Ismea scatta la fotografia di un anno non facile tra calo di produzione e consumatori orientati all'acquisto "difensivo" e se l'export ne sente il peso, l'Italia regge a differenza dei competitor con il Made in Italy (fa sapere Coldiretti) da record nel periodo delle feste di Natale. L'italian sounding la "nota stonata"

Un anno difficile per l’export del vino, ma l’Italia tiene botta rispetto ai suoi competitor certifica l’Isema: una buona notizia che si aggiunge a quella del “dominio” italiano sulle tavole di tutto il mondo durante le festività fa sapere Coldiretti, ma il fenomeno del cosiddetto “italian sounding” continua ad essere ben più che un fastidio: è un vero danno e anche il mondo enologico ne sa qualcosa.

 

Meno produzione, meno consumi e anche l’export resta al palo, ma l’Italia regge contro l’inflazione e la minor capacità di spesa

Che la contrazione della produzione a livello mondiale ci sia stata nel 2023 è un dato di fatto e a procedere di pari passo è stato anche un rallentamento degli scambi internazionali.

Se l’anno non èappena conclusosi non si può certo definire un anno di “crescita” per l’export dato che in termini di quantità l’Italia con i suoi 39milioni di ettolitri di vino stimati ha registrato una delle produzioni più scarse degli ultimi decenni, la buona notizia è che al di là del dato negativo ce ‘è uno positivo: e cioè che l’export nel Bel Paese ha tenuto molto meglio rispetto ai Paesi concorrenti.

Questo senza dimenicare che se si è prodotto di meno le giacenze, mai così elevate dall’ingresso nel millennio, hanno fatto da ago della bilancia (51 i milioni di ettolitri ‘messi da parte’). A dirlo è l’ultima indagine Ismea.

Gli stock in cantina e il calo della domanda esterna hanno comunque condizionato negativamente i listini all’origine per quasi tutto l’anno, rileva la stessa. L’estate ha però rappresentato il momento della ripresa per l’export con le quotazioni, soprattutto per i vini da tavola, che hanno ripreso un po’ di slancio. Slancio però non sufficiente a ribaltare la tendenza negativa della media dell’anno che ha fatto registrare comunque una flessione del 2 per cento dell’indice dei pressi di Ismea sul 2022.

I numeri dell’export che hanno permesso all’Italia di restare “su” rispetto a tutti i competitor

Se per la produzione non è stato un anno “felice”, sul fronte dell’export nonostante il lieve calo a livello generale (meno 2 per cento in valore) con gli spumanti che hanno perso il 3 per cento in volume guadagnando però il 2,5 per cento in valore, l’Italia è l’unico Paese che non ha subito riduzioni dei quantitativi di vino spedito all’estero.
Un dato positivo se si considera che la Spagna ha fatto registrare un meno quattro per cento sia in volume che in valore e la Spagna un meno otto in volume e un meno uno in valore. Se si varcano i confini europei non va meglio visto che Cile, Argentina e Stati Uniti hanno mostrato flessioni di quasi il 40 per cento delle esportazioni in volume con l’Australia che è scesa dell’8 per cento.

Per quanto riguarda la domanda interna in relazione al consumo domestico il caro prezzi (più 3,1 per cento) ha avuto il suo peso vedendo il meno 3,1 per cento di acquisti. Ad aver sofferto di più sono stati i vini fermi che hanno perso il 4 per cento. A tenere sono state le bollicine che in volumi sono invece lievemente cresciute: un un per cento che in un quadro generale ha comunque come quello rilevato da Ismea assume una certa importanza.

Un altro anno in “difesa” per i consumatori che guardano a promozioni e convenienza

I consumatori insomma restano ancora nella zona “acquisti difensivi” per cui comprano di più se un prodotto è in promozione o si orientano verso tipologie di vino più conveniente a scapito soprattutto del segmento spumanti.

“Gli operatori italiani – segnala l’Ismea – sono ben consapevoli di alcune criticità del settore che non si limitano alla congiuntura ma che hanno assunto caratteri strutturali. Dietro alla riduzione del giro d’affari all’estero non ci sono solamente le ingenti scorte fatte durante il covid per il timore di rotture di stock, ma anche un diverso orientamento della domanda verso vini più facili, meno strutturati ed economicamente più accessibili, dato il contesto fortemente inflattivo. Dall’altro lato l’impatto dei cambiamenti climatici e l’aumento dei costi industriali stanno imponendo serie riflessioni sulla gestione dell’offerta per evitare annate di sovrapproduzione che potrebbero non essere sostenibili sul fronte dei prezzi e quindi della redditività”.

