L'indagine Agivi ci parla di una nuova generazione attentissima alla sostenibilità. Per loro non esiste il compromesso e i fornitori li scelgono in base a quanto sono attenti a tutelare l'ambiente circostante

Il futuro del vino è sempre più green. Non lo diciamo noi, ma i giovani imprenditori del vino che hanno capito non solo che questa è un’esigenza del mercato, ma anche e soprattutto un vero e proprio nuovo must culturale che fa il paio con il bisogno di tutelare l’ambiente, combattere i cambiamenti climatici e proteggere noi e il pianeta. Un bisogno che la pandemia ha reso ancor più evidente.

Secondo quanto emerso da un’indagine Agivi e riferito dai giovani imprenditori, quasi 7 su 10 di loro scelgono i propri fornitori in base alla sostenibilità.

 

Il futuro del vino è green: i giovani imprenditori Agivi ne hanno già fatto la ‘normalità’ e praticamente tutti credono nel valore intrinseco della parola ‘sostenibilità’

Se qualcuno pensa che le certificazioni siano “inutili” o addirittura troppe, dovrà forse ricredersi. Sì perché i giovani vignaioli italiani, per produrre, si rivolgono a chi ha certificazioni riconosciute e che dunque producono a loro volta assicurando riciclo, riduzione della chimica ed energie rinnovabili, nonché su coloro che investono in mobilità elettrica. In perfetta linea, dunque, con gli obiettivi dell’Agenda Europea 2030.

“Da tempo – spiega la presidente Agivi, Violante Gardini Cinelli Colombini in associazione registriamo una sensibilità diffusa e crescente su questi temi. Per questo abbiamo deciso di provare a misurare quanto il rispetto per l’ambiente influenzi le scelte aziendali, anche in un’ottica di nuove chance commerciali”. E così non solo 7 intervistati su 10 hanno dichiarato di scegliere i fornitori seguendo criteri precisi di sostenibilità, ma l’83% delle aziende dichiara anche di avere piani e progetti propri sul tema, con 8 su 10 che li stanno anche portando a compimento.

Non c’è che dire: una vera e propria rivoluzione che inizia finalmente ad avere il sapore della “normalità”.

 

Per il 94,3% dei giovani viticoltori sostenibilità è anche competitività e passa anche per packaging, certificazioni e mobilità come nuovo motore dell’enoturismo

Entrando nel dettaglio delle rilevazioni possibili grazie al sondaggio, è emerso che praticamente la totalità dei giovani produttori Agivi, per la precisione il 94,3%, pensa che la sostenibilità sia un fattore decisivo in termini di competitività sui mercati nazionali e internazionali. Il 64,7% ha già fatto una scelta sul packaging puntando su quello a ridotto impatto ambientali. E ancora: 7 aziende su 10 hanno già certificazioni green e rappresentano circa un terzo di quelle che propongono vini certificati biologici.

Se il bio piace, il biodinamico… scende nei consensi. Tutti elementi, quelli citati, che vanno di pari passo con la consapevolezza che green fa anche il paio con enoturismo. Ecco perché il 57% degli intervistati pensa di dotarsi di colonnine di ricarica o di mezzi commerciali ad alimentazione ibrida o elettrica.

Ciò che emerge, infine, è come la consapevolezza dell’esigenza di cambiare il modo di produrre, sia andata di pari passo con l’evoluzione delle singole realtà imprenditoriali. Ben 3 su 4 dei giovani viticoltori Agivi interpellati, infatti, vengono da lunghe storie enologiche. Sono cioè alla guida di aziende di famiglia. La loro età? Va dai 25 ai 39 anni e sono a capo di realtà con un fatturato medio aziendale di 7.9 milioni di euro, con una produzione media di circa 1,6 milioni di bottiglie l’anno. 

 

Sì, il futuro del vino è green, ma per quanto? L’allarme Imt: senza una banca dati impossibile monitorare fenomeno e accedere a fondi Ue per far sì che cresca

A questo punto, però, se svolta green deve essere anche nel mondo del vino, tanto vale ricordare l’allarme lanciato un paio di settimane fa dal direttore dell’Istituto marchigiano di tutela dei vini (Imt) e rappresentante dei consorzi italiani al Comitato vini presso il Mipaaf Alberto Mazzoni, proprio sul vigneto biologico italiano. Una realtà, ha detto “che merita maggior attenzione di quanto ne abbia oggi. Rappresentiamo – ha sottolineato – un quarto degli ettari vitati bio nel mondo con un’estensione che nell’ultimo decennio è aumentata di oltre il 100%, ma ancora non abbiamo una banca dati sul settore per osservare il fenomeno a partire dai suoi fondamentali, legati a produzione, confezionamento e vendita”.

Insomma, in sintesi: manca una banca dati e così si rischia di disperdere un patrimonio di conoscenza di cui i giovani imprenditori del vino, a quanto pare, sono una parte molto importante.

Mazzoni lo ha detto chiaramente: oggi come oggi i consorzi italiani non sono in grado di monitorare il trend di un modello produttivo sempre più strategico. E neanche di assecondarne l’evoluzione attraverso maggiori punteggi nei bandi europei, nazionali e regionali.

Il rischio, in sostanza, è che questa rivoluzione resti silenziosa e non possa affermarsi pienamente non essendo possibile capirne realmente la portata e, di conseguenza, fornirgli gli strumenti giusti per giungere a compimento.

 

Potrebbe interessarti anche:

Il vigneto è un ecosistema: il grande esempio del Cile

Api, alleate del vino: sono loro le guardie del corpo dei vigneti