Il produttore che ci mette il vino, un Petit Verdot, vuole restare anonimo: teme ritorsioni! E mentre si alzano i forconi il Burdi W spopola e in meno di 48 ore più di 300 bottiglie viaggiano dal web...a casa!

Correva l’anno 2017: era italiano il primo vino alla cannabis. Corre l’anno 2021: il vino alla Cannabis arriva nelle “conservatrici” terre di Bordeaux ed è scandalo. Certo, ovunque c’è chi ha storto il naso, sebbene, e il chiarimento è d’obbligo, lo chiamano vino ma in realtà è bevanda. Eppure quello che sta succedendo d’oltralpe era forse inatteso: il produttore che “presta” il vino al prodotto non vuole fare il suo nome. Troppe la comunità vinicole da cui teme ritorsioni!

Sembra la trama di un film, ma è la verità e a raccontarla alla stampa è Raphael de Palo, 28 anni, titolare de La Ferme Médicale, un’azienda agricola nel sud della Gironda che coltiva la canapa e che con la start-up che dà il nome al prodotto ha lanciato il vino.

 

Il vino alla cannabis a Bordeaux non s’ha da fare, ma è stato fatto. La start-up Burdi W. lo lancia, ma il produttore che il Petit Verdot ce lo mette vuole rimanere anonimo!

Il dibattito è aperto al di là dell’ironia che può far scaturire. Sul fatto che lo si chiami “vino” problemi ce ne sono eccome. Ma questo prodotto prodotto su base di Petit Verdot e lanciato dalla start-up Burdi W. a Bordeaux sta diventando un vero e proprio caso. E in un certo senso anche un mistero che, a dirla tutta, ha quel retrogusto di marketing vista la volontà dell’azienda produttrice di restare nell’anonimato. Burdi W., lo chiariamo, è anche il nome del primo vino alla cannabis francese nato in uno dei territori che è il cuore della grande enologia mondiale.

A quanto riferisce Rolling Pin, e non solo, i produttori da queste parti nel nuovo prodotto ci vedono quasi una blasfemia. Insomma, non importa se questa bevanda (ribadiamolo visto che, come viene sottolineato, il vino, in questo caso il Petit Verdot, è solo la base del prodotto) esiste nel resto del mondo già da qualche anno. Produrla qui non è ritenuto  accettabile. Sottolineiamo anche questo: non è illegale. Parliamo sempre di cannabis depotenziata. Ma niente da fare. Lo scandalo è servito.

L’azienda produttrice, dunque, ha fatto sapere, tramite il portavoce della start-up che mantenere l’anonimato è una questione anche economica: si temono ripercussioni anche in questo senso. E in effetti, ricorda l’articolo, nel 2015 parte dei vigneti dell’enologo Loic Pasquet, andarono distrutti a seguito di atti dimostrativi.

 

Vino alla cannabis a Bordeaux? I produttori saranno anche sul piede di guerra ma era noto già prima di Cristo e online, in 48 ore, ha venduto già oltre 300 bottiglie!

Ph: l’immagine di Burdi W pubblicata su KissKissBankBank

Che faccia storcere o meno il naso, che lo si beva confessandolo o magari dicendo di odiarlo e nascondendolo in fondo alla dispensa, Rolling Pin ci erudisce anche su altro. Il vino alla canapa, a quanto pare, esisteva già prima di Cristo. Una prova (o forse più un indizio) è stata trovata nel 2015 durante gli scavi di Clermont-Ferrand quando è stato rinvenuto un contenitore con tracce di vino misto a canapa risalente al II secolo a.C.. All’epoca in effetti era uso mescolare vini con erbe e acqua di mare: duravano di più. Ringraziamo quindi la tecnologia.

E’ dunque ai Galli che ha detto di essersi ispirato Raphael de Pablo che nel 2018 ha iniziato questa avventura oggi imbottigliata. “E’ stato difficile trovare un buon mix di terpeni del vino e terpeni della cannabis che spesso oscurano il gusto”, ha dichiarato ai media. Sarà pure una guerra del vino-non vino e si potrà storcere il naso quanto si vuole, ma in fondo così non si fa altro che dare un assist a questo nuovo discusso prodotto. La prova? Non siamo andati a scavare in nessun antico sito per scoprirla. Bastano i numeri: in 48 ore sulla piattaforma di crowfunding Kisskissbankbank sono state vendute più di 300 bottiglie.

Diciamolo… dà proprio alla testa nonostante l’assenza di Thc!