Wine Monitor ci parla di quanto sia cresciuto il bio in termini di consumi nel Bel Paese. Eppure nel sistema vino italiano (bio e non) c'è un problema su tutti: quando impareremo a comunicare il "sistema Italia" e a farlo con le opportunità offerte dalla digitalizzazione? Il punto lo fa il documento Vision 20/30

Italia sempre più bio, con i consumi in costante crescite. E’ un mondo che cambia, sempre di più e in modo sempre più concreto e che va sempre più nella direzione della sostenibilità. C’è però un “ma”: e la comunicazione?

Pariamo dall’ultimo report Wine Monitor Nomisma, realizzato da Valoritalia, e facciamo il punto sul mondo del vino bio in Italia. Un report certifica come il vino bio abbia visto crescere in soli tre anni le vendite del 60% nel Bel Paese. Una volta fatto il punto sul vino bio allarghiamo lo sguardo a tutto il settore enologico e diamo uno sguardo a una sezione in particolare di Vision 20/30, il documento strategico nato dal contributo di 23 manager tra esperti e imprenditori: il vulnus della comunicazione!

 

Crescono i consumi di vino biologico in Italia che resta tra i Paesi leader in quanto a superfici vitate. Non è più un trend, ma una consapevolezza che piace!

 

Era il 2012 quando l’Unione Europea consentì di mettere il logo biologico sulle etichette dei vini. Dal 2010 ad oggi, secondo quanto riferito da Riccardo Meo, della direzione servizi per lo sviluppo rurale di Ismea, la produzione di vino bio in Italia è aumentata del 110%. Un numero che fa ben capire quanto sia cambiata l’enologia in poco più di un decennio e la capacità di risposta che si è data ai consumatori che ai mercati hanno chiesto chiaramente un cambio di passo, dimostrandosi sempre più attenti a ciò che portano in tavola, vino incluso. Salute e tutela dell’ambiente, possiamo dire ad inizio 2022, sono ormai termini entrati nella “normalità” e non più un’eccezionalità. Più che di un trend parliamo ormai di una consapevolezza.

E i consumi confermano. Come dice il rapporto Wine Monitor non solo le vendite sono aumentate del 60% in tre anni, ma se nel 2020 valeva circa 40 milioni nel 2021 si calcolerà il valore in 10 milioni di euro in più. Non chiamatelo più vino di nicchia: il vino biologico oggi attrae proprio tutti.

Perché? Beh perché per il 59% dei consumatori è un prodotto di maggior pregio e di maggior qualità rispetto ai convenzionali e sappiamo che su questo il dibattito è aperto, ma tant’è. C’è poi quel 75% di intervistati che tiene in alta considerazione le aziende che operano nel rispetto dell’ambiente: lo considerano un valore aggiunto.

Origine, sostenibilità e attenzione alla salute rappresentano le tre direttrici principali nella scelta dei prodotti agroalimentari italiani – conferma Denis Pantini, responsabile agroalimentare Wine Monitor Nomisma -. E le imprese vitivinicole hanno compreso benissimo l’orientamento green dei consumatori, tanto che il 90% delle aziende prevede che nei prossimi due anni l’interesse per i vini biologici e sostenibili crescerà.

 

Ecco i Paesi con i maggiori consumi di vino bio

Come abbiamo detto l’Italia è tra i Paesi leader in quanto a viticoltura biologica. Con lei, sl podio, ci sono Francia e Spagna. Nel Bel Paese nel 2019 si sono raggiunti i 107.143 ettari di superficie vitata bio: il 112% in più rispetto al 2020. Parliamo di una produzione che, nel 2020, si è tradotta in 3 milioni di ettolitri di vino.

Dove se ne consuma di più? In Germania, Francia, Regno Unito e Stati Uniti. Insomma siamo leader in produzione, ma meno in consumi, sebbene negli ultimi tre anni a spingerlo sia stata la Gdo con una crescita del 15% l’anno e picchi del 30% nel periodo delle festività.

 

Bio o no, nel mondo del vino italiano ci sono diversi gap da recuperare. Il primo è quello della ‘comunicazione’. Il punto del documento Vision 20/30

Fin qui tutto bene. Ma c’è un altro documento che vogliamo analizzare. Un documento quello di “Vision 20/30” dove di dati positivi ce ne sono tanti, ma dove non mancano aspetti che hanno bisogno di essere migliorati. Ne prendiamo uno che riteniamo particolarmente importante. Sia chiaro, qui non parliamo solo di bio, ma di tutto il mondo del vino. Ma d’altra parte per un settore in continua crescita, quello del biologico appunto,  conoscerlo è importante esattamente come per tutti gli altri.

Di comunicazione parliamo spesso e sappiamo che passi avanti sono stati fatti, ma tanti sono quelli da compiere. Se insomma si è stati capaci di cambiare e rispondere alle esigenze di un mercato e un mondo che ha bisogno di sostenibilità, è ora il caso di fare un altro cambiamento e imparare a comunicare meglio la nostra eccellenza.

