La Coldiretti scatta la fotografia di un anno da incorniciare e il vino resta in pole, ma la contraffazione è un male che va estirpato

Non ce n’è e lo sapevamo, ma una conferma fa sempre bene al cuore: l’agroalimentare Made in Italy vola nell’export e se c’è un rovescio della medaglia è quello dei “falsi” con anche battaglie legali che sempre più interessano le nostre eccellenze. Fortunatamente su questo fronte, al di là del grave fenomeno della contraffazione, le vittorie arrivano.
A scattare la fotografia di settore è a Coldiretti che incorona il 2023 dell’agroalimentare italiano con una crescita nelle esportazioni del 18 per cento: un nuovo record che infrange quello del 2022 quando si sono raggiunti i 60,7 miliardi di euro.

Nell’agroalimentare il Made in Italy non ha pari: la dieta mediterranea conquista nei piatti e nei calici

L’indagine Coldiretti fatta su dati Istat comparsa sulla stampa e che sarà in scena al salone internazionale dell’alimentazione di Parma (Cibus) scatta la fotografia di un settore in piena salute. La Germania resta il principale sbocco per li settore alimentare che nel 2022 è valso 9,4 miliardi di euro. Subito dietro ci sono gli Usa con 6,8 miliardi. Segue la Francia con 6.6 miliardi. Bene anche nel Regno Unito con 4,2 miliardi alla faccia della Brexit, ma in Russia gli effetti del conflitto si fanno sentire.

Chi c’è su tutti? Ovviamente lui…il vino! Il 2022 lo ha chiuso con 7,9 miliardi di euro in termini di export e una crescita del 10 per cento all’estero. Altro must la pasta e i derivati dei cereali che sono proprio lì con 7,8 miliardi di euro. Seguono frutta e verdura fresche (5,7 miliardi), l’ortofrutta trasformata (4,8 miliardi), i formaggi (4,4 miliardi), l’olio (1,8 miliardi) e i salumi (0,9 miliardi). Insomma la dieta mediterranea non ha rivali.

Sì, l’agroalimentare italiano è unico ed eccellente, ma quanti “falsi” e quante battaglie per difendere la propria autenticità

Se i numeri sono positivi, la voglia di copiarci è decisamente negativa. Coldiretti, come riporta WineNews, tira in ballo un articolo del Financial Times in cui si sarebbe cercato di banalizzare la tradizione alimentare italiana. Un articolo che, sottolinea l’associazione, potrebbe anche far sorridere se non avesse ricadute di carattere economico e occupazione.
La scarsa chiarezza sul brand Made in Italy, infatti, diventa la terra di nessuno in cui copiare e produrre veri e propri “falsi” e questo frena il nostro export che senza la contraffazione, afferma Coldiretti, “potrebbe triplicare”. E non parliamo del danno di immagine. Un mercato “nero” che vale ben 120 miliardi di euro. Numero da capogiro.
Il più imitati restano Parmigiano Reggiano e Grana Padano, ma si imitano anche Provolone, Gorgonzola, Pecorino Romano, Asiago o Fontina. Tra i salumi i più falsificati sono i prosciutti Parma e San Daniele, ma non se la passano bene neanche la mortadella di Bologna, il salame cacciatore e persino l’olio extravergine di oliva e le conserve di pomodoro San Marzano.

E i vini? Purtroppo, come noto, ci sono anche loro. Dal Chianti al Prosecco la confusione è tanta e le cause altrettante. Per il presidente Coldiretti Ettore Prandini “serve cogliere l’opportunità del pnrr (piano nazionale di ripresa e resilienza) per modernizzare la logistica nazionale ed agire sui ritardi strutturali dell’Italia sbloccando tutte le infrastrutture per migliorare i collegamenti tra Sud e Nord del Paese, ma anche con il resto del mondo per via marittima e ferroviaria in alta velocità, con una rete di snodi composta da aeroporti, treni e cargo”.

Dall’Europa la buona notizia: niente Bolgaré bulgaro, di Bolgheri ce n’è uno ed è nostro

Se quella contro i falsi è una guerra difficile, altrettanto lo è quella contro chi punta l’assonanza per creare confusione tra il vero Made in Italy e cioè che made in italy nel settore agroalimentare non lo è affatto.

Ci ricordiamo il caso Prosek. Beh una buona notizia questa volta arriva per il marchio Bolgheri che regala uno dei vini simbolo a livello mondiale dell’eccellenza italiana: il Sassicaia. Il tribunale dell’unione europea ha messo la parola fine alla guerra sul Bolgaré che si intendeva brandizzare. Lo ha fatto sapere il Consorzio di tutela dei vini Bolgheri e Bolgheri Sassicaia. Il tribunale ha riconosciuto “tutte le ragioni del Consorzio Bolgheri nel caso contro il marchio bulgaro Bolgaré, il cui ricorso viene giudicato definitivamente e manifestamente infondato in quanto il marchio Bolgaré è evocativo della denominazione”.

Una battaglia durata sei anni e con un lieto fine, ma pur sempre estenuante. Tutto è iniziato nel 2017 quando la Domaine Boyar, la prinicipale azienda vinicola della Bulgaria fece domanda all’ufficio marchi europei (Euipo) per registrare il marchio Bolgarè. Il consorzio si oppose subito e vinse. Quindi il lungo appello e oggi la fine di una vicenda durata anche troppo.

Le denominazione d’origine Bolgheri sono salve, ma altre stanno ancora combattendo per affermare la propria innegabile identità.

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