Forbes: troppo abituati a berlo ed esportarlo solo nei ristoranti made in Italy

Vino italiano. E’ vero che i dati dell’export del vino italiano hanno fatto registrare il segno più, ma è pur vero che se in Usa c’è stato il boom è proprio nei mercati asiatici, o meglio sarebbe dire in quello cinese, che si è registrato un vero e proprio crollo. Nonostante il segno più sia rimasto infatti, il calo sul mercato cinese è stato del 10%. Questa l’analisi di Mediobanca uscita proprio negli stessi giorni in cui sull’edizione asiatica della rivista statuintense Forbes Jeannie Cho Lee pubblicava un interessante articolo sul perché il vino italiano stenta a conquistare un mercato così ampio.

Cosa che, invece, si aspettava accadesse a partire da fine 2011 quando proprio il vino italiano era tra i primi cinque in termini di importazioni anche in direzione Hong Kong. Lei, lo dice esplicitamente, si aspettava una vera e propria invasione con i top del made in Italy, Brunello di Montalcino, Barbaresco, Barolo, Sassicaia, Ornellaia e Masseto in testa, pronti a scalzare il predominio francese.

 

vino italiano

 

Cinque anni dopo, continua la Lee, quel ruolo se l’è invece preso la Spagna con l’Italia piombata al sesto posto alle spalle di Francia, Australia, Stati Uniti, Cile e la già citata Spagna. Perché? Secondo la rivista Forbes il problema è che gli italiani esportano solo nei ristoranti italiani che sono sì i più apprezzati in quanto a cucina europea, ma che rappresentano un numero troppo esiguo per potersi fare capofila dell’invasione vinicola nostrana.

“I produttori e i promotori – scrive la Lee – tendono a rimanere nella loro zona di comfort, affidandosi a sommelier italiani e importatori specializzati italiani” a differenza degli spagnoli che, non avendo grandi spazi e soprattutto non avendo un così gran numero di ristoranti, si sono sostanzialmente “allargati” portando i loro sommelier anche nei ristoranti francesi cosicché i vini iberici conquistassero mete più che ambite.

Insomma in un momento in cui si parla molto di identità tra le ragioni del mancato boom, ma addirittura della retrocessione del vino italiano del mercato cinese, sarebbe proprio l’eccessiva fidelizzazione al brand ad aver creato problemi. Se da una parte, scrive la Lee, è troppo radicata nella mente delle persone che i vini italiani sono buoni solo se bevuti in un ristorante italiano che ne rappresenta l’essenza, dall’altra gli esportatori e i proprietari delle cantine non fanno nulla per cambiare rotta, anzi, si fidelizzano così tanto a ciò che conoscono da non riuscire a venirne fuori.

Quasi cinque anni dopo da quel 2011 indicato dalla Lee come momento in cui far partire l’invasione italica, insomma, il vino nostrano è retrocesso e il suo mancato exploit, conclude “mi sorprende” dato che quello spazio non solo lo “potrebbe avere, ma lo dovrebbe avere”.

Sarà proprio così? Quel che è certo è che il mercato cinese per l’Italia resta un enigma tanto da essere stato proprio il rapporto con questo uno dei temi affrontati nel corso del Vinitaly, ma tentare un allargamento degli orizzonti per portare il brand Italia fuori dal confine psicologico cui secondo Forbes è stato relegato, potrebbe essere un buon punto di partenza per conquistare quel primato che, ancora una volta, ci vede dietro spagnoli e cugini francesi.