Per i consumatori è diventata prioritaria tanto che, in tempo di pandemia, sono aumentati quelli che vanno in enoteca. E' solo uno dei tanti aspetti dell'analisi congiunta condotta, per la prima volta, da Area Studi Mediobanca, Ufficio Studi di Sace e Ispos sull'andamento post-pandemia

E’ il momento delle indagini nel mondo del vino e tra le tante abbiamo scelto di parlarvi del primo report congiunto di Area Studi Mediobanca, Ufficio Studi di Sace e Ipsos dedicato al settore. Un’indagine che analizza sia il mercato domestico, che l’export e gli andamenti sui mercati internazionali, ma anche le novità socio-culturali dei consumi post pandemia. Ed è proprio da questo ultimo aspetto che vogliamo partire.

 

Quel dettaglio dell’indagine che ci parla di un’importante variazione nei consumi: la qualità fa la differenza… e l’online conquista sempre più, in primis… le donne!

C’è un dettaglio dell’indagine che ci ha colpito. Parliamo di consumi e di come questi si siano modificati. Se anche l’indagine Area Studi Mediobanca, Ufficio Studi di Sace e Ipsos confermano le difficoltà dell’Horeca (dovuto alle maggiori restrizioni subite durante la pandemia) e di una Gdo che, al di là del calo, è rimasto il canale di acquisto privilegiato dagli italiani, c’è un aspetto che non va affatto sottovalutato: le enoteche hanno visto crescere la presenza di acquirenti. Perché? Perché la pandemia, complice la digitalizzazione così come risulta da altre indagini pubblicate in questi giorni, ha fatto crescere la voglia di qualità sotto molteplici aspetti: dal locale al prodotto.

Nello specifico gli italiani che non si sono mai rivolti ad un’enoteca per comprare una bottiglia di vino è sceso dal 48% pre-pandemico all’attuale 42%. Ciò vuol dire che gli acquisti in enoteca sono cresciuti del 6%. Altro dato da sottolineare è che questa “preferenza” ha coinvolto in particolare l’universo femminile: le non frequentatrici di enoteche sono scese dell’8% passando dal 52% del pre-covid all’attuale 44%.

Se le donne sono quelle che più di tutti hanno scoperto il valore di questi luoghi, l’apprezzamento per gli stessi ha tagliato trasversalmente tutte le fasce dei consumatori, compresi i giovanissimi. Le enoteche, infatti, sono state scelte dal 5% in più dei Millennials e il 6% della Generazione X e i cosiddetti Baby Boomers.

E se le enoteche attraggono, non meno attirano cantine e produttori. Nel periodo pre-covid gli italiani che non si erano mai recati in cantina erano il 46%, oggi sono il 39%: i produttori li scelgono il 7% in più dei consumatori. Un dato che ci colpisce, lo ribadiamo, perché dimostra come la pandemia abbia cambiato non solo le abitudini, i mercati e le strategie di marketing, ma anche l’idea della distribuzione là dove i negozi specializzati come le enoteche diventano poli attrattivi, e la figura del mediatore assume un ruolo meno rilevante rispetto al rapporto diretto.

 

Il nuovo dictat è il rapporto diretto e il digitale è la strada di connessione

Va da sè che anche l’indagine di cui stiamo parlando conferma il boom ell’e-commerce che, ancora una volta, crea il canale diretto tra consumatore e produttore. Prima del lockdown, emerge, il 71% degli italiani non aveva mai fatto un acquisto online. Oggi è il 64%: il 7%in meno. Il dato si conferma per il dealer al centro dell’indagine: le enoteche. Qui la crescita è stata del 6% passando dal 74% di italiani che mai aveva acquistato online dai loro portali, all’attuale 69%.

Ci permettiamo di dire che così come dimostra il B2B, anche nel B2C l’impellenza è la stessa: il rapporto diretto tra dealers e produttori…quello su cui Enolò punta sin dalla sua nascita nell’ottica del fenomeno del marketplace.

 

L’esplosione di e-commerce e marketplace nel B2B e l’orientamento degli investimenti

Entrando nel dettaglio questi i numeri fatti dall’online in tempo di pandemia: +74,9% di vendite sui portali web di proprietà; +435% per le piattaforme specializzate e +747% per i marketplace generalisti. Nel 2020 gli investimenti nel digitale dei maggiori produttori italiani sono aumentati del 55,8% a fronte del –14,3% degli investimenti complessivi e il -13,4% della spesa pubblicitaria.