Punti di forza, debolezze, minacce, opportunità e proposte  sono state sciorinate nel documento redatto. Vediamo quali e cerchiamo di fare il punto su un elemento imprescindibile, ancor più nell’epoca della digitalizzazione e sì, anche questo è un gap che va colmato: il primo.

 

I punti di forza del vino italiano

Secondo gli addetti ai lavori sono sei i punti di forza del vino italiano. Il primo? Beh ovviamente il fatto che parliamo di eccellenza a “marchio” Made in Italy che, da sole, sono già un forte richiamo. Altro grande richiamo quello che dal Bel Paese arriva in quanto a storie, tradizione e paesaggi del vino. C’è quindi la diversificazione. In quanto a denominazioni non ci sono paragoni, la nostra biodiversità non ha uguali e con i tanti canali di distribuzione possiamo permetterci uno sviluppo strategico “multi-livello”.

Non dimentichiamo poi i “wine cluster”. Smettiamo di vivere in recinti ideologici. Le eccellenze enologiche conosciute in tutto il mondo che si sono consolidate nel tempo vanno valorizzate e, con loro, i nuovi distretti che possono avere un grande sviluppo.

Vogliamo poi parlare della “abbinabilità” o se preferite del “food friendliness” che ha il vino italiano? Lo conosciamo bene, o almeno dovremmo. Sempre se, ultimo grande punto di forza rilevato, quel “contenuto comunicativo” che fa del mondo del vino un elemento “trasversale” per la valorizzazione dei territori e le loro eccellenze.

 

Le debolezze? sono molte di più…vediamo quali e perché:

Se sei sono i punti di forza, purtroppo, molti di più sono le debolezze rilevate da chi a Visino 20/30 ha contribuito. Al primo punto sapete cosa c’è? Sì, proprio lei: la digitalizzazione. E purtroppo, riferiscono gli stessi addetti ai lavori, se da un parte la pandemia ha accelerato il processo, dall’altra è emerso come in termini di alfabetizzazione digitale l’Italia resti indietro, anche nel settore vitivinicolo.

Seguono gli investimenti. Parliamo di ricerca e analisi. Si investe ancora troppo poco e questo vuol dire non avere una piena e reale consapevolezza delle esigenze dei mercati, o meglio dei bisogno dei consumatori che, alla fine, sono i veri grandi riferimenti. Cosa che, va da sé, implica investimenti in termini di…comunicazione!

Eppure proprio in questo si investe sempre meno, invece che di più, leggiamo nel documento. Un problema che riguarda soprattutto le piccole imprese, ma non esenta le grandi.

 

Basta banalizzare…e che la comunicazione sia ‘su misura’!

Stereotipi ne abbiamo? Anche troppi. La comunicazione è spesso “banale”. Usciamo dai cliché e cerchiamo di comunicare in modo diverso, ma per farlo (altro problema) bisogna identificare il target di riferimento perché, in fondo, ognuno ha il suo. Senza quello posizionarsi è davvero difficile. Mancano, insomma, modelli  comunicativi innovativi. siamo legati al passato, a un modo di esternare “polveroso” che guarda (e ci risiamo) all’orticello e non alla totalità. Questo si traduce in una comunicazione frammentata che, al sistema, bene non fa.

Un tema cui si aggiunge e lega quello della comunicazione “one-size-fits-all” quando dovrebbe essere “su misura” in riferimento al mercato, ma anche al canale distributivo. E se si frammenta la comunicazione si frammenta anche l’offerta con i “grandi” vitigni che fanno forse troppa ombra sulle altre grandi eccellenze italiane e che dunque difficilmente arrivano ai consumatori, giovani soprattutto.

D’altra parte se si comunica solo in pochi mercati e magari anche male, l’identità del vino italiano ne risente e non sa inserirsi nei mercati emergenti. Quelli cui, in realtà, bisognerebbe sempre strizzare l’occhio. Ultima debolezza (le avete contate per caso?) il fatto che non ci sia una regia per la comunicazione del vino italiano nei mercati internazionali e manchi una “critica enologica italiana” internazionalmente riconosciuta.

 

Nessuno scoraggiamento, le debolezze sono fatte per diventare punti di forza e le opportunità perché ciò accada non mancano!

Bene. Dopo aver preso tanti cazzotti in una volta, guardiamo anche alle opportunità e rincuoriamoci. Gettiamoci nel mondo del digitale, creiamo esperienze. Il Covid ce lo ha insegnato spingendo molti a reinventarsi. Affidarsi ai professionisti del settore è, ne siamo certi, un’altra grande opportunità. Noi lo facciamo da anni sostenendo ogni tipologia di azienda e in particolare proprio quelle piccole aziende che non investono perché temono di non farcela. E invece il digitale è proprio questo: minima spesa per massimo rendimento! L’obiettivo è uno solo: imparare a conoscere il consumatore e rispondere a lui nel modo più adatto.

