Non fare nulla vuol dire creare un vortice che coinvolge tutti e in cui tutti ci rimettono. Al ProWein Media Summit si è fatto il punto su situazione e possibili soluzioni

E’ tempo (non più rinviabile) di Climate Change. Ci si prepara al quarto sciopero globale per il clima (Friday For Future) che invaderà domani le piazze di tutto il mondo, e intanto anche il mondo del vino fa i conti con il cambiamento climatico. Proprio di questo si è parlato all’università di Geisenheim in occasione del ProWein Media Summit andato in scenda dal 20 al 22 novembre.

Si è parlato di ricerca, di soluzioni pratiche per la vigna e la cantina, ma anche di logistica, di aspettative, intenzioni e richieste che vengono dalla filiera. Produttori, consumatori, distributori, media, istituzioni, commercianti e ricercatori si sono dunque confrontati sul Prowein Business report 2019 incentrato proprio sul cambiamento climatico.

 

Climate Change: la percezione c’è e molti scelgono di spostarsi a nord

Ad essere preoccupato, è emerso, è ben il 50% degli addetti ai lavori e sono tanti quelli che hanno già messo in campo pratiche agricole ed enologiche per cercare di arginare il fenomeno. Ma chi ne ha la possibilità, grazie a fatturati consistenti e nello specifico in questo caso le cooperative, a quanto pare pensa a spostarsi in altre zone più fredde e iniziare lì un nuovo percorso. Qualcuno, in realtà, lo ha già fatto. E ancora una volta ci fa riflettere la notizia secondo cui in Scandinavia il fenomeno vino sia in costante crescita. Una crescita contenuta, ad oggi, ma a ben guardare se davvero il Climate Change cambiasse la geografia del pianeta, inevitabilmente cambierà anche quella della viticoltura.

Se parliamo di percezione, il problema si fa sentire ormai da 5 anni e a recepirlo come reale è il 90% dei produttori, seguito dall’89% delle cooperative e il 75% dei grandi produttori. Ma ad essersene accorti sono stati anche gli esportatori (70%), importatori (59%) e grossisti (59%). Ognuno però, ci vede dietro problematiche diverse. Differenze, in realtà, facilmente individuabili. I produttori, infatti, si trovano a far fronte a vendemmie scarse e variabili, al problema idrico e al bisogno di investire su nuove varietà capaci di resistere a temperature così diverse. C’è poi chi deve far fronte alla volatilità del prezzo, la quantità e la qualità del vino contro cui si lavora ad una maggiore cooperazione di produttori e, appunto, l’individuazione di nuove zone di produzione.

 

Climate Change: risparmiare le risorse sì, ma è la sostenibilità concreta quella che può fare la differenza

La parola d’ordine, che non può essere un concetto vuoto, ma un insieme di azioni concrete, è dunque la tanto decantata sostenibilità. Consumare meno acqua aiuta, ma di certo non è sufficiente. Bisogna limitare il consumo di energia e questo vale anche per la distribuzione e anche il consumatore va orientato verso questa scelta. Cosa che, a dire il vero, sembra essere forse la parte più facile. Tutte le ultime ricerche lo confermano: il sostenibile conquista.

Bene quindi la strada intrapresa con le certificazioni, ma l’obiettivo di averne una unica che detti regole specifiche è sempre più impellente. Certo è che, in vigna, la differenza tra una coltura sostenibile e una che non lo è si sente eccome. Oltre il 50% dei partecipanti al report ha confermato che la sensibilità è cambiata e sono tanti quelli che si orientano verso questa tipologia di produttori. Una scelta fatta dal 49% delle grande aziende e degli imbottigliatori, ma che ancora poco è diffusa tra i piccoli e le cooperative ferme al 17%.

 

Climate Change: ci vogliono investimenti, ma non tutti hanno le risorse necessarie per farli

Questione di indifferenza? No e comunque non per tutti. Investire ha dei costi importanti e quei costi non tutti possono permetterseli. Sostegni, in questo senso, vanno dati e nuove opportunità, grazie soprattutto alle nuove tecnologie, vanno trovate e devono soprattutto essere accessibili.

