Al Forum delle Economie sulla filiera Agrifood l'approfondimento Nomisma: il vino è quello che soffre di più, la pasta quella che gioisce di più. Eppure, per tutti, il cambiamento è una grande opportunità

C’è il vino, ma non solo: l’agroalimentare per l’Italia è un asset strategico anche per la sua rilevanza socioeconomica. Il settore, solo nella fase produttiva vale circa 59 milioni di euro. Numero che colloca l’Italia al terzo posto in Europa dopo Francia (79 miliardi) e Germania (61 miliardi).

Le filiere, però, crescono a velocità differenti e nessuno è rimasto escluso dalle conseguenze del Covid-19. A fare il punto è stata Nomisma che ha dedicato un approfondimento all’agroalimentare italiano, presentato durante il Forum delle Economie sulla filiera Agrifood promosso da Unicredit, Slow Food e la stessa Nomisma.

Un vero e proprio tavolo di confronto sul tema cui hanno partecipato i rappresentanti di tanti settori, vino incluso.

 

Agroalimentare, al Forum delle Economie Slow Food lo ha ribadito: siamo di fronte ad una transazione ecologica. Le tante piccole realtà del Paese vanno sostenute

Tra gli interventi c’è stato quello di Francesco Sottile (Slow Food Italia) che a pochi giorni dalla pubblicazione del Manifesto per una viticoltura etica ha sottolineato come “questo annus horribilis ci sta restituendo una visione della produzione agricola estremamente fragile, soprattutto nelle filiere locali del cibo”. E’ da qui, per lui, che bisogna ripartire per rafforzare il sistema di produzione “che non può rimanere ai margini dell’interesse politico – ha aggiunto -, ma deve conquistare sempre maggiore spazio e dare valore al proprio contributo a favore di una reale transizione ecologica”.

E’ dunque un cambio di visione quello che serve. Comprendere che la grande quantità di piccole aziende, di ogni settore, che animano l’agroalimentare italiano, insieme costituiscono “un mosaico di valore inestimabile per il ruolo importantissimo che giocano dal punto di vista, oltre che economico, anche agronomico, ecologico e culturale”.

Le politiche da attuare, in sostanza, ha sostenuto Sottile, è a loro che devono strizzare l’occhio e non alla grande industria che “non tiene conto del valore della biodiversità e dell’uso delle risorse naturali. Se il settore agroalimentare in Italia in Europa – ha detto ancora – viaggiasse con regole e opportunità uguali per tutti, allora si comincerebbe a parlare di mercato realmente libero e condizionato solo dalle capacità del saper fare”.

 

Agroalimentare: il Covid-19 ci ha colpiti al cuore. A soffrire di più è stato il vino. Il must dell’export? Pasta e pomodoro

E’ stato Denis Pantini, Responsabile Agricoltura e Industria Alimentare di Nomisma a illustrare l’approfondimento fatto, sottolineando come l’obiettivo debba essere quello di realizzare una “competitività sostenibile” del sistema agroalimentare italiano. Competitività che deve passare nella combinazione tra risorse pubbliche e private capaci di mettere in campo i progetti di sviluppo necessari per crescere.

Entriamo allora nel merito dello studio condotto. Inutile dire che il Covid-19 sì, ha colpito al cuore anche l’agroalimentare. Nonostante la tenuta del primo periodo della pandemia, in estate le performance, in termini di export, hanno fatto registrare il segno meno. La chiusura dei ristoranti, ripresentatasi con gli ultimi Dpcm, ha pesato, così come il mancato arrivo dei turisti dall’estero che sul settore ristorazione è pesata per 10 miliardi di euro. Quesi i principali colpevoli del calo registrato nel settore.

La conferma arriva dai dati trimestrali: il calo delle vendite alimentari in Italia era stato più basso nel primo trimestre del 2020 rispetto allo stesso periodo del 2019, ma nel secondo trimestre, complice il lockdown, è passato dal 23% al 64%.

 

C’è chi soffre…e chi no!

Veniamo alle note dolenti. Proprio il vino è stato uno dei comparti più colpite. Nei primi sette mesi del 2020 il calo dell’export è andato oltre il 3%. E all’interno del settore, i vini a denominazione (dop) sono quelli ad aver sofferto di più. Esempi ne sono i rossi Dop della Toscana che hanno perso il 7% di valore all’export e i veneti il 6%.

