Una barriera che le organizzazioni del vino stanno cercando di abbattere con corsi ad hoc che aprono alla professionalità. Ma quanto può "pesare" il non vedere? Meno di quanto si pensi, secondo la scienza

Mentre da una parte l’Aspi (associazione della Sommelierie Professionale Italiana) si batte per avere un riconoscimento professionale di un lavoro che non è più solo fatto di passione e conoscenza, ma ormai un vero e proprio business manageriale, dall’altra il mondo dei sommelier allarga sempre più i suoi orizzonti. Non solo negli obiettivi, ma anche nell’abbattimento di quelle che di norma chiamiamo “barriere architettoniche”.

Se è vero che il vino è una questione di sensi, è altrettanto vero che là dove non arriva la vista, arrivano il gusto e l’olfatto. Il mondo dei sommelier ha definitivamente aperto le porte ai ciechi e gli ipovedenti e le iniziative in campo sono davvero moltissime.

 

Sommelier: Onav e Uici insieme per portare in tutta Italia corsi a misura di non vedenti e ipovedenti!

“L’olfatto è la vista dell’anima e delle emozioni”. Ripartiamo da qui. Ripartiamo dalle parole dell’enologo che inventò il Sassicaia, Giacomo Tachis, per ricordare la straordinaria impresa che due anni fa ha compiuto Antonio Tremacere. Leccese, 49 anni, è stato lui il primo sommelier Ais non vedente d’Italia.

Non ha nascosto la difficoltà di scegliere un percorso del genere, ma alla fine grazie alla sua passione, la sua volontà e il sostegno delle persone care, l’impresa è riuscita ed è diventato un professionista del vino a tutti gli effetti. Ciò che per il primo è impresa però, per gli altri deve diventare normalità. Ed è per questo che, da anni, nel mondo dei sommelier si lavora perché la possibilità di diventarlo sia data a tutti e oggi questa straordinarietà si sta trasformando pian piano in quotidianità.

Sono partiti da questo assunto Onav (Organizzazione Nazionale Assaggiatori di Vino e Uici (Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti): il vino, come il cibo, è cultura; è il racconto di un territorio e tutti devono avere la possibilità di raccontarlo. Una riflessione che ha portato le due associazioni a firmare un protocollo d’intesa per stringere una collaborazione ancor più stretta e continuativa rispetto a quella già esistente. L’obiettivo: promuovere corsi speciali di avvicinamento al vino dedicati a ciechi e ipovedenti. Iniziativa dalle due avviata nel 2018 a Verona e Brescia e che ora vuole essere estesa a tutta Italia.

 

Sommelier: a Bologna il successo di un corso dedicato ai non vedenti che la vista la sostituiscono con l’udito!

La dove non arriva la vista, abbiamo detto all’inizio, arrivano gusto e olfatto. Abbiamo dimenticato però di citare l’udito. Se a livello nazionale è nata una collaborazione tra due delle principali associazioni che rappresentano rispettivamente il mondo del vino e quello dei ciechi e degli ipovedenti, la verità è che in Italia di iniziative per abbattere quelle barriere più mentali che pratiche, ne esistono già. Una delle ultime ha visto protagonista Bologna e si è trattato di un vero e proprio corso per sommelier Ais.

Un corso Ais molto ben strutturato e approfondito partito a settembre e conclusosi a gennaio cui hanno preso parte 14 persone cieche e che ha coinvolto nell’iniziativa la sezione provinciale dell’Univoc (Unione Nazionale Italiana Volontari pro Ciechi) che per l’occasione ha anche fatto stampare un libro in braille sul mondo del vino. I partecipanti hanno così imparato a distinguere un vino in base al colore senza neanche vederlo. Come? Con il naso e con le sensazioni tattili. Il vino, ha ben detto il presidente bolognese dell’Univoc Mauro Marchesi, “può essere ascoltato avvicinando l’orecchio al bicchiere così da sentire se è frizzante o meno, mentre attraverso la rotazione è possibile valutarne la consistenza”. E ora che succede? Beh l’esperienza magari si ripeterà. Quel che è certo è che molti di loro hanno già manifestato l’intenzione di partecipare al vero e proprio corso professionale Ais per diventare professionisti.

