...il futuro? Quello è decisamente incerto. Wine Monitor tira le somme in attesa dei dati Istat e presenta le incognite del futuro. Eppure le opportunità non mancano, basta ampliare lo sguardo

Parlare di export non è cosa facile in tempi di Coronavirus. Fiere annullate, eventi rinviati e tanta tensione con conseguenze importanti sull’economia. Ma al futuro si deve guardare con entusiasmo. Pensare positivo è la prima regola per affrontare una situazione complessa. E così perché non guardare a ciò che di positivo c’è nel presente per guardare al domani?

Wine Monitor ha tracciato le linee dell’export nel 2019 e l’Italia si proietta già a quanto potrà fare nel corso di tutto l’anno.

 

Bene il 2019 per l’export del vino italiano: le grandi certezze e i piacevoli ‘ritorni’

E’ stato un 2019 positivo per l’export del vino italiano. La crescita, rispetto al 2018 secondo le stime fatte da Nomisma in attesa delle definitive che darà l’Istat a marzo, è stata del 2,9% rispetto al 2018. Gli Stati Uniti per il nostro vino, e ora grazie anche allo scongiuramento (temporaneo) dei dazi minacciati da Trump, si conferma un mercato molto forte e dove il nostro vino va per la maggiore. Lo dimostano anche le Carte dei Vini d’altra parte. In un anno i vini nostrani hanno infatti visto una crescita del 4,2% sulle tavole di case e ristoranti e sugli scaffali dei rivenditori. Anche in Svizzera il vino dei vicini di casa piace sempre di più e guadagna in un anno il 3.8% del mercato in termini di export.

Bello vedere il ritorno del vino made in Italy nella Grande Madre Russia dove il 2019 è stato un anno di grande crescita con un +12% che fa bene al nostro…spirito! Anche i cugini francesi apprezzano sempre di più le nostre eccellenze. E il dato lo conferma: quel 6% in gran parte è merito del Prosecco divenuto un must laddove si è riusciti a comprendere che con lo Champagne non c’è concorrenza, ma che ogni bollicina ha la sua storia e il suo perché.

 

In Germania e in Gran Bretagna il calo però c’è. Anche in Cina si scende, ma lo scotto peggiore potrebbe pagarlo proprio il Paese d’Oriente

Certo non può sempre andar bene. E così se nel Regno Unito e in Norvegia viaggiamo sempre sulla stessa lunghezza d’onda, il calo lo abbiamo registrato in Germania dove le importazioni di vino italiano sono scese del 3,6% e in Cina dove il calo è stato dell’1,9%. Nel primo caso chissà se quel nazionalismo comprovato da Google di cui si inizia a parlare anche per i calici ha il suo perché. Per il secondo, purtroppo, le cose potrebbero peggiorare proprio a causa del Coronavirus. Un problema che, è il caso di dirlo, è arrivato ora e per il Paese asiatico che puntava a diventare un competitor le cose potrebbero andar peggio. Nel 2019, infatti,  hanno visto scendere il loro di export di quasi il 10%. Con il Coronavirus il contraccolpo potrebbe essere letale. Non possiamo che augurare loro che l’emergenza rientri quanto prima in primis per la salute di tutti i cittadini e in secondo luogo anche per l’economia territoriale.

 

Giappone e Canada: e chi lo avrebbe detto! Qui l’export vola e sono loro la dimostrazione che il libero scambio è la strada da percorrere

Tra bene, benino e c’è qualcosa da rivedere per l’export del vino italiano c’è anche di che esultare. Il 2018 infatti, stando ai dati forniti da Wine Monitor, ci ha aperto due nuove e ghiotte possibilità. Quelle con il Canada e il Giappone, due Paesi con cui tra l’altro vige un accordo di libero scambio con l’Unione Europea di cui l’Italia è indiscutibilmente membro.

