Uiv e Istat confermano il buon andamento dei primi 6 mesi del 2019, ma qualcosa, nei prezzo non va. E' ora di pensare a nuove politiche di business

Se da una parte c’è la vendemmia che ci conferma ancora come i maggiori produttori in termini di quantità, dall’altra c’è l’export che fa bene, in alcuni casi eccelle, a la vera partita, leggendo i dati, si gioca sui prezzi e sul valore.

Sono diverse le stime fatte nelle ultime settimane così come le riflessioni. E’ il caso di fare il punto per capire come va il settore enologico in Italia e quali sono le priorità su cui l’Italia deve lavorare.

 

Unione Vini Italiani: l’export cresce, ma a che prezzo?

Partiamo dai dati dell’Unione Italiana Vini pubblicati qualche giorno fa. La fotografia dell’Italia del vino è certamente in salute. Nei primi sei mesi del 2019, infatti, l’export ha superato i 10 milioni di ettolitri facendo registrare una crescita del 9%, guadagnando invece in valore 3 miliardi di euro pari ad un +3% rispetto allo stesso periodo del 2018.

L’analisi si è concentrata in particolare sugli Stati Uniti, uno dei mercati principe del vino italiano. E’, in realtà, il primo in termini di valore per la nostra enologia. Qui già si registrano i primi problemi. L’export è sceso infatti del 4% in volume per 1,1 milioni di ettolitri complessivi, mantenendo valori stabili a poco meno di mezzo miliardi di euro. Uno stop dovuto certamente anche al fatto che l’abbondante vendemmia del 2018 ha permesso di tenere in quota i prezzi medi di spumanti e vin fermi, facendo però registrare una flessione di ben il 30% se parliamo di vino sfuso, per il quale il maggior competitor resta la Spagna.

Ad aver registrato la contrizione maggiore negli Stati Uniti sono stati i vini bianchi italiani che sono scesi del 10% in volume e del 7% in valore. I rossi nel tenere la botta hanno fatto la loro parte. Questi, infatti, hanno fatto registrare crescita sia in valore che in volume, rispettivamente dell’8% e del 3%.

Ma la verità, ancora una volta, è che a far registrare il risultato migliore sono stati Prosecco e spumanti. Per loro la crescita è stata del 6% in volume e del 5% in valore.

 

Il timore per i dazi Usa c’è, ma non è quello a fare la differenza, o almeno non solo…

Già dai dati dell’Unione Italiana Vini potremmo trarre una prima riflessione sul reale andamento delle cose. Se è vero che i bianchi e i rossi italiani sono un patrimonio inestimabile, con varietà introvabili in ogni altr parte del mondo, allora è vero che tutelarli e soprattutto dargli un appeal maggiore nei mercati è fondamentale. Ancor più in un mercato come quello statunitense con Trump che minaccia l’imposizione dei dazi.

Non basta essere bravi, belli e buoni, servono delle politiche mirate perché come ha dimostrato il Canada, non è solo una questione di qualità fine a se stessa. Proprio qui, infatti, riferisce l’Uiv, l’export italiano è sceso del 6% a fronte di una Francia che incassa un piccolo +2% e, soprattutto, la Spagna che la crescita l’ha portata al 22%. E per tutti valgono gli accordi di libero scambio per cui imputare a cause terze il cattivo andamento, sarebbe un errore che impedirebbe di lavorare nella giusta direzione.

 

Istat e Vinitaly Nomisma Wine Monitor confermano: l’export cresce, ma se non impariamo a darci ‘valore’ rischiamo di azzopparci

Se l’Uiv ci dice che l’export cresce, l’Istat, con i dati elaborato dall’Osservatorio Vinitaly Nomisma Wine Monitor, conferma: nei primi 7 mesi del 2018 le spedizioni extra-Ue sono cresciute del 3,3%. Numero che colloca l’Italia quarta tra i top exporter nel mondo. Meglio fanno Paesi emergenti. Primi in classifica sono infatti Nuova Zelanza e Cile cresciuti rispettivamente del 13,2% e dell’8,2%. Terza la nostra “concorrente” per eccellenza, la Francia che con il suo (5,9%) “minaccia” alcuni dei Paesi dove il vino italiano va per la maggiore. Parliamo di Usa, Uk e Giappone.

E i prezzi? L’attenzione l’Osservatorio, per fare una riflessione reale sui dati, la apre proprio su questo. E il monito è chiaro: seppur il comparto a fine anno potrebbe sfondare il tetto dei 6 miliardi della bilancia commerciale, questo non significa che vada tutto come deve andare.

Innanzitutto va ricordata la crisi di giugno quando l’export era sceso del -7,6%, ma a dover far preoccupar è il calo del prezzo medio. La caduta dello sfuso e la minor contrazione dell’imbottigliamento hanno infatti portato ad un prezzo medio inferiore del 5,1% rispetto allo stesso periodo del 2019. Dato che, in Europa, è ancora più allarmante: il calo del prezzo del vino è stato del 7.9%. Basti pensare alla Germania, Paese tra i top del nostro export: il crollo è stato del 10,1%, con la quotazione media ferma a 1,9 euro al litro. Non va meglio nel Regno unito dove il prezzo medio è sceso del 3,6% con la picchiata dello sparkling (-9,9%). E se è vero che in Giappone la crescita dell’export è del 15% è altrettanto vero che anche qui il deprezzamento del vino italiano è stato cospicuo.

In conclusione…

Nel complesso, è questo il dato da fissare nero su bianco, il vino italiano nel mondo, sfuso incluso, è venduto a un prezzo medio di 2,9 euro al litro. Se il  settore è in salute e cresce, dunque, non bisogna abbassare la guardia. I Paesi emergenti la loro voce sanno farla sentire bene e alcuni temi legati all’enologia che possono influire anche sul loro valore, vanno valorizzati. Un esempio è quello della sostenibilità. Ha detto bene il Dg di Veronafiere Govanni Manotovani: sono le politiche di business che vanno riviste.