Dopo la cessione ai francesi della salina di Santa Margherita di Savoia, a lanciare l'allarme è il professor Comolli: "gravi ricadute per la nostra gastronomia"

“Italia in svendita” e le sue eccellenze sempre più a rischio. Per una volta cambiamo binario e ci spostiamo da quello del vino per parlare di gastronomia. D’altra parte l’enogastronomia, nel senso più ampio, è il bene più prezioso dell’Italia e così come lo sono i calici lo sono le eccellenze che amiamo portare in tavola.

Eccellenze che, come ha dimostrato lo studio vacanziero della Coldiretti, sono il “sale” della nostra economia. Ed è proprio di sale che vi parliamo oggi e dell’allarme lanciato dal professor Giampiero Comolli, esporto di food&wine economy e ricercatore di una delle materie prime che ha reso i nostri prodotti famosi nel mondo. Un grido raccolto da Ansa e Rai dopo il passaggio in mani straniere della Salina Margherita di Savoia.

Italia in svendita: dopo lo zucchero tocca al sale, il rischio è di perdere molte delle nostre eccellenze

Ci si riempie la bocca di parole come “tutela”, come “valorizzazione”, “territorialità”, “autoctonicità”, “biodiversità” e così via. Eppure sembra che l’Italia non impari, anzi peggiori. Dopo l’abbandono dell’industria dello zucchero, come sottolinea Comolli, iniziato negli anni ’80 con la scomparsa di 330mila ettari di campi di barbabietole da zucchero per cui oggi se ne contano 30mila, è la volta del sale. O meglio della salina pugliese che è, di fatto, la più grande d’Italia. 500 ettari di vasche che sono ora proprietà della Salins du Midi. Un passaggio che mette a rischio la produzione delle nostre eccellenze, a cominciare dai prosciutti che portano il nome del “made in Italy” nel mondo.

E ad acquisirci non è stato di certo un gruppo qualsiasi, ma un vero e proprio colosso. Lo spiega lo stesso esperto di wine&food. “Si tratta di un colosso sul mercato europeo, già proprietario del sale della Camarghe e di altre saline marittime francesi”. Non solo, la Salinus du Midi possiede anche “il 100% di Cis-Compagnia Italiana Sali di Porto Viro (Rovigo)”. Uno spazio di 60mila mq dove vengono stoccati “sali della miniere francesi e delle saline dell’Atlantico che arrivano via mare dalle quattro sedi della Spagna e le tre della Tunisia”. Un gigante che lavora da 4 a 6 milioni di tonnellate l’anno di sale. Una quantità di tre volte superiore alla produzione italiana.

 

Italia in svendita, Comolli: “a rischio anche l’occupazione. E con l’export senza chiara tracciabilità cosa arriva sulle tavole degli italiani?”

La critica di Comolli non è al colosso francese, ma ad un Paese, l’Italia che ancora una volta, sottolinea, dimostra “il poco interesse nazionale” verso le sue di eccellenze. Una politica e un Paese che dimostra, sottolinea, “l’incapacità di riconoscere il valore strategico nazionale di una commodity soprattutto legata al made in Italy e il turismo enogastronomico”. A questo si aggiunge anche il valore occupazionale e produttivo della salina pugliese. “Passa di mano nel silenzio – dice ancora l’esperto -, la salina, che da sola può produrre ottimo sale integrale iodato per circa 1 milione di tonnellate l’anno, con il 97-98% di purezza di cloruro sodico, rischia di lasciare a casa 20-30 lavoratori”.

Una riflessione interessante e importante che spinge anche a riflettere su ciò che accade dopo e cioè quando i prodotti, e in questo caso il sale, finisce sulle tavole degli italiani. Il sapore che rimane è un po’ come quello di una tazza di caffè in cui, per sbaglio, si è messo il sale: a dir poco amaro e fastidioso. Il valore del prodotto nazionale è di 125-135 milioni di euro l’anno, che diventano 200 milioni come fatturato al consumo. “Margini reddituali stretti – spiega bene Comolli -, prodotto senza valore aggiunto e prodotto commodity sono i punti deboli. Un altro problema è l’esportazione di sale in Italia. Vale 70 milioni di euro: il 30% del totale. Parte di questo finisce, anche senza chiara origine e tracciabilità, sulle nostre tavole. Questo – conclude – nasconde e annacqua ancor più l’origine nazionale. Credo che un po’ di chiarezza per il consumatore sia obbligatoria, urgente”. Come dargli torto?