Ecco quindi la doppia velocità: per chi soffre, c’è chi gioisce. E’ la pasta, ad esempio, che ha guadagnato un 23% nell’export, così come la passata di pomodoro cresciuta del 10%. Beh almeno sappiamo che pasta e pomodoro, il piatto tipico della nostra dieta mediterranea, il mondo non smette di amarlo, anzi, fa il paio con l’idea di salutare come è giusto che sia.

 

Non tutti, anzi niente, è perduto. La digitalizzazione rivoluziona tutto il settore dell’agroalimentare. Serve una nuova logistica ed Enolò vuole dare il suo contributo

Veniamo alle note “piacenti”. Pantini si è infatti soffermato sulle sfide. Se di cupo c’è il fatto che il Pil, purtroppo, peserà sui redditi delle famiglie, il bisogno di reagire e ridare a tutti il giusto, passerà per nuove modalità distributive di prodotti (e dunque la logistica) e nuove modalità di approccio al consumo che viaggiano su due binari: e-commerce e digitalizzazione.

Parole che, noi di Enolò, digitiamo (perdonate la ripetizione), non da mesi, ma da anni e cioè da ben prima che la pandemia arrivasse. La digitalizzazione noi la viviamo nel B2B offrendo servizi innovativi alle aziende. Ed è una risposta importante, che passa anche attraverso una nuova visione della logistica, e che si lega a doppio filo anche con l’innovativo rapporto che si è instaurato tra produttori e dealer con i consumatori in un’ottica B2C.

Se ancora servisse la prova che anche nei rapporti di business la digitalizzazione è ormai imprescindibile, a confermarlo è il B2C con le vendite online che, come ha rilevato Nielsen nel 2019 e fino a febbraio 2020, rappresentavano per l’agroalimentare il 63%. Con il lockdown e nei quattro mesi successivi, cioè da febbraio ad agosto, la crescita è stata rispettivamente del 185% e il 172%. Insomma: non è solo il Coronavirus ad aver determinato questo cambio di abitudini.

 

Il Covid-19 lascia tante eredità all’Agroalimentare: la prima è che sostenibilità è la parola d’ordine. E’ ora di guardare al mondo con occhi e strumenti diversi

Infine l’eredità che ci lascia (o comunque ci lascerà) questo momento di grande cambiamento. Un’eredità i cui effetti si consolideranno nei prossimi anni. E anche in questo caso le notizie sono buone. La pandemia, lo abbiamo visto con le Carte dei vini, ha dato una maggiore consapevolezza dei consumatori sul valore del territorio. Questo porterà per forza ad un rafforzamento delle produzioni e a nuove relazioni tra gli operatori lungo la filiera con obiettivi chiari. Il primo è quella della sostenibilità che le persone vogliono e cercano. Sostenibilità che, in realtà, è anche la priorità delle politiche comunitarie a cominciare dal Green Deal.

Ecco che allora l’innovazione passerà anche per gli investimenti green delle imprese. Senza dimenticare, è questo ciò che emerge dall’approfondimento Nomisma, le altre sfide di mercato che attendono le nostre aziende agroalimentari: dalla Brexit all’evoluzione dei rapporti commerciali con gli Usa anche a seguito delle elezioni presidenziali, fino alla necessità di diversificare i mercati di sbocco. I suoi limiti la pandemia li ha resi evidenti, con il grado di concentrazione sull’export alimentare italiano risultato pari al 52%, contro il 47% francese e il 44% tedesco.

Insomma, non ci stancheremo mai di dirlo, la crisi è anche il sintomo di un cambiamento in atto. E di questo cambiamento si può e si deve essere protagonisti. Bisogna cambiare prospettiva. A meno che non sia un’Apocalisse, la crisi finirà, e vincente ne uscirà chi, dei nuovi strumenti a disposizione e di una nuova visione avrà fatto uso e tesoro. Ecco perché noi, con Enolò, abbiamo intrapreso da tempo questo percorso offrendo strumenti innovativi che strizzano l’occhio alla Platform Economy e l’evoluzione della comunicazione, oltre che della logistica, mettendosi a disposizione di tutta la filiera enologica.