto al 2020, il vino italiano sovraperforma rispetto al mercato in Cina (+36,8%), in Germania (+9,3%) e in Russia (+29,4%). Fa invece riflettere il dato sotto la media degli Usa dove si registra solo un +1%, ma va sempre considerato che rispetto al 2019 l’incremento è quasi del 6%. Sotto la media i nostri vini anche in Uk (magari anche per effetto della Brexit) dove si registra un -0,4% e in Canada (+2,5%). Le importazioni dei vini fermi hanno fatto registrare un +6,9% con il prezzo medio salito del 5,9%. Fanno ancora meglio gli sparkling in termini di vendite (+11,1%), ma con una riduzione del prezzo medio del 4,8%.

 

Le riaperture post-covid e i numeri del vino italiano fanno guardare con positività al futuro. E il Vinitaly è pronto a fare la sua parte!

Se noi abbiamo azzardato il direttore generale di Veronafiere afferma senza mezzi termini: “il settore è uscito, si spera definitivamente, da una crisi senza precedenti”. Come? “Grazie ai suoi operatori, alla loro organizzazione commerciale e alla forza del brand tricolore – sottolinea Giovanni Mantovani -. Oggi, in particolare con i nostri vini simbolo, siamo al centro del fenomeno legato ai ‘consumi di rivalsa’ post-covid. Un effetto traino da intercettare e da cui ripartire consolidando ancora di più le quote di mercato. Anche a questo servirà Vinitaly Special Edition, l’evento business di ottobre con la presenza di buyer, distributori, delegazioni estere dai principali Paesi target per il settore“.

“Dall’analisi dei dati – aggiunge il responsabile di Nomisma Wine Monitor Denis Pantiniemerge una sorta di ‘revenge spending’ che sta trainando il commercio mondiale di vino”. Una “rivincita” che interessa in particolare, sottolinea, i vini di fascia medio-alta “come desumibile anche dai prezzi medi all’import”, spiega. “Una conferma a questa tesi arriva analizzando l’export dei Dop italiani e francesi – aggiunge Pantini –, con i rossi Dop del Piemonte a +24% o i rossi Dop toscani a +20%. Tendenza ancora più evidente per i rossi a denominazione francese, con il Bordeaux a +61% e il Borgogna a +59%”. Discorso che vale anche, concluse, “per gli sparkling d’oltralpe, Champagne in primis – che volano a +56% nel mondo e a +70% negli Usa”.

 

Effetto traino sì, ma sarebbe cosa buona e giusta includerci anche la Generazione Z che in Usa e Cina si allontana dal mondo del vino. Parole di Wine Intelligence

Se con le riaperture post-covid queste sono le buone notizie bisogna far sì che le stesse abbiano ricadute importanti lavorando sulle nuove prospettive. L’effetto traino di cui parla Mantovani dovrebbe infatti investire un nuovo modo di pensare il mercato rendendolo sempre più a misura di giovane. Nello specifico a misura di giovani cinesi e statunitensi. Abbiamo visto che vanno le cose in termini di importazioni sui due mercati. Se nel primo abbiamo fatto boom nel secondo, da sempre un riferimento imprescindibile per l’enologia italiana, c’è da lavorare e la nuova chiave di lettura potrebbe passare proprio dalla Generazione Z.

 
La generazione Z negli Usa

Se si pensa che negli Usa, dove i consumi di vino valgono 200 miliardi di dollari (il mercato più grande del mondo), a perdere quota di mercato sia in termini di valore che di volume sono proprio i vini fermi, a fronte di una crescita esponenziale di hard seltzer e superalcolici, bisogna comprendere che è il caso di rivedere qualcosa. A livello di marketing e di linguaggio. Insomma ai giovani bisogna parlare. Bisogna mostrare. Bisogna, insomma, conquistarli.

E qualcosa si muove stando a quanto emerge dallo studio. Si punta sull’aspetto salutare del vino (elemento oggi considerato dai più fondamentale), ma anche sul packaging che si fa sempre più leggero e naturale. Se però basterà è presto per dirlo dato che secondo Wine Intelligenze dopo anni di crescita, i consumi del vino entro il 2025 potrebbero scendere dello 0,5%. Un numero non grandissimo, ma un sintomo da curare…immediatamente!

L’identikit del ‘giovane’ consumatore Usa

Restando negli Usa i numeri rilevati sono questi: i giovani tra i 21  e i 34 anni che nel 2010 consumavano il 28% di tutto il vino bevuto nel Paese, sono oggi il 18% dei consumatori. Di contro sono passati dal 32% al 47% tra gli over 55. Se c’è un aspetto positivo è che, invece, ad apprezzare i vino sono i Millennial. Due generazioni vicine e lontane che però una cosa in comune ce l’hanno, ed è quella la corda da suonare. Generazione Z e Millennial, infatti, amano le novità a differenza del mercato consolidato degli over 55. Con loro si può…creare! Ecco che allora marketing, prodotti innovativi e linguaggi nuovi diventano fondamentali per conquistarli.

La generazione Z in Cina

Nonostante il vino italiano qui vada per la maggiore, i cinesi tra i 18 e i 24 anni sembrano non amarlo moltissimo. Loro, a quanto pare, vedono nella scarsa conoscenza un gap difficile da superare. Sarebbe per questo che preferiscono cocktail e altri ready-to-drink. Sono considerati più semplici, ma (udite udite!) anche più attraenti grazie a influencer e social media. Il loro consumo è il doppio rispetto al vino tra i giovani del Paese.

Qualcosa bisognerà pur fare per recuperare questi giovani cinesi. Anche perché, non dimentichiamolo, sono la generazione più digitale,ma paradossalmente anche quella che compra meno vino online.

E anche in questo caso, come negli Usa, l’attrattiva verso il vino si è dimezzata. Nel 2015, dice infatti la ricerca Wine Intelligence, i giovani tra i 18 e i 24 anni rappresentavano il 14% dei consumatori di vino: oggi sono il 7%.

Buone notizie arrivano dai 30-34enni che sono aumentati passando dal 16% del 2015 al 18% del 2021. Non è abbastanza però. Anche qui bisogna trovare la chiave giusta per attrarre i più giovani che, per forza di cose, rappresentano il futuro del consumo del vino italiano in Cina.