Al Forum Nazionale Cia tante riflessioni sul futuro del vino italiano. Se non si impara a fare squadra, ad investire e fare sistema puntando su velocità e flessibilità, rimarremo molto indietro al di là dei numeri positivi dell'export

Dire che siamo in ritardo è un eufemismo. Al di là delle alte temperature e dei rischi, per ora solo potenziali, della prossima vendemmia, l’Italia resta indietro per quanto riguarda gli Ocm. La diatriba con il Ministero va ormai avanti da mesi e, forse, si è vicini ad una soluzione. Soluzione che deve essere veloce o si rischia di fare un buco nell’acqua e di perdere contributi fondamentali per i nostri vignaioli.

Siamo certi che alla fine una soluzione si troverà, ma se è vero che la fretta è cattiva consigliera, qualcuno comunque resterà deluso. Lo schema del decreto continua a slittare. Luglio, sembra, sarà il mese che metterà tutti (o quasi) d’accordo. Bene che vada, insomma, il bando nazionale per ottenere i contributi a fondo perduto dell’Organizzazione Comune del Mercato vitivinicolo, uscirà a metà luglio. Ammesso che tutte le sentenze dei ricorsi al Tar che pendono sul bando arrivino per tempo.

Certo è che se il Testo Unico del Vino sembrava aver portato aromina nella filiera, restano ancora tanti problemi legati alla sburocratizzazione di un settore che ha bisogno di snellirsi. Di farlo per il mercato interno, ma ancor più per l’export dove i dazi, tanto per citare una problematica, continuano a farci letteralmente del male. Se sugli Ocm resta il problema, oltre a quello della mancata emissione del bando che arriverà in extremis, dei progetti “multiregionali”, le problematiche sono molteplici.

Ruolo dei Consorzi, sburocratizzazione delle macro denominazioni, ristruturazione dei vigneti, assegnazioni, investimenti e ricerca sono stati al centro del Forum Nazionale Vitivinicolo Cia. Quel che è venuto fuori? Che la macchina è lenta e farraginosa. Ancora. Mentre il mondo, tra web e innovazione, corre sempre più veloce.

 

Filiera vitivinicola: rischiamo di affogare sì, la responsabilità non è solo del Ministero

 

filiera vitivinicola vigneto

 

Va bene attribuire le responsabilità agli attori più importanti, ma è pur vero che il mondo del vino è fatto di tanti personaggi. Tutti hanno la loro importanza e tutti svolgono un ruolo centrale nel grande palcoscenico della filiera che fa fare numeri al Made in Italy. Lo hanno anche le Regioni. Ed ecco il primo problema emerso e sottolineato da Ruenza Sant’andrea, coordinatrice Alleanza Cooperative italiane.

La riforma sulle autorizzazioni ai reimpianti è stata fatta. E prevedeva anche dei paletti regionali. Le Regioni, però, non hanno predisposto nulla e questo ha creato caos sebbene ci sia salvati dalla liberalizzazione che avrebbe messo in crisi l’intero sistema.

Quello che serve, che si parli di reimpianto o nuove autorizzazioni, è, hanno sostenuto tutti, comunque una Strategia Nazionale Unica per la “Promozione, valorizzazione e tutela” che, è stato sottolineato, aggredisca con vigore su alcune inefficiente quali le nuove autorizzazioni all’impianto di vigneti. Aspetto ingestibile che non consente nemmeno il recupero di quella quota potenziale, che annualmente viene persa per abbandono.

 

Il problema della autorizzazioni: deregulation?

E in effetti sulle autorizzazioni il caos è totale. Basi pensare al divario che c’è stato tra richieste e concessioni. Questi i numeri dei primi due anni di applicazione del nuovo sistema. Nel primo erano disponibili 6.458 ettari per 63mila domande. Nel secondo stesso numero di etterai per ben 164mila domande.

 

Il No di Alleanza delle Cooperative

Bruxelles anni fa propose la deregulation. C’è forse stato un ripensamento dopo il duro no di qualche anno fa? Le posizioni sono diverse. Totalmente contraria la Santandrea proprio per quel rischio di liberalizzazione che avrebbe reso la produzione incontrollabile facendo crollare i prezzi dei vini.