 

 

Sommelier: e se la vista ci ingannasse? Lo studio americano che ci chiede di fare i conti con il nostro vissuto e il nostro pregiudizio

Poniamoci una domanda: se ad un non vedente noi possiamo “raccontare” un vino, cosa potremmo apprendere noi da un non vedente in materia? Molto più di quanto immaginiamo. Almeno secondo l’American Chemical Società (Acs), la più grande società scientifica del mondo. Avete mai sentito parlare di biochimica del cervello? Siamo sicuri che, la vista, non possa ingannarci? In fondo le degustazioni non prevedono anche un momento “alla cieca”?

“Vedere” il gusto…

Lo studio americano è stato presentato sei anni fa e può di certo far discutere. Ma l’assunto da cui parte è quanto mai interessante soprattutto nell’ottica del discorso che abbiamo intrapreso. Secondo Terry E.Acree, lo scienziato che ha condotto lo studio, le persone a volte “vedono” i sapori negli alimenti e nelle bevande prima di assaggiare. Il colore, insomma, ci può condizionare. Ognuno dei nostri sensi, d’altra parte, si sviluppa partendo dal cervello. E non di rado ci capita di non apprezzare un alimento perché, magari, è stato protagonista nella nostra vita di un’esperienza negativa.

“Sentire” il gusto…

Secondo Acree siamo in grado di vedere il sapore nei cibi e nei vini ancor prima di assaggiarli perché il ruolo della nostra vista è così potente da poter battere lingua e naso. Un’affermazione fatta dopo un esperimento: la differente percezione che le persone hanno avuto assaggiando un Sauvignon Blanc e, lo stesso vino, tinto di rosso con sostanze che non ne alterassero il sapore. Dunque è meglio non vedere? Non necessariamente. Ogni senso, è questo il senso della ricerca, può condizionarci. Acree ha fatto lo stesso esperimento con l’odorato chiedendo ai volontari di annusare caramello, fragola e altri cibi dolci e facendogli poi bere un bicchiere d’acqua. Come lo hanno percepito? Dolce!

Una ricerca che merita di essere approfondita, ma che al di là di tutto ci dimostra come in fondo, anche con tutti i nostri sensi perfettamente funzionanti, il nostro cervello possa condizionarci. Ecco che allora esiste la possibilità di uno scambio equo tra vedenti e non vedenti. E lo scambio è, per entrambi seppur con modalità diverse, l’eliminazione del pregiudizio.

 

Sommelier: esistono sbocchi professionali per i non vedenti? Sì, purché il mondo del vino lavori perché ciò che è eccezionali diventi normale

Resta da capire una cosa: possono dunque i non vedenti diventare dei bravi sommelier? Siamo convinti che sia così. E a dimostrarlo sono le esperienze già fatte. Era il 2015 quando su Famiglia Cristiana uscì un articolo sull’iniziativa Onav “Ascolta il vino” organizzata proprio con l’Unione Italiana ciechi e ipovedenti. Un corso a loro dedicato per farne grandi conoscitori e degustatori di vino. Un progetto partito dieci anni prima che ha coinvolto circa 200 persone e che si è poi ampliato coinvolgendo anche l’Ente nazionale per l’assistenza e la protezione dei sordi.

L’obiettivo è da sempre stato solo e soltanto uno: avere uno sbocco professionale e qualcuno ci è riuscito. Una possibilità concreta, in alcuni casi anche realizzatasi che però per diventare “normalità” non eccezionalità deve far sì che l’intero settore consideri le esigenze di chi non vede. Un esempio positivo? Quello delle etichette in braille su cui alcuni hanno già iniziato a puntare.