Mentre i produttori italiani tentano, ancora con poca fortuna, di conquistare la Cina, la Cina si prefigge un obiettivo: diventare il più grande produttore di vino al mondo. Come? Ovviamente non bevendo il nostro di vino, ma con una campagna acquisti delle nostre competenze che se fatta per Inter o Milan porterebbe a centrare tutti gli obiettivi di un campionato e di una Champions League.

Dei loro progetti ne avevamo parlato. Che amino fare le cose in grande è noto o non sarebbe stata costruita qui la Grande Muraglia. Che abbiano anche un innato senso di quello che per noi è “trash” anche. Ma quando hai da investire complessivamente più di 900 milioni di dollari ti puoi concedere anche quello. Su Bloomberg è apparso un articolo di come proprio qui stia pian piano nascendo la Disneyland del vino cinese. Progetto annunciato nel 2012. Non ci sono principi e principesse, ma solo milioni, tanto di noi (e della Francia) e tutta la professionalità di casa nostra. Perché? Perché il vino non fa numeri solo per quantità. Prima di tutto ci vuole la qualità. 

 

Il vino cinese parla italiano: là dove non arrivano le nostre bottiglie arrivano i nostri enologi

 

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Non possiamo definirli cervelli in fuga. Potremmo definirli piuttosto esportatori della “sacra” conoscenza della coltivazione e la vinificazione. Cosa sta succedendo in Cina? Che alcune città si stanno trasformando in paradisi italo-francesi del vino cinese. Almeno nelle sembianze. E che stia per essere realizzata una Città del Vino così grande che quella appena inaugurata a Bordeaux potrebbe essere a malapena la sua depandance.

L’investimento, anzi gli investimenti, sono firmati da Changyu, la potenza produttrice della Cina. Uno dei due progetti è già stato completato. L’altro è in corso d’opera. Sarà che come si legge nell’articolo uscito su Bloomberg il rosso è di casa da queste parti e il bianco è il colore del lutto, ma sono proprio i vini rossi quelli su cui la super potenza sta puntando. Fare le cose in grande da queste parti vuol dire costruire un Paese dentro un Paese. Se doveste trovarvi appena fuori da Ci’An, nella provincia di Shaanxi nella Cina centrale, non fatevi prendere dal panico se doveste vedere chiese in stile francese e castelli italiani. Non avete sbagliato strada. Guardatevi intorno: gli occhi a mandorla vi convinceranno un po’ come la maestosità dei vigneti.

 

E’ da noi che hanno scelto di imparare

Duemila ettari di viti per la produzione di 5mila bottiglie. Soprattutto Merlot. Nelle cantine di Chateau Changyu Reina d’altra parte ci sono 150.000 barili di rovere. Vi è venuto facile leggere Reina? Per forza: parliamo di Augusto Reina, 77 anni cui non solo è stato dedicato il castello con tanto di statua seduta su una panchina a degustare vino costruito a Shaanxi, ma che è anche l’enologo italiano conosciuto in tutto il mondo perché produttore del liquore Disaronno e capo, ovviamente, dell’Illva Saronno Holding Spa.

E’ a lui che i cinesi si sono affidati. A lui e i suoi viticoltori che sono venuti fin qui per insegnare le tecniche di coltivazione e vinificazione e che i cinesi li hanno portati in Italia per fargli vedere come si fa il buon vino. Reina lo ammette: “quando sono arrivato e ho bevuto il vino cinese mi ha fatto male lo stomaco”. Ma alla fine l’accordo è stato raggiunto e ora oltre ad essere diventato il paese con il più alto consumo di vino rosso al mondo, la Cina mira a diventarne il più grande produttore.

 

Il vino cinese parla italiano: ma che “bel (?)” castello “marcondinondirondello”

 

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Castelli italiani in tutta la Cina

A leggere la descrizione che del castello e tutto il suo contorno vitivinicolo di Shaanxi fatta da Bloomberg qualche sospetto sul suo essere un pochino trash ci viene. Certo è che alle esagerazioni per un progetto da 86,9 milioni di dollari, si accompagna un grande sviluppo tecnologico. Il castello dal gusto italiano che con le sue cantine, leggiamo “sembra essere stato costruito centinaia d’anni fa sulle colline Toscane” è un grande teatro dell’assurdo dove però all’ “inesplicabile volto sorridente simile a quello di un uva da cartone animato” della statua di Bacco si accompagna un grande tavolo con pulsanti Perspex per fare interagire i visitatori per spingerli a scoprire se sanno associare un vino ad una regione o ad un profumo ad esempio.