 

Il possibilismo di Prosecco Doc e Cia

Apre invece alla possibilità Stefano Zanette, presidente del Consorzio del Prosecco Doc. Per lui, fa capire, non sarebbe del tutto impossibile, sebbene debbano permanere gli strumenti a dispoizione: il blocco dei nuovi ipianti e la gestione dei quantitativi di vino immessi nel mercato. L’esperienza del Prosecco, ha ricordato, ha portato ad una riorganizzazione che dal 2008 ad oggi ha portato ad una vera e propria decuplicazione in termini di ettari e di bottiglie. Senza che questo abbia intaccato il sistema e i prezzi. Al massimo, ha affermato Zanette, si dovrebbero rafforzare i poteri dei Consorz “assimilando sempre più gli organismi di tutela alle organizzazioni interprofessinali con reali poteri di gestione della denominazione”.

Che di vigneti ce ne vogliano di più ne è convinto anche il presidente della Cia-Agricoltori italiani Dino Scanavino. Per lui quella della deregulation è una possibilità concreta. Sempre ammesso che si rafforzino i poteri dei consorzi per la tutela e la gestione delle denominazioni. In questo caso, ha affermato, “la liberalizzazione dei vigneti in Europa non è da considerarsi un “male assoluto””.

 

Filiera vitivinicola: l’incapacità di fare sistema fa del Made in Italy un semplice “pour parler”

filiera vitvinicola binari

 

Specifichiamo. L’espressione francese “pour parler” non vuol dire, come molti credono, che si fanno solo chiacchiere. Tutt’al più vuol dire che si fanno solo quelle iniziali. Quelle che premettono l’inizio di un percorso, o la chiusura di un accordo. Ma che restano poi lì senza trovare una concretizzazione degna di tale nome. Beh il “pour parler” per eccellenza del sistema italia, è stato sostenuto nel corso del Forum, si racchiude in due parole: fare sistema.

Si dice, ma non si fa. Lo ha sottolineato il presidente del Consorzio del Vino Chianti Giovanni Busi. La premessa è che l’80% delle aziende vitivinicole italiane è rappresentato da piccole e medie imprese. Queste, ha sottolineato, hanno bisogno di “snellezza e velocità”. Non hanno nè uffici commerciali, né di amministrazione. L’imprenditore fa tutto da solo. L’inesistenza di “un sistema italiano”, così lo ha definito, “in grado di riunire tutto il Made in Italy del mondo vitivinicolo e metterlo in grado di lavorare insieme sui mercati internazionali”, è un gravissimo gap.

“Abbiamo un potenziale da tutti riconosciuto – ha aggiunto Busi – che non dobbiamo sprecare solo perché è ancora lontano il concetto di ‘fare squadra’. Se prima lavorare da soli è sempre stata la rgola, oggi rappresenta un lusso che non possiamo più permetterci”.

Un monito, in primis, a quei viticoltori che continuano a pensare che la propria vigna sia l’unico da coltivare, dimenticando che un sistema sarebbe un volano anche per le loro produzioni. Questo viaggio, insomma, non può procedere su binari separati. In secundis, ovviamente, alle istituzioni che non possono non cogliere la positività di un export che fa numeri nonostante il problema dei dazi che pesa come un macigno sul nostro settore.

 

L’export e il problema dazi: senza agevolazioni si resta indietro

Sì, l’export fa numeri. Sono 5,6 i miliardi di euro frutto delle vendite all’estero. 50, invece, i milioni di ettolitri di vino prodotti nell’ultima vendemmia. Guardiamo intanto i dati in termini di prezzi medi dell’export per tipologi. Primeggia negli spumanti la Francia (12,6 euro al litro). Segue l’Italia con 2,68 euro. Subito dietro c’è l’Australia con i suoi 2,48 euro e la Spagna che per litro ha un prezzo di 1,88 euro.

Tra i fermi la Nuova Zelanda è la più “cara” con i suoi 3,96 euro a litro. Seguono Francia (3,74), Australia (2,72), Italia (2,58), Cil (2,06) e Spagna (1,62). I dati Wine Monitor, secondo Santandrea, ci dicono che tutta la polemica nata sul problema del prezzo italiano, troppo basso, non corrisponde proprio alla verità. Allora cosa c’è che non va? Che lo Stato, ha sottolineato “deve aiutarci con tutti i suoi mezzi sugli accordi privilegiati con gli altri Stati”.