 

Le vendite in epoca pandemica e il rapporto dei consumatori con il prezzo

Un ultimo aspetto che inseriamo in questa sezione è quello delle vendite e del rapporto dei consumatori con i prezzi. Le imprese con fatturato 2020 in aumento hanno venduto il vino base (meno di 5 euro) per il 70,8% del fatturato, quota che però scende al 52,6% all’interno del gruppo di imprese con vendite in calo. Un dato, questo, che però è destinato a salire quando si assesteranno gli stili di consumo post pandemici, dice l’indagine.

Per quanto riguarda i consumatori e la spesa per l’acquisto di una bottiglia di vino, la scelta sembra essere orientata verso due fenomeni: una crescente polarizzazione della fascia di prezzo, con l’accentuarsi della forbice tra bottiglie di basso e alto livello e un conseguente indebolimento della fascia di prezzo intermedio che scivola verso quella inferiore.

 

La pandemia ha dettato un calo… ma non nel bio! L’indagine conferma che è ben più di una tendenza così come quella dei nuovi prodotti che tirano sempre di più!

Altro grande fenomeno è quello del bio. Quando la tendenza è venuta fuori, qualche anno fa, c’era chi la definiva “passeggera”. Che non lo fosse si era già capito, ma la pandemia, complice la riscoperta dell’importanza di aver cura del nostro pianeta, l’unico che abbiamo a disposizione, ha probabilmente contribuito ad aumentare ancor di più la voglia di biologico. Stando all’indagine congiunta di Area Studi Mediobanca, Ufficio Studi di Sace e Ipsos l’aumento delle vendite del vino biologico nel 2020, anno della pandemia, è stato del 10,8% per una quota di mercato del 2,3%.

Tre le tipologie di consumatore rilevate: i bio-attratti, quelli altamente interessati ai vini biologici e che rappresentano il 36% dei bevitori; i bio-light, caratterizzati da un approccio non convinto e un po’ modaiolo dei prodotti biologici che arrivano al 33% e i bio-refrattari  rappresentati dal 31% restante. Tra i bio-attratti, a dirla tutta, ci sono anche i bio-fan, in parte anche high-spender: rappresentano il 24% dei consumatori di vino. Un dato a dir poco importante a pensarci bene.

Se il bio piace, continua invece a non convincere il biodinamico che ha fatto registrare un crollo del 21,9% per una fetta di mercato pari allo 0,1%.

 

Nuovi formati e nuovi prodotti…la promozione anche in realtà aumentata

Se l’indagine che stiamo analizzando ci parla anche di nuovi formati, con uno sviluppo del 5,8% per i vini confezionati in contenitori alternativi al vetro come brick, lattine e bag in box, con una propensione alla leggerezza, l’ecosostenibilità e quindi adatti da vendere online che piacciono tanto ai giovani, la conferma che c’è voglia di nuovo, arriva anche da un’altra indagine: “Il vino 2021. One year after” commissionata dal Consorzio Tutela del Gavi docg, e condotta dallo Iulm Wine Institute (IWI), in collaborazione con l’Unione Italiana Vini (Uiv), il Corriere Vinico e Wine News, curata dal professor Massimiliano Bruni.

La pandemia ha richiesto inventiva. Secondo il 94% delle cantine intervistate, infatti, le iniziative promosse durante il Covid sono state utili per aumentare la notorietà del marchio, esplorare nuove forme di comunicazione, di vendita e hanno generato volumi addizionali. Ben il 51% ha quindi pensato di lanciare sul mercato nuovi prodotti per potenziare la presenza nel mercato online che, come abbiamo visto, è stata la vera rivoluzione dell’era pandemica. Prodotti promossi anche grazie a veri e propri tour virtuali nelle loro realtà che, nel 9% dei casi, si sono svolti persino in realtà aumentata.

 

Se il 2020 è stato un anno in flessione, grazie alla resilienza delle aziende e soprattutto l’export il 2021 è l’anno del ‘rimbalzo’!