Anche i tipi di terroir sono esposti, ma pensare alla stanza dedicata agli ex leader cinesi ammettiamo che ci inquieta un po’. Questione di pregiudizio forse. Non manca ovviamente la mostra interattiva per scoprire tutto, ma proprio tutto, sulla storia del vino. Continuiamo a leggere e scopriamo che anche se doveste arrivare in altre zone della Cina, ad esempio nella provincia di Ningxia potreste pensare di non essere mai usciti dall’Europa. 

Eh sì perché il progetto di Changyu è piuttosto…grande! Altri castelli sono sparsi per il Paese.

 

Il progetto più ambizioso è a Yantai

C’è chi sceglie Miami per surfare e chi se ne va a Yantai per bere. Mettiamola così. Qui di milioni di dollari ne sono stati investiti 870! Una cifra…pazzesca! Siamo sulla costa nordorientale della Cina. Ed è qui che tra un surrealismo alla Dalì e un dadaismo alla Dushamp sta sorgendo la vera e propria Disneyland del vino cinese. Una Wine City come non se ne erano mai viste e come sarà difficile vederne visto che i vigneti li si potrà ammirare solo quando a Pechino cala lo smog. Il progetto è stato avviato nel 2012. Cinque anni dopo è praticamente completo.

Ma tant’è. Oltre mille ettari di vigneto questo luogo è un po’ tutto: luogo di produzione, attrazione turistica e espressione della fantasia più allucinante. C’è già un castello, scopriamo, “una struttura neogotica bianca – leggiamo su Bloomberg – che sembra un mix tra Monty Paython e Santo Graal”. Altri due sono in costruzione. L’Italia, ovviamente, c’è! Con un fantastico castello romanico dove si produce brandy: una prima per l’azienda cinese. 

 

Trash forse, ma è la sostanza quella che conta

In quanto a scelta di tipologie tra grandi rossi di Bordeaux e Borgogna e il mitico brandy ai francesi è andata anche peggio che a noi. Ma non fatevi ingannare. La prendiamo un po’ a ridere perché lo strafare tipico di chi qui ha da spendere a noi sembra così trash, ma la realtà è ben diversa. Al di là dell’impatto, c’è una sostanza. Ed è quella che si dovrebbe tener d’occhio.

Certo è che vedere un grattacielo roccioso sulla collina accanto con sei flute di champagne giganti in bella vista un effetto strano…lo fa! Ma se poi si pensi che dentro ci saranno gli scienziati (sì scienziati), impegnati a perfezionare le annate, le sale degustazioni e tutto quanto un winelover può trovare di conforto, allora si capisce il perché di tanta roba. Sarà questo l’Istituto di Ricerca del Vino. Ve lo dobbiamo dire che, ovviamente, anche la tecnologia arriva da casa nostra?

Mentre questo posto gigantesco continua a svilupparsi, le tecnologie ci sono già. E sono a dir poco all’avanguardia. Quasi tutti i pezzi realizzati per la stanza della stabilizzazione sono dell’Italia Tecninox e ERsistemi. “Tutte le tecnologie – ha spiegato Reina su Bloomberg – sono esattamente come quelle che abbiamo noi. Ma dal momento che la nostra centrale è stata costruita due anni prima, qui è tutto ancor più moderno”

 

In conclusione…

Insomma i cinesi ora cercano di fare vino di qualità. E per farlo vogliono imparare proprio da noi. E così mentre si continua a dibattere ed investire per tentare di sfondare in Asia con la nostra eccellenza, loro ci corrono dietro con tanto denaro da spendere e, ammettiamolo, anche voglia di imparare. L’ambizioso progetto riuscirà? Noi non siamo pronti a scommetterci. Ma di certo, per ora, i numeri del vino, in Cina, vanno meglio di quelli del calcio cinese…in Italia!

 

Per leggere l’articolo di Bloomberg clicca qui