Nato nell'antica Roma è stato 'globalizzato' dagli svedesi, ma il 'vino caldo' invernale è una tradizione globale. Ecco alcune curiosità e ricette europee e non

Quando arriva il Natale non è di certo il freddo a tenerci chiusi in casa. Le città si illuminano, le vetrine si colorano come non mai e i mercatini con oggetti impossibili da trovare in altri periodi dell’anno capaci di farci trovare, ad un prezzo accessibile, il regalo perfetto, ci spingono tutti ad imbacuccarci per scendere in strada.

Non è solo nel nord Europa che i mercatini di Natale regalano un momento di magia tra case di Babbo Natale e sensazioni che, per qualche ora, ci portano in una dimensione magica dove tutto sembra possibile. Sono tanti anche i borghi italiani incastonati tra le montagne, o magari adagiati sulla dolcezza delle nostre colline, a trasformarsi in piccoli presepi dove Santa Claus si sentirebbe a casa. Ed è proprio in queste situazioni che immancabile, tra le nostri mani, spunta un bicchiere di vin brulè. L’eccezionalità di una bevanda a base di vino rosso che, seppur con varianti nelle ricette, è in realtà presente in tutto il mondo. Ma l’origine è decisamente legata alla nostra storia: quella dell’Antica Roma.

Scopriamo allora qualcosa in più di questa bevanda natalizia facendo un immaginario viaggio intorno al mondo partendo proprio dal passato.

 

Nell’antica Roma era il conditumparadoxum: è da qui che, ufficialmente, inizia la storia del vin brulè

E’ nel “De re coquinaria” che per la prima volta si parla di quello che oggi chiamiamo vin brulè. Un vero e proprio ricettario che raccoglie ricette in voga tra il I e il IV secolo a.C.. Il vin brulè dei romani era il contidumparadoxum descritto dunque da Marco Gavio Apicio che, se avete voglia, potreste anche provare a riprodurre facendo un salto vero e proprio nel passato.

Eccola la ricetta che è arrivata fino a noi: “siano versati in un vaso di bronzo un quarto di vino e due cucchiai di miele, in modo che, mentre il miele bolle, il vino diminuisca di volume. Scaldalo a fuoco lento di legna secca, gira il tutto con un bastoncino finché prenderà il bollore. Quando comincerà a salire trattienilo versando altro vino. Quando lo avrai tolto dal fuoco, sarà diminuito di volume. Una volta freddo fallo scaldare di nuovo. Ripeti per altre due volte. Il giorno dopo lo schiumerai. Aggiungi allora 120 grammi di pepe, poco pistacchio, cannella e zafferano, cinque ossi arrostiti di datteri. Trita cinque datteri che dal giorno precedente avrai posti nel vino per farli ammorbidire. Fatto ciò versa due litri circa il vino giovane. La cottura sarà perfetta quando avrai consumato circa un chilo e mezzo di carbone”.

Piuttosto complicato non trovate? Eppure, per quanto forse oggi impraticabile, la ricetta di Apicio testimonia quanta attenzione i romani avessero nel produrre questa bevanda. D’altra parte il cosiddetto vinum conditum era, per loro, una vera e propria selezione di vini: i vina aromaties o vina ficticia, vini “corretti” per così dire che, a quanto pare, non hanno mai perso il loro appeal

 

L’ipocras medievale che esalta le capacità curative del vin brulè e introduce l’uso massiccio della cannella

Se la ricetta degli antichi romani ci appare un po’ lontana, seppur ci fa venir voglia di osare sebbene a quanto pare dovremmo farlo nel periodo di ferie visto che per prepararla ci vogliono due giorni, il vin brulè così come oggi lo conosciamo, trova una versione più similare alla moderna (e parliamo di quella italiana) nel Medioevo. Ed è una ricetta che ci apre un nuovo scenario. Eh sì perché se per iscritto è Apicio a raccontarci per la prima volta del vino aromatizzato, il Medioevo ci racconta una storia ben più antica che sarebbe nata grazie al medico Ippocrate nell’antica Grecia. Ipotesi avallata dal nome scelto per indicare l’attuale vin brulè: ipocras (manica di Ippocrate).

Una scelta che potrebbe in realtà derivare semplicemente dal voler sottolineare le caratteristiche medicamentose di questa bevanda. La scienza moderna lo conferma: nel vin brulè sono tante le sostanze antiossidanti e proprio di recente alcune ricerche hanno dimostrato come gli antiossidanti (presenti anche nel vino) siano in grado non solo di allungarci la vita, ma anche di farcela vivere meglio!

Certo è che la ricetta del Medioevo segna un po’ una svolta nella ricetta. E’ in quest’epoca, infatti, che la cannella, appena accennata nella ricetta di Apicio, diventa protagonista, ma con una sostanziale differenza rispetto a passato e contemporaneità: il vin brulè si beveva freddo!