Ora passiamo all’analisi di aziende e mercati per cui sì, la pandemia pesa, il calo c’è stato, ma il 2021 sarà l’anno del “rimbalzo”: insomma la resilienza dimostrata pagherà. Per quanto riguarda i maggiori produttori italiani la perdita del fatturato è stata del 4,1% nel 2020. Dato che si è tradotto nel -6,3% per il mercato interno e il -1,9% per l’estero. A perdere più terreno sono stati i vini frizzanti (-6,7%). Seguono i vini fermi (-3,5%).

Le cooperative hanno invece contenuto la flessione facendo registrare un -2%. La Gdo ha visto salire invece la sua incidenza al 38% rispetto al 35,3% del 2019. L’Horeca, come anticipato, soffre con una contrazione del 32,7%. Se i dati non sono positivi (in generale) i produttori si attendono però nel 2021 una crescita del 3,5% che arriverebbe per la sola componente export al 4,6%. Per le maggiori società di spirits, si prevede un anno con vendite in crescita del 5,4% e del 4% per le esportazioni.

 

I numeri dell’export italiano

Secondo l’indagine in analisi il biennio 2021-22 poterà ad un aumento di consumi di vino del 3,8% l’anno in molti dei mercati principali. Mercati dove l’Italia è o vuole essere ancor più protagonista. Parliamo degli Usa dove la media di consumi dei vini italiani è del 2%, ma anche della Germania (3,1%). Le nuove opportunità possono arrivare da Canada e Giappone dove ci si aspetta un +5,9% dei consumi di vino italiano nel biennio. Tra le mete più attrattive la Cina dove l’aspettativa è del +6,3%. Si guadagna un posto tra i mercati su cui puntare anche il Vietnam, dove i consumi sono cresciuti del 9,6%. Difficile dire invece cosa accadrà con il Regno Unito. Il motivo? Ovviamente la Brexit.

Venenedo ai nostri numeri le esportazioni italiane di vini e spirits valgono il 30% delle nostre vendite di alimenti e bevande oltreconfine per 7,8 miliardi di euro nel solo 2020. Una crescita costante negli ultimi anni, ma in leggera frenata nell’anno della pandemia con una contrazione del 2,3% per i vini e del 6,8% per gli spirits.

L’export italiano (parliamo del vino) nel 2020 vale 6,3 miliardi di euro. Si stappa sprattutto negli Usa (23,1% del totale), in Germania (17,1%) e nel Regno Unito (11,4%). Le vendite hanno però registrato una flessione negli Stati Uniti (-5,6%) e in UK (-6,4%), mentre si è mossa in controtendenza la Germania (+3,9%). La sofferenza più grande? Per gli spumanti (-6,9%).

 

Imprese e pandemia: le best performer del 2020 secondo l’indagine Mediobanca, Sace e Ipsos

Chiudiamo questo lungo articolo con le imprese italiane “best performer” nel 2020. Su tutti c’è il gruppo Cantine Riunite-GIV, con fatturato a 581 milioni di euro (-4,4% sul 2019). Al secondo posto, ma ben lontana, un’altra cooperativa, la romagnola Caviro, il cui fatturato è cresciuto del 10%, (circa 362 milioni di euro). Terzo posto per la veneta Casa Vinicola Botter (230 milioni, +6,4%). Seguono altre cinque aziende con ricavi superiori a 200 milioni di euro: la toscana Antinori, il cui fatturato 2020 pari a 215 milioni di euro ha subìto un calo del 12,5%, la trentina Cavit (fatturato 2020 pari a 210 milioni di euro, +9,6% sul 2019), le piemontesi Fratelli Martini (208 milioni di euro, +1,1% sul 2019), IWB (204 milioni, +29,7%) e la veneta Enoitalia che ha realizzato una crescita del +0,8%, portandosi a 201 milioni di euro.

Questa la classifica in termini di aumento del fatturato nel 2020. Iwb domina tutti con un +29,7%. Segue la Contri Spumanti con un +13,8%. Al terzo posto l’ex aequo Caviro e Mondodelvino, (+10%). Queste le altre: Cavit (+9,6%) e La Marca (+8,7%), per chiudere con il +6,4% di Botter e il +5,7% di Schenk Italia.

Infine la redditività, ovvero il rapporto tra risultato netto e fatturato. Stravincono Toscana e Veneto con Antinori (26%), Frescobaldi (24,5%) e Santa Margherita (24,2%).