L'Uiv stringe un accordo con il Paese del Centro America per incrementare ancora la sua presenza e sostenerlo nella crescita giuridica. La Cina abbassa gli scudi, ma con gli ideogrammi per il vino serve fare molta attenzione

Vivere in un mercato globale vuol dire entrare in rapporto con la globalità. Per il vino, traino dell’export italiano, è un tassello imprescindibile. Se alcuni mercati sono ormai consolidati, ce ne sono altri dove si vuole crescere, possibilmente insieme, ed altri la cui conquista rappresenta da sempre un obiettivo primario. Da una parte all’altra del globo i due binari dove il vino italiano cerca nuove opportunità sono il Centro America e l’Asia.

Messico e Cina, con potenzialità e prospettive differenti, ma entrambe destinate a far sentire il loro peso nel mondo del vino, sono i due Paesi con cui l’Italia avvia nuove collaborazioni. Con il primo i rapporti sono all’insegna della collaborazione. Con la seconda l’intenzione c’è, ma la strada, nonostante ora sembri essere più in discesa per gli accordi presi, è comunque più complessa.

 

Asset del vino: l’Unione vini si ‘allea’ con il Messico. Uno scambio reciproco per una reciproca crescita

 

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E’ stata l’Uiv, l’Unione Italian Vini presieduta da Antonio Rallo, a mettere nero su bianco l’accordo con il Messico. Un avvicinamento che mira alla reciprocità. Per l’Italia con il preciso scopo di aumentare ulteriormente l’export che fa già registrare numeri positivi. Per il Messico l’occasione per entrare in partnership con uno degli Stati che più di ogni altro ha peso nella globalità del mondo del vino in cui è universalmente riconosciuto come uno dei punti di riferimento.

D’altra parte il Messico i numeri li ha e li fa. Quattro valli vitivinicole le sue su cui si estendono 4.248 ettari di vigneto con una produzione di vino di circa 4,73 tonnellate per ettaro. E soprattutto meta enoturistica decisamente ambita. Nel 2015 Baja California ha accolto 25 milioni di visitatori che hanno dichiarato, nel 90% dei casi, di scegliere il Messico per l’enogastronomia. La sua gastronomia, infatti, è stata riconosciuta come “Patrimonio Immateriale dell’Umainà dell’Unesco”. Senza contare che dei 25 milioni di visitatori ben 16 milioni sono stranieri

Numeri che fanno capire quanto, in realtà, ci troviamo indietro anche rispetto a realtà molto più giovani. Perché? Beh perché, ad esempio, la nostra di cucina, la più amata al mondo, dall’Unesco il prestigioso riconoscimento non lo ha ancora ottenuto. Eppure anche qui, restando solo nel mondo del vino, i nostri calici sono ben più che apprezzati. Nel 2015, infatti, abbiamo esportato in Messico 114.509 ettolitri di vino incrementando, in un solo anno, l’export del 35% per un valore complessivo di circa 30 milioni di euro. 

 

Senza una buona giurisprudenza non c’è futuro nel settore: il Messico si appoggia all’Italia per introdurre un modello europeo

Se abbiamo da imparare nel settore “turismo” ed “enoturismo” che fa sì ottimi numeri in Italia, ma che per il suo potenziale, resta inesorabilmente indietro rispetto alle possibilità, dall’altra abbiamo molto da insegnare. Ecco perché il Messico ha voluto noi, grazie all’Uiv, per riuscire a migliorare le condizioni giuridiche del comparto nel suo Paese. Lo ha sottolineato Paolo Castelletti, il Segretario Generale Uiv. “Il Governatore della Bja di California, Francisco Vega de Lamadrid, ci ha espressamente chiesto aiuto sul piano giuridico per implementare una legge che strutturi il comprato vitivinicolo in modo simile a quello europeo. Soprattutto ci hanno chiesto di aiutarli nel redigere una legge che ttrasferisca il concetto di Denominazione di Origine alle produzioni di qualità messicane”.

“L’incontro – ha aggiunto – è stato un tassello fondamentale per la costruzione di un rapporto di collaborazione che auspichiamo proficuo e duraturo tra le filiere del vino dei due Stati”. Il primo gesto per suggellarlo sarà la partecipazione di un nutrito gruppo di produttori al Simei. “Un dato storico – ha concluso Castelletti – che segna il passo verso l’apertura e l’ammodernamento del loro comparto vitivinicolo”. 

 

Asset del vino: l’invalicabile Cina abbassa gli scudi. Si semplifica la conquista del nostro agroalimentare

 

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Sfondare in Cina, lo abbiamo capito, non è semplice. Per alcuni c’è proprio un errore nel modo di approcciarci, per altri la questione è determinata anche dal gravoso problema dei dazi come emerso nel Forum Cia. Per altri ancora il problema risiede anche nel fatto che, la Cina, ha ambizioni decisamente grandi per quanto riguarda il vino in patria (con tra l’altro le nostre professionalità) e ben più che oltre confine. Sempre di più, infatti, le aziende acquistate in giro per il mondo (Italia inclusa). 

I segnali, nell’export, non sono negativi, ma neanche stratosferici e un anno fa per il nostro wine&food sembrava delinearsi una situazione davvero complicata. Saranno state le politiche protezionistiche di Trump o semplicemente il bisogno di aprirsi ad una globalità soprattutto in un settore in cui si vuole crescere, ma quel che è certo è che la Cina ora sembra più accessibile. Per l’Italia e per l’Europa nel suo complesso. L’anno scorso, infatti, i cinesi chiedevano che tutto il settore dell’agroalimentare lasciasse i confini comunitari con un certificato che doveva essere emesso da qualsiasi esportatore verso la Cina. Praticamente impossibile. Ora basterà un certificato standard (per tutta l’Europa) fatto salvo l’obbligo di iscriversi nella lista degli importatori.

E il vino? Dopo il riconoscimento della tutela dei nostri prodotti, in molti casi proprio il vino, la Cina sta stilando una lista dei vitigni europei così che si possano traslitterare le etichette dai caratteri latini a quelli cinesi. Un’operazione delicatissima vista la grande biodiversità che ci contraddistingue per evitare di finire preda di imitazioni e contraffazioni.