Il consorzio docg Conegliano Valdobbiadene avvia uno studio con l'incubatore Green Academy per capire come l'antica viticoltura eroica degli egiziani possa dare risposte alle esigenze dell'oggi e del domani

E’ davvero particolare il percorso che il Consorzio di tutela del Prosecco Docg Conegliano-Valdobbiadene ha deciso di intraprendere: affidarsi ad un gruppo di egittologi internazionali per individuare possibili soluzione tecniche in previsione dei mutamenti climatici che, in realtà, già ci sono.

Sì, l’antico Egitto dove il vino era grande protagonista irrompe nella modernità per ispirare che oggi deve affrontare l’enologia del domani.

Dalle sponde del Nilo alle colline del Conegliano Valdobbiadene: l’antica viticoltura eroica dell’Egitto per affrontare i cambiamenti climatici della modernità

 

La notizia la troviamo su diversi siti d’informazione e a darla è stato il consorzio stesso in occasione dei suoi 60 anni portati a dir poco benissimo.

La viticoltura dell’antico Egitto è certamente una di quelle che oggi chiameremmo “eroica”. Condizioni climatiche estreme, ma la capacità di segnare la storia di una bevanda mai passata di moda.
La ricerca sarà portata avanti all’interno di un nuovo incubatore di ricerche, studi, contenuti e nuove idee. Si chiama Green Academy e di fatto è una struttura fatta di capacità e conoscenze che si mettono a sistema e che guardano proprio alla sfida del cambiamento climatico e alla lotta iniziata per arginarne gli effetti.
L’obiettivo, insomma, è quello della sostenibilità e il vino da questa sfida di certo non si può esimere, men che meno l’amatissimo Prosecco.

E’ stato il direttore del Consorzio Diego Tomasi a spiegare come Green Academy sarà impegnata proprio a studiare “le urgenze” dell’agenda ambientale che mira alla tutela dei territori e suo obiettivo è quello di formulare modelli previsionali degli eventi atmosferici che potranno verificarsi sulle colline del Prosecco guardano al 2030 nel “breve termine” e poi al 2050 per arrivare al 2100.

Un progetto ambizioso che parte con la giusta premessa: guardare al passato per proiettarsi nel futuro. E quel passato è nel rapporto tra egiziani e viticoltura. Attraverso indagini che saranno condotte su questa antica civiltà si studierà dunque come adattare tecniche antiche la conservazione e il riuso delle acque di sorgente e piovane.


Il forte legame dell’antico Egitto con il vino, bevanda elitaria e “faraonica”: il legame indissolubile della conoscenza con il prima, l’ora e il dopo

Siamo nel 2.900 avanti Cristo: risalgono a quest’epoca i primi reperti dell’antico Egitto in cui si parla di vitis vinifera. Siamo nel periodo predinastico di Naqada III e questi reperti sono oggi conservati nel museo dell’Orto Botanico di Berlino.

Lo abbiamo scoperto facendo qualche ricerca incuriositi anche noi dal volerne sapere di più, senza però avere alcuna velleità storica o tecnica, ma solo al fine di avere e regalare qualche nozione in più su una cultura, quella egiziana, che mai ha smesso di affascinare.

Certo all’epoca dei faraoni il vino era un vero lusso, un prodotto elitario con tanti significati simbolici ed era anche un elemento importante e distintivo del corredo funerario. Fortunatamente per il popolo c’era comunque la birra di cui gli egiziani erano grandi produttori. C’erano vini bianchi e rossi all’epoca e anche vini particolari che oggi sembrano tornare tanto di moda con quei vini “non vini” di cui tanto si discute. Tra loro quello di palma che veniva utilizzato anche durante la mummificazione.

L’irep poteva essere nefer, ma anche nefer-nefer-nefer

Da quel che scopriamo leggendo qua e là persino Orazio parla di un vino egiziano, il Mareotico, bianco e dolce e molto apprezzato dalla bellissima Cleopatra come scrive nelle sue Odi.

D’altra parte che il vino avesse un ruolo importante nell’antico Egitto lo dimostrano pitture e rilievi che oggi conosciamo grazie agli archeologi. E’ così che si è scoperto molto anche della loro…vendemmia! Pitture che, tra l’altro, adornano le tombe dell’Antico, del Medio e del Nuovo Regno. Insomma il vino era immortale, come un faraone! Grazie agli scavi si sono scoperte etichette e sigilli e persino grappoli disidratati., semi, foglie e legni.

“Irep” così si chiama il vino nell’antico Egitto e nei Testi delle Piramidi si cita l’iper mehu, ovvero il vino del nord in riferimento alle produzioni del Delta, ma anche quelle del Nilo a quanto pare. Chissà se oggi non avrebbero fatto delle guide, certo è che i giudizi non mancavano: il vino poteva essere nefer, nefer-nefer o nefer-nefer-nefer e cioè buono, buono-buono o buono-buono-buono.

Sulla vendemmia non sappiamo molto, ma quel che possiamo dirvi è che i grappoli venivano raccolti a mano (sempre grazie agli archeologi si è riusciti ad avere queste informazioni) e messi nei cesti che, una volta colpi, venivano portati al tino e protetti con delle foglie dai raggi del sole. Va da sé che la pigiatura si faceva con i piedi.

Sembra che sulla fermentazione non si abbiano tante notizie, ma magari potrà essere uno dei temi che la Green Academy andrà ad indagare. Di una cosa si può essere certi: le anfore, oggi tornate di gran moda, erano i “luoghi” di conservazione. Insomma un passato lontano eppure ancora così vicino. Sarà interessante vedere se l’iniziativa del Prosecco farà sì che, ancora una volta, gli egizi tornino grandi protagonisti.

 

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