In un anno in Giappone è stato un vero e proprio boom. Il nostro vino ha visto una crescita del 15,6%. E sebbene quel 5,4% del Canada al confronto possa sembrare poca cosa, non è esattamente così. Quello che emerge è infatti che lì dove il commercio è agevolato, penetrare i mercati è più semplice e trarne guadagno la diretta conseguenza. La riprova è nella crescita che in Giappone hanno avuto anche altri Paesi a cominciare dalla Francia che ha portato a casa un incredibile +24%.

 

Un 2019 positivo, ma il 2020? L’export italiano del vino, e non solo quello ‘nostrano’ devono fare il conto con un po’ di incognite, ma la soluzione è a un passo da noi…

Bene il presente. E il futuro? A mettere davanti ai produttori, gli esportatori e tutti gli addetti ai lavori del settore vino in Italia, le incognite su cui bisognerà per forza di cose avviare importanti riflessioni, è proprio il responsabile di Wine Monitor, Denis Pantini. La prima riguarda proprio i famosi dazi di Trump. E’ vero, al momento per noi non ce ne sono, ma il Rappresentante del Commercio degli Stati Uniti la aggiorna ogni sei mesi. Tenere alta l’attenzione è importante perché 180 giorni passano in fretta.

L’altro aspetto riguarda proprio l’Oriente e la Cina che non è uno dei mercati di punta al momento per il nostro vino. Il nostro export da quelle parti è “solo” del 6%. Ma la situazione potrebbe precipitare se per il Coronavirus si dovessero bloccare produzione e importazioni.

Abbiamo visto poi che in Germania e nel Regno Unito le cose non vanno benissimo. La Brexit, ormai realtà, non ha ancora mostrato le sue conseguenza, ma non è detto che non ce ne saranno. La Germania invece fa i conti con il suo di Pil che è il più basso degli ultimi sei anni. Se a questo si aggiunge che i tedeschi non sono di certo degli spendaccioni problemi ne potremmo avere dato che la qualità è il punto di forza della nostra produzione e, di conseguenza, anche una spesa prevista un po’ più alta rispetto a quella cui i teutonici sono abituati.

 

Il 2020 deve essere l’anno delle ‘novità’. Dei nuovi mercati e dei nuovi orizzonti. Ci sono Paesi dove siamo sempre più i benvenuti, con un calice a portata di mano!

Come sarà dunque il 2020? Difficile dirlo. La risposta è questa. Ma essere coscienti di quali sfide i mercati ci mettono davanti comprese quelle più inattese, potrebbe diventare un buon punto di partenza per costruire un anno capace di dare risultati ancor più positivi.

Come? Ad esempio allargando i propri orizzonti. Il momento, paradossalmente, può essere propizio per esplorare mercati nuovi e in crescita. Tra i tanti si suggerisce, ad esempio, la Corea del Sud. Questo è uno di quei Paesi in cui l’accordo di libero scambio c’è da ben dieci anni. Le importazioni da queste parti crescono e l’acquisto del vino italiano negli ultimi cinque anni è aumentato in valore del 51%. Un terreno fertile da coltivare.

Altri spazi si potrebbero conquistare nell’Est Europa, sottolinea Pantini. Lì i prodotto italiani sono già una certezza e i risultati lo dimostrano. Esempi ne sono la Polonia dove il vino italiano ha aumentato l’export del 17%, la Repubblica Ceca dove si è registrato un +8% e la Slovacchia dove la crescita è addirittura del 24%.

Le certezze che si hanno dunque sono quelle che ci raccontano le incertezze e quelle dunque da aggirare per far sì che la crescita del vino italiano nel mondo non solo no si arresti, ma addirittura aumenti ampliando i suoi mercati. Le guerre commerciali non servono. Gli atteggiamenti protezionistici neanche. I problemi di Pil non aiutano. Andare a guardare lì dove, al contrario, l’economia è in pieno sviluppo sì che potrebbe essere un buon piano.