I consumi interni crescono, l'export cresce e il quadro generale, lo dice Coldiretti, è quanto mai positivo. Ma ci sono ancora due criticità ed è su quelle che si deve puntare: promozione e innovazione

Il regalo natalizio migliore, il vino italiano, se l’è fatto da solo: i consumi continuano a crescere e in cinque anni sono aumentati dell’8% facendoci diventare il terzo Paese al mondo in cui si beve di più. Un motivo valido per brindare col sorriso insomma, soprattutto per gli addetti ai lavori, che vedono sempre più lontana la crisi che aveva colpito, proprio nei consumi, il settore.

Lo ha fatto sapere Coldiretti comunicando i dati forniti dall’Organizzazione Internazionale della Vigna e del Vino nell’incontro “Mercati del vino e innovazioni in vigna” promosso da Roma dal Comitato di Supporto delle Politiche di Mercato del Vino e della stessa Coldiretti, coordinato da Riccardo Cotarella presidente Assoenologi, insieme al professor Attilio Scienza dell’Università di Milano e del direttore Generale di Ismea Raffale Borriello.

Se il Natale può far brindare alla crescita, la gola rimane però ancora a secco per quanto riguarda promozione e innovazione di cui, a quanto pare, non si è ancora compresa abbastanza l’importanza.

 

Vino italiano: un Natale coi fiocchi. I consumi crescono dell’8% e si fa meglio di tutti

Con 22,6 milioni di ettolitri consumati l’Italia, nel 2017, è salito sul podio mettendosi al collo la medaglia di bronzo. Meglio hanno fatto Stati Uniti con 32,7 milioni di ettolitri di vino consumati e la Francia dove se ne sono bevuti 7 milioni. Sulla crescita però il Bel Paese ha sbaragliato tutti. Se è vero che negli Usa si è bevuto più vino (e come non potrebbe essere così considerate anche le dimensioni) la crescita è stata del 5,7%, mentre in Francia del 2,8%: decisamente meno dell’8,2% registrato in Italia.

“Il trend un aumento – dice Coldirettiè secondo solo alla Cina che con i suoi 17,9 milioni di ettolitri di vino consumato si classifica al quinto posto seguito dalla Germani (20,1 quelli bevuti in terra teutonica), ma con un andamento stagnante (-1,3%) nello stesso periodo”.

 

Vino italiano: il consumo del vino cresce come cresce il bere consapevole, soprattutto tra i giovani

Non è un boom, ma una crescita costante che si accompagna ad una piccola grande rivoluzione: il vino italiano, afferma l’associazione, “è diventato l’emblema di uno stile di vita lento, legato all’equilibrio psico – fisico che aiuta a stare bene con se stessi, da contrapporre all’assunzione sregolata di alcol. Lo dimostrano – prosegue – il boom dei corsi per sommelier, ma anche il numero crescente di giovani che ci tiene ad essere informato sulle caratteristiche dei vini”.

Non solo c’è un’ulteriore buona notizia che rende il Natale del vino italiano degno di essere festeggiato: “tra le nuove generazioni – dice ancora Coldiretti – cresce la cultura della degustazione consapevole“. Prova ne sono la proliferazione dei wine bar e il boom dell’enoturismo. Settore, questo, che genera un fatturato annuo di quasi 3 miliardi di anno e che con il quadro normativo appena ottenuto è pronto a fare il grande salto.

 

Vino italiano nel mondo: nel 2018 consumi a +13% e restiamo leader nella produzione

Questo il quadro all’interno dei confini nazionali. Ma a livello globale come se la cava il vino italiano? La risposta arriva sempre da Coldiretti: “con i consumi che hanno raggiunto i 244 milioni di ettolitri nel 2017 si è segnato un +2%. Nel 2018 si stima che saranno invece 279 milioni di ettolitri, l’aumento, rispetto all’anno scorso sarà del 13%”. Uno stacco notevole determinato però, ed è giusto ricordarlo, dalla difficile annata del 2017 che per le difficili condizioni climatiche ha messo in ginocchio moltissimi Paesi.

L’Italia, come preannunciato, si conferma anche quest’anno il maggior produttore di vino al mondo. 48,5 milioni gli ettolitri imbottigliati e non nel 2018 a fronte dei 46,4 milioni della Francia, i 40,9  milioni della Spagna, i 23,9 milioni degli Stati Uniti e i 14,5 milioni dell’Argentina.