Anche perché il non allinearsi in una specifica direzione significa una minore produzione. La variabilità di vino disponibile impatta soprattutto sulle grandi aziende (48%) e sugli esportatori (32%). Categorie che rispettivamente subiscono la volatilità del prezzo nel 53% e il 50% dei casi. Problema, questo, che va a toccare un altro pezzo del puzzle: quello dei commercianti che ne pagano le conseguenze del 45%. Tradotto: diminuzione del profitto del 53% per le cooperative e del 44% per le grandi aziende gli imbottigliatori. Il non affrontare il problema del Climate Change significa dunque entrare in un vortice che assorbe e danneggia tutto. Meno profitto equivale infatti a meno disponibilità finanziaria e meno possibilità di investire su azioni che possano mitigarne le conseguenze.

 

Climate Change: in 10 anni di può fare molto…

La nota positiva c’è. Con una crescente consapevolezza i prossimi 10 anni non potranno che portare a consistenti miglioramenti. Più richiesta di fitosanitari e di vitigni resistenti: sono queste le prerogative dei produttori cui si aggiunge un attento utilizzo di acqua ed energia. Anche in cantina si cambia strada. Soprattutto le grandi aziende puntano sulle nuove tecnologie. Cosa che a loro chiedono anche il 62% dei commercianti, il 55% degli imbottigliatori e il 42% dei produttori. Certo è che consapevolezza c’è anche sul fatto che di vino se ne produrrà inevitabilmente meno.

 

Climate Change: a fare la differenza sarà sempre più la qualità…la quantità dimentichiamola!

Ecco che allora la qualità diventa regina indiscussa del futuro dell’enologia. E a sostenerla sono proprio, come accennato, i consumatori alla ricerca di vini sempre più leggeri ed eleganti. Cosa che, a quanto pare, va in totale controtendenza rispetto a quanto si produce in vigna dove proprio l’innalzamento delle temperature porta alla realizzazione di vini con un grado alcolico nettamente più elevato.

L’appello è anche alle denominazioni, le regolamentazioni e i disciplinari. Anche loro devono cambiare. E’ tutta la filiera che deve farlo. Non è più rinviabile. Ecco che allora la ricerca ha una voce importantissima per uscire da questo vortice. Proprio l’università di Geisenheim, ad esempio, lavora per comprendere qali sarebbero gli effetti pratici di un aumento di anidride carbonica nell’atmosfera e le conseguenze che avrà su ogni tipo di produzione agricola, a cominciare proprio dalle viti. Con l’aumento dei roghi anche le caratteristiche del suolo sono destinate, infatti, a cambiare.

 

Le buone prassi…

Esempi arrivano da tutto il mondo. A Los Angeles i tre gradi in più che si prevedeva sarebbero stati registrati nel 2030 sono già realtà. In Germania l’state 2018 ha segnato un punto di svolta, come in Italia quella del 2017 dove shock termico e bombe d’acqua hanno creato danni ingenti e problemi enormi da affrontare. Cosa che ha spinto a tornare a puntare sui terrazzamenti. Buoni esempi da seguire vengono dall’Australia dove il 60% tramite l’Awri (The Australian Wine Research Institute) aderisce a piani di sostenibilità, così come in Portogallo dove si sperimenta la vaporizzazione per risparmiare acqua. Anche in Francia, Germania e Svezia si fa rete puntando sulla ricerca con la seconda che grazie alla certificazione Fair N’Green, ad esempio, mette in rete oltre 40 aziende europee puntando proprio sulla sostenibilità attraverso, ad esempio, l’uso di risorse rinnovabili e bottiglie più leggere.

 

In conclusione…

Non prendere il fenomeno sottogamba. Le emissioni fossili devono finire. Sull’effetto serra si deve lavorare. E non è solo una questione di vino. A cambiare è tutto il nostro modo di vivere e i rischi non sono solo per le vigne, ma per l’umanità intera.