La sfida è ancora apertissima. La conferma arriva dagli Stati Uniti dove gli strumenti innovativi non sono ben utilizzati. Cosa servono? I professionisti

Digitalizzazione del vino? Siamo davvero così indietro? La verità, leggendo lo studio appena pubblicato dal Wine Business Institute della Sonoma State University californiana ci lascia più che altro pensare che, se parliamo di e-commerce e presenza digitale, questa grande differenza non c’è. E non è un bene. Perché da quanto emerge, la verità, è che nessuno sembra aver ancora colto a pieno il potenziale del marketing digitale. Il lato positivo? Si può ancora essere competitivi, ma per diventarlo bisogna prima di tutto crederci.

 

Digitalizzazione del vino: negli Usa come in Italia a fermare la rivoluzione sono scarsa conoscenza e ristrettezza del budget

Gli ultimi dati italiani ve li abbiamo raccontati di recente sottolineando come si sta pian piano imparando l’utilizzo dei social, ma affatto capendo il valore dell’e-commerce inteso in senso ben più ampio del semplice scambio commerciale.

Negli Stati Uniti, a quanto pare, non è che le cose vadano poi tanto meglio e considerando che è uno dei principali competitor a livello globale, potremmo dire che la sfida non è neanche iniziata seppur con una differenza: da quelle parti la consapevolezza del valore di operare in questa direzione ce l’hanno.

E’ quanto afferma la ricerca portata avanti dal Wine Business Institute e l’agenzia di consulenza Somm Digital Corporation. Sotto la loro lente d’ingrandimento sono finite 257 cantine. Tutte, a quanto pare, hanno compreso l’importanza di portare avanti strategie di marketing efficaci, ma moltissime ammettono di non essere in grado di promuoverle. E le ragioni sono prevalentemente due: scarsa conoscenza e scarso budget. Ecco che allora le università si dedicano alla formazione di quelle figure professionali che potranno andare a colmare questo gap. Non sembra una storia già sentita? Anche l’Italia parla spesso della necessità di avere figure professionali in grado di accompagnare le aziende in questa trasformazione, e se da una parte ci sono le università, dall’altra professionisti in grado di offrire nuove opportunità già ci sono come dimostra la realtà della nostra Start Up.

 

Digitalizzazione del vino: non si investe e se sui social la presenza c’è, la diffusione dei contenuti non segue un’efficace strategia

Ma proseguiamo nell’analisi del mercato digitale statunitense. I social anche qui vanno alla grande e il 98% delle aziende una pagina Facebook ce l’ha, ma la verità, afferma lo studio, è che tutto, o quasi, viene utilizzato male o comunque non al massimo delle potenzialità. Lascia di stucco leggere che ben il 36% delle aziende ha dichiarato di non spendere nulla in pubblicità.

Il 75% spende invece meno di 100 dollari al mese. Non abbastanza per sostenere una campagna di marketing digitale soprattutto in considerazione del fatto che, da queste parti, altri settori di dollari, per questo ne spendono ben mille al mese. Dagli States arriva anche la “denuncia” dell’erroneo utilizzo di una delle piattaforme che più potrebbe aiutare: YouTube. E’ “sottoutilizzato” vista l’enorme portata e i costi contenuti. Ma i video bisogna saperli fare ed ecco che di nuovo tornano in ballo le professionalità.

 

Anche negli Stati Uniti l’e-commerce non vola come dovrebbe. Tutti parlano di Seo, ma nessuno tra i piccoli produttori ha capito ancora cos’è

Pensate che solo in Italia non si sia capito il potenziale dell’e-commerce? Sbagliato. Lo studio rileva che anche negli Usa meno del 5% delle vendite avvengono sul web e questo vuol dire che anche oltreoceano il potenziale è rimasto fino ad ora inespresso. Ma come si fa ad essere competitivi online? Il 45% degli intervistati lo ammette candidamente. Non lo sa. Una differenza però c’è: i produttori americani, a differenza di quelli italiani, hanno capito che bisogna fare qualcosa per restare competitivi, ancor più se si considera il fatto che parliamo di aziende medio-piccole. Tanto è vero che pur riconoscendo di non avere idea di cosa sia il Seo, qualcuno ci ha almeno provato a mettere in campo strategie efficaci. Ma per farlo, tanto vale ripeterlo, bisogna affidarsi a dei professionisti.

 

La differenza tra i viticoltori Usa e quelli italiani? La consapevolezza di avviare il cambiamento. Formazione e professionisti fanno la differenza

Insomma, i produttori americani hanno bisogno di chi li accompagna in una rivoluzione iniziata ormai da tempo. I piccoli però lo sanno: senza la possibilità di investire come lo si può fare? Le risposte sono due: formazione e professionalità. Se la prima si è ampiamente avviata nelle università e nelle scuole di specializzazione che pian piano stanno formando i giovani verso quelli che saranno i lavori del domani, la seconda è quella rappresentata, in un Paese come l’Italia, da realtà come qualla di Enolò. Una Start Up che va ad intervenire proprio in quegli ambiti in cui sembra essersi arenati. Costi contenuti, efficienza ed efficacia sono i punti di forza offerti dai suoi servizi innovativi che stanno portando una vera e propria rivoluzione nella filiera vinicola nazionale, permettendo anche alle aziende più piccole di avere una gestione flessibile della loro attività senza il bisogno di intermediari, una rivoluzionaria concezione della logistica e l’ampliamento dei loro mercati. Tutto senza tralasciare aspetti fondamentali qual è il marketing digiale.