 

Le feste un preludio positivo per l’agroalimentare Made in Italy: l’export è da record con oltre un miliardo di bollicine italiane stappate a Capodanno

Se sul fronte produzione e consumi interni problemi ci sono, le festività hanno premiato ancora una volta l’export Made in Italy. Un anno da record, dicono i numeri di Coldiretti: 5,3 miliardi che tra Natale e Capodanno hanno decisamente parlato italiano e cioè il 6 per cento in più rispetto al 2022.

Ecco quanto “cresce” il piacere di avere un prodotto Made in Italy a tavola durante le feste

Molto bene vini, spumanti, grappa e liquori. Ma ad andare forte sono stati anche panettoni, formaggi, salumi e caviale. Si tratta di numeri estrapolati dalle proiezioni Istat del commercio esterno (dicembre 2023) che si possono considerare un buon segnale di inizio anno visto che il 2024 è ormai arrivato.

Se lo spumante ha visto crescere il valore delle esportazioni del 3 per cento a dominare è stato ancora una volta il Prosecco al più 4 per cento. Per il panettone la crescita è stata dell’8 per cento mentre il boom lo ha fatto il caviale “nostrano” cresciuto nei mercati internazionale del 23 per cento. Piacciono all’estero anche le paste farcite tradizionali del periodo festivo come tortellini e cappelletti che hanno visto un più sei per cento nelle tavole di tutto il mondo.

Molto bene anche i formaggi (più 14 per cento), la stessa percentuale dei salumi, compresi i cotechini che sono uno dei simboli del Natale Made in Italy.

“Un trend che dimostra come l’agroalimentare italiano abbia resistito alla crisi generata dalla pandemia tanto da raggiungere a fine anno il record storico nelle esportazioni a quota 64 miliardi di euro nell’intero 2023, il massimo di sempre, se il trend sarà confermato”, sottolinea Coldiretti.

Le bollicine anche per il brindisi di fine 2023 non hanno tradito: sono state stappate, riferisce l’associazione, quasi un miliardo di bottiglie a marchio Italia nel globo e cioè più del triplo di quelle di champagne che ha comunque costi nettamente superiori.

 

Il Made in Italy non smette di conquistare, ma l’italian sounding resta un problema da 120 miliardi: troppi i prodotti “taroccati”

Un problema però resta ed è quello del cosiddetto “italian sounding” ovvero il fenomeno grazie al quale dando nomi che hanno assonanza con quelli delle eccellenze italiane possono “ingannare” i consumatori. Un problema che all’Italia costa moltissimo come già emerso nel 2021.

Il falso Made in Italy, ricorda Coldiretti, vale 120 miliardi di euro: una vera e propria sottrazione di risorse e opportunità di lavoro per il nostro Paese, rimarca. Sono ben 2milioni le imitazioni di prodotti italiani in giro e di cause non ne sono mancate per rivendicare la propria autenticità.

I prodotti più taroccati, spiega ancora, sono i formaggi a cominciare dal Parmigiano Reggiano e il Grana Padano on la produzione delle copie che ha superato quella degli originali, dal parmesao brasiliano al reggianito argentino fino al parmesan diffuso in tuti i continenti”, fa sapere Coldiretti. Ma ci sono anche le imitazioni di Provolone Gorgonzola, Pecorino Romano, Asiago o Fontina. Tra i salumi sono clonati i più prestigiosi, dal Parma al San Daniele, ma anche la mortadella Bologna o il salame cacciatore e gli extravergine di oliva o le conserve come il pomodoro San Marzano che viene prodotto in California e venduto in tutti gli Stati Uniti.

Per i vini una vera e propria “guerra” quella contro i “tarocchi”

E i vini? Immancabili anche loro (purtroppo). “Dal Chianti al Prosecco – continua Coldiretti – che è la bevanda più imitata. Ne sono un esempio il Meer-secco, il Kressecco, il Semisecco, il Consecco e il Perisecco tedeschi, il Whitesecco austriaco, il Prosecco russo e il Crisecco della Moldova mentre in Brasile nella zona del Rio Grande diversi produttori rivendicano il diritto di continuare a usare la denominazione prosecco nell’ambito dell’accordo tra Unione Europea e Paesi del Mercosur. Una situazione destinata peraltro a peggiorare se l’Ue dovesse dare il via libera al riconoscimento del Prosek croato”.

Il presidente Coldiretti, Ettore Prandini, spiega che “il contributo della produzione agroalimentare made in Italy alle esportazioni e alla crescita del Paese potrebbe essere nettamente superiore se dagli accordi venisse un chiaro stop alla contraffazione alimentare internazionale – afferma il presidente Coldiretti Ettore Prandini -. A far esplodere il falso è stata paradossalmente la ‘fame’ di Italia all’estero con la proliferazione di imitazioni low cost ma a preoccupare è anche la nuova stagione degli accordi commerciali dell’Unione Europea a partire dal Mercosur che riguarda Paesi dove particolarmente diffuse sono le imitazioni”.

 

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