 

Vino italiano, tutto rosa e fiori? No, ancora troppi gli investimenti in promozione e innovazione

Tutto bene? Non proprio. Non basta produrre di più se poi, il brand, non riesce ad emergere come brand unitario e questo è possibile solo se si comprendono l’importanza di due fattori: promozione e innovazione (questa da intendersi sia in termini di marketing che in vigna).

La promozione

L’export continuerà a crescere, tutto ne sono certi. A fine anno, sostiene su WineNews il dg Veronafiere Giovanni Mantovani, sarà del 3,8%, “ma sarà inferiore alla media export degli ultimi cinque anni. La nostra storia di successo deve passare alla fase due. Agiamo molto bene come singole aziende e come aggregazioni di aziende che fanno promozione all’estero anche attraverso i fondi dell’Ocm, ma manca un forte testimonial del nostro prodotto vinicolo. Vinitaly – aggiunge – accompagna il comparto con record di presenze di buyer esteri da 140 Paesi. Un numero superiore a quelli registrati da ProWein e VinExpo. E in Cina avremo presto 270 ambasciatori del vino italiano, formati da Vinitaly International Academy”.

Lo ha spiegato ancora meglio Riccardo Cotarella: “non basta più fare vini di eccellenza. La qualità c’è, ma manca il mercato e occorre dunque aiutare i produttori a rientrare nei sacrifici economici”. La strategia, per lui, è stringere rapporti con gli importatori esteri per capire bene qual è la domanda e dare la giusta risposta. D’altra parte, lo dice ancora Mantovani se è vero che in dieci anni il Made in Italy (parliamo sempre di vino) è cresciuto in valore del 74% superando i 6 miliardi di euro nelle vendite all’estero, è pur vero che molto lo si deve all’effetto Prosecco. Di qui l’importanza di trovare nuove strategie che consolidano non un unico brand, ma un brand unico: il vino italiano.

 

Consumi interni

Il nostro pensiero, però, va anche alla filiera italiana che le sue difficoltà le ha e dove la promozione, soprattutto per i piccoli e medi produttori che non hanno abbastanza soldi da investire per permettersi ad esempio un e-commerce efficace e che si trovano a far fronte ad una distribuzione complessa con migliaia di documenti da produrre e un ritorno non sempre equivalente al valore della produzione.

E’ in particolare a loro (ma non solo) che ha guardato la Start Up Enolò quando è nata. Una piattaforma che sa rispondere perfettamente alle esigenze della moderna platform economy che ha creato servizi innovativi rivolti ai produttori di vino, capaci non solo di accorciare la filiera mettendo in contatto produttori e rivenditori con un semplice click dietro cui si nasconde una vera e propria cantina digitale, ma puntando allo snellimento della distribuzione con un’idea di logistica innovativa. Servizi cui se ne aggiungono altri e tutti con un obiettivo: creare un business B2B vincente che sa strizzare l’occhio anche ai consumatori.

 

L’innovazione in vigna

Se da una parte serve una visione innovativa della promozione, dall’altra è sempre più forte l‘esigenza di migliorare l’agricoltura di precisione con le nuove tecnologie. A ricordarlo è stato il dg Ismea Raffaele Borriello. Non casuale dunque la presenza, all’incontro, del professor Attilio Scienza impegnato da anni nella ricerca per la strutturazione dei cosiddetti vigneti resistenti.

“Sulla qualità dei vini espressi da questi vitigni ormai ci sono pochi dubbi – ha detto -. Spesso vincono anche premi internazionali e questo è rassicurante. Ma ci sono due problemi aperti. Il primo è quello che non si può pensare di rifondare la viticoltura italiana su 4-5 varietà resistenti, che poi sono tutte ‘del nord’: tutti incroci con Chardonnay, Pinot e così via. Si deve subito dunque sviluppare concretamente un progetto per le varietà resistenti del Centro Sud. C’è poi – ha detto ancora Scienza – un problema di collocazione di queste varietà in una nomenclatura di vini importanti. Ora si possono usare solo per qualche Igt ma non per le Doc”.

In questo senso abbiamo da imparare dai francesi che hanno autorizzato le denominazioni “ad utilizzare – ha spiegato Scienza – fino al 10% di questi vitigni resistenti per 5 anni. Se le cose andranno bene aumenterà la percentuale. E’ una grande cosa perché se lo fanno i francesi, anche in Italia avremo degli argomenti in più per sostenere questa strada”. Il tutto, ha aggiunto, all’insegna della sostenibilità come richiesto dalla Pac 2020.