I dazi, per noi, sono un enorme problema. Il posizionamento competitivo del vino italiano rispetto alle agevolazioni commerciali, è stato infatti ribadito, vedono il Cile che ha dazi zero nelle transazioni con Ue, Usa, Cina, Canada e Giappone in continua crescita. Anche l’Australia ha dati zero verso gli Usa e quelli ridotti verso Cina e Giappone. Dazi che, anche qui, presto si azzereranno. Stessa storia per il Sud Africa che opera a dazio ridotto in Europa e a dazio zer negli Usa.

L’Italia, così come Usa, Frrancia e Spagna il dazio zero ce lo hanno solo verso il Canada. Come a dire: così restiamo fuori dai mercati più importanti. Soprattutto quelli dove ci si vorrebbe espandere (vedi la Cina) e quelli che diventano sempre più importanti per noi (vedi gli Usa e il rischio delle nuove politiche di Trump e la ormai arcinota Brexit).

 

L’export e i Consorzi: lo Stato è assente, ma i Consorzi devono fare meglio

Se se ne escludono alcuni, come ad esempio quello del Chianti e quello del Prosecco, anche i Consorzi devono fare un po’ di mea culpa. Lo ha sostenuto proprio Busi. Se infatti da una parte, come detto, ai Consorzi andrebbero dati più poteri, anche loro dovrebbero avere il coraggio di ripensarsi. L’Italia è uno spaccato di medie e piccole imprese e alcune grandi imprese ambasciatrici del Made in Italy, sono loro quelle sotto il cui nome si rinuiscono proprio quelle realtà che sono l’ossatura del sistema.

Se non sono loro i primi a capire quel concetto di “fare squadra” tutto il resto rimarrebbe sempre e comunque un “pour parler”. “Il Consorzio – ha infatti sottolineato Busi – è il primo modo con cui i produttori diversi trovano un’unione. Altra cosa è la frammentazione della nostra promozione. Per esempio, in Cina, se le cose non stanno andando come vorremmo dovremmo confessarci che la colpa è anche nostra, e ripartire da qui per correggere le nostre azioni. Investire sulla ristrutturazione dei vigneti resta donamentale. Non possiamo altrimenti raggiungere l’obiettivo della qualità”. Innovazione che, insomma, deve fare il paio anche con sostenibilità e ricerca.

 

Filiera vitivinicola: innovazione e sburocratizzazione. Solo così si potrà contare sulla totale qualità

 

filiera vitivinicola burocrazia

Ed eccoci al nodo cruciale. Siamo partiti dalla necessità di sburocratizzarsi. Da quella di dare velocità e snellimento alle piccole e medie imprese. Come? Tanto per cominciare iniziando a rendere concreto quanto deciso dal Testo Unico. A cominciare dalla dematerializzazione dei registri, che, però, così come pensati, non sembrano soddisfare. D’altra parte i tempi, anche in questo caso, si sono allungati non poco. Per il presidente Cia Scanavino, l’iniziativa è lodevole, ma essendo stata introdotta “in un sistema Sin-Agea, svilisce ilruolo degli operatori del settore”. Qualcosa, insomma, va rivisto.

Ma va rivisto anche in termini di ricerca e innovazione. Ancor più in quella riguardante proprio il problema della sburocratizzazione. Uno dei temi, tra l’altro che cerchiamo di affrontare con la nostra Start Up. “La viticoltura si è affermata come settore strategico e volano economico – ha sottolineato Luca Brunelli presidente Cia Toscana -, grazie all’innovazione. Questa la rende sostenibile sia dal punto di vista ambientale che da quello economico rendendo tra l’altro possibile la razionalizzazione dei processi e dei costi. Abbiamo bisogno di fare innovazione anche nlla burocrazia”.

Se si riesce insomma a crare un sistema efficiente, efficace e di conseguenza snello e veloce allora sì che la qualità del Made in Italy potrà diventare quel plus capace di varcare anche i confini della nazioni più complesse da conquistare! Ovviamente a suon di calici e sugheri stappati!