I consumi, d’altra parte, sono cambiati e questa è un’altra grande opportunità. I consumatori sono sempre più attenti, curiosi, attratti dal bio (lo abbiamo visto), globalizzati e quindi più aperti a provare cose diverse, produzioni internazionali ed etniche. Ci dobbiamo far conoscere…sempre di più!

Come? Beh lo ridiciamo: innovando la comunicazione. Le possibilità, anche grazie ai social (ad esempio), sono infinite. La creatività bisogna averla o trovare (e ripetiamolo) chi può mettercela.

Esperenzialità. Ne parliamo da anni. Beh ora la “wine experience” non è più una cosa da “imparare”, ma qualcosa che avremmo già dovuto applicare. Molti lo fanno e bene. Altri (molti anche questi) possono e devono migliorare. Parliamo in questo caso non solo di enoturismo (altro tema trattato ampiamente nel report), ma anche e sempre di comunicazione. D’altra parte nell’epoca Covid non abbiamo imparato a brindare, fare corsi, aperitivi e condividere direttamente dal web?

Torniamo a monte perché poi, in fondo, tutto gira attorno agli stessi temi. Cosa dobbiamo comunicare? Noi stessi certo, ma nell’ottica di un sistema…il “sistema Italia”. Diamoci un’immagine unitaria è ora di farlo! E le tematiche non mancano: dalla diversità di genere all’inclusione, passando per la tutela dell’ambiente e …chi più ne ha più ne metta.

 

Conoscere punto di forza, debolezze e opportunità vuol dire saper affrontare le minacce che ci circondano!

Certo, direte voi, pare facile. Beh facile magari non è, ma possibile sicuramente. Anche perché le minacce sono tante e bisogna saper affrontare gli scenari che cambiano. Birra, mixology e Hard Seltzer sono sempre più competitivi e sanno spesso comunicare meglio con i giovani che sono il loro target. Sì, ridiciamolo, il target è importante!

Tornando agli investimenti se noi non ne facciamo abbastanza c’è chi ne fa parecchi in termini di innovazione di processi e prodotti. Dobbiamo stare al passo. E se non dobbiamo banalizzare, non dobbiamo neanche essere ripetitivi. Dire sempre le stesse cose, per quanto vere, nel tempo fanno perdere di senso il messaggio e questo potrebbe non essere più recepito per il valore che ha. Ecco, il valore del vino, comunichiamolo in modi diversi…diversifichiamo anche in questo caso!

Un problema che riguarda tutti è il declino dei consumi che scendono in tutto il mondo. Se investissimo in ricerca (e di nuovo torniamo a monte) forse sapremmo anche come arginare questa emorragia.

Attenzione poi al disequilibrio del mercato. Il rischio di sovrapposizione, con il conseguente eccesso di giacenze, è uno dei problemi principali della viticoltura italiana…non dimentichiamolo!

 

Che si parli di vino bio o no la questione è chiara: la comunicazione va rivista e gli addetti ai lavori avanzano le loro proposte!

Ecco allora le proposte che arrivano dagli addetti ai lavori. Punto primo: creare bandi nazionali per fornire incentivi e supporto economico alle aziende che vogliono innovarsi dal punto di vista della comunicazione, sia on che off line. Istituire poi un Osservatorio del consumatore mondiale così da orientare le scelte degli strumenti e i contenuti della comunicazione che vogliamo fare.

Organizzare un summit nazionale sul tema per affrontare i nuovi mercati, profilare i consumatori e trovare strumenti e contenuti che parlino del “vino italiano” (non di Caio e Sempronio). Va da sé che la formazione rientra in questo quadro: bisogna imparare a conoscere e usare i nuovi strumenti. Serve, insomma, una nuova professionalità.

Per chi il vino lo fa, lo vende e ci vive dentro altro tassello importante creare progetti comunicativi che sappiamo aumentare il “valore immateriale del vino”. Esempi? Tantissimi. Dallo sponsorizzare eventi culturali al sostenere progetti inclusivi.  Ed eccolo il punto su cui ci eravamo soffermati: avvicinare gli addetti ai lavori ai professionisti della comunicazione perché niente si fa da soli.

Studiare le case history di altri settori dove la comunicazione ha portato risultati importanti sarebbe una bella e giusta ispirazione così come creare un portale “Vino Italia” dove racchiudere tutto il nostro patrimonio. Ultimo punto stimolare lo sviluppo di una critica enologica capace di accreditare al meglio il vino italiano nel mondo.

Insomma il quadro è chiaro. Sono chiari i punti di forza, le debolezze e anche le opportunità. Ora siamo pronti ad accogliere la sfida? Pronti o no si deve farlo e siamo certi che il Made in Italy può ottenere risultati importantissimi.

 

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