 

La globalizzazione del vin brulè arriva con le bottiglie colorate del glogg svedese

Un grazie speciale va agli svedesi. Se il vin brulè, o meglio il glogg (è così che si chiama in terra natìa) ha finito per associarsi al Natale lo dobbiamo a loro. Un merchandaising ante-litteram per così dire. Se oggi andiamo nei mercatini a cercare il regalo particolare, con il glogg gli svedesi hanno anticipato tutti. A fine ‘800 infatti, per aumentare un po’ gli introiti, i vinattieri e gli speziali si sono infatti messi a dipingere delle bottiglie e le hanno iniziate a vendere nei mercatini natalizi.

Inizia così, ufficialmente, la diffusione del vin brulè nel mondo che troverà, in ogni Paese, una sua versione. Tra l’altro, è proprio per venderne di più che, in Svezia, il glogg si arricchisce di un ingrediente che, solitamente, non appartiene alla nostra tradizione, ma che sarebbe interessante sperimentare: il cognac! Qui deve essere arrivato dalla Francia a riprova di quanto, nell’enogastronomia, l’integrazione nel mondo l’abbia fatta da padrone.

Eccola allora la ricetta base del primo vin brulè commerciale della storia: vino rosso, cognac, zucchero, anice stellato, cardamomo, cannella, chiodi di garofano, zenzero, noce moscata, arancia, uva passa e mandorle.

 

Il gluwhein tedesco è il vin brulè della tradizione da gustare con il panforte di Norimberga

Spostiamoci in un altra terra dei mercatini natalizi: la Germania! Poteva mancare qui la bevanda calda per eccellenza nel periodo natalizio? Certo che no. Se vi trovate a girare per i bellissimi mercatini tedeschi non dimenticate di chiedere un bel bicchiere di Gluhwein. Se gli italiani, o meglio gli antichi romani, lo hanno inventato (almeno fino a quando Ippocrate non ci verrà a dare prova che l’idea è venuta a lui) e gli svedesi lo hanno reso globale imbottigliandolo, i tedeschi nei mercatini il loro vin brulè lo degustavano già nel XV secolo perché tradizione vuole che proprio in questa nazione i mercatini così come li conosciamo oggi, sono nati.

Dimenticata la bevanda fredda medievale, il Gluhwein, come tutti i vin brluè che si rispettino, va bevuto caldo: anzi caldissimo. Meglio mettere i guanti per tenere il bicchiere mentre si cammina tra le bancarelle. La caratteristica principale, infatti, è che deve essere caldo tanto quanto lo è ad un passo dall’ebollizione, ma farlo bollire sarebbe un sacrilegio. Ma come si fa il Gluwhein? Ovviamente con un vino rosso corposo, succo e scorza di limone, chiodi di garofano, cardamomo, cannella e un ingrediente per noi nuovo: l’alloro! Consigli per consumarlo: il panforte di Norimberga, biscotti tipici da queste parti.

 

Le vin chaud francese: il calore del vin brulè che vogliamo torni a riscaldare le vie della natalizia Strasburgo

Un pensiero speciale, oggi, va a uno dei mercatini più belli del mondo dove il vin chaud ribolle tra i 300 chalet distribuiti in 12 location nel cuore della città: Strasburgo. Un luogo magico colpito al cuore proprio ieri, per un attentato folle che ha spezzato quella magia in cui abbiamo bisogno di continuare a credere.

Le pentole di rame di Strasburgo ieri si sono riempite più che del rosso del vino, del rosso del sangue, ma è la dolcezza di una bevanda che è capace di unire il mondo che le auguriamo di ritrovare la dolce serenità tipica delle festività. Il vin chaud richiama non poco il glogg svedese per la presenza di quel cognac (francese) che ha permesso ai nord europei di fare del vin brulè un prodotto di massa. Decisamente più delicato nel gusto il vin chaud è un mix perfetto di vino rosso, scorza di limone, miele o zucchero di canna, chiodi di garofano e un ingrediente fin qui mai incontrato: la noce moscata!

 

In Inghilterra e Usa il vin brulè è il mulled wine e in America è una vera e propria moda

Infine l’Inghilterra e gli Stati Uniti. Il vin brulè ha scavallato l’oceano ed era impossibile non accadesse visto che gli Usa sono da secoli crocevia di popoli. Entrambi gli stati il vin brulè lo identificano con il mulled wine. E la ricetta inglese, arrivata con le dovute modifiche, in America, è decisamente ricca. Nel mulled wine infatti il vino rosso è insaporito con arancia, limone, cannella, noce moscata, semi di finocchio, chiodi di garofano, cardamomo e zenzero.

E gli Usa? C’è una variante interessante e prevede l’uso del brandy. Provate a digitare mulled wine e scoprirete che, in America, impazza ed è tornato ad essere venduto in bottiglia conquistando, non senza critiche, una fetta di mercato. Ci potremmo pensare anche noi che ne siamo i creatori in effetti, nel frattempo godiamocelo con gli amici mentre ci godiamo un villaggio di Babbo Natale…italianissimo!