Il vino italiano sul podio di Hong Kong: è uno dei più venduti e continua a crescere, ma l'assenza di accordi commerciali ci penalizza. Negli Usa il sorpasso francese, in volumi, è cosa fatta e la botta è forte. C'è molto da rivedere in termini di promozione

Si sale e si scende. L’Italia del vino, nel complesso, continua a crescere nell’export, ma a fronte di nuove mete che si fanno sempre più appetibili, in altre iniziamo a perdere appeal e non di certo per il valore estrinseco del nostro vino. Il valore che perdiamo è quello economico. Il sorpasso era nell’aria. L’ascesa della Francia sull’Italia negli Usa aveva, in pochi mesi, recuperato un gap lungo 16 anni. Alla fine, in valore, i cugini d’Oltralpe ci hanno superati nonostante il nostro vino abbia fatto registrare il segno più.

Da una parte una leadership che si perde, dall’altra una che se ne guadagna. Ed è una di quelle che fa piacere conquistare. L’Asia, si sa, è ambitissima e la Cina è uno dei Paesi dove si cerca di conquistare sempre più terreno. L’Italia c’è riuscita. Nelle vendite, infatti, i nostri calici hanno conquistato Hong Kong. Le ragioni di un quadro così diverso? Sono moltepici. Per gli Usa sembrano essere tutti d’accordo: qualcosa non va nella promozione.

 

Exoprt vino: l’Italia sul podio di Hong Kong con una crescita esponenziale. Ma si potrebbe fare molto di più

 

Export vino italiano Hong Kong

 

Partiamo per una volta dalle belle notizie e cioè dall’ottimo risultato ottenuto ad Hong Kong. Con una crescita del 22% i vini italiani sono saliti sul podio dei più venduti nella metropoli cinese con un fatturato pari a 2,96 miliardi di dollari, poco più di 2 miliardi e mezzo di euro. In realtà è l’Europa del vino ad aver fatto breccia nel cuore dei cinesi. Secondo quano riferito da Benjamin Chau, vicedirettore esecutivo dell’Hong Kong Trade Development Council, infatti, le importazioni di vino hanno raggiunto i 7,56 miliardi di dollari grazie a Francia, Regno Unito e Italia. Il tutto in soli otto mesi. Spicca il ruolo della Valpolicella che il Consorzio ci ha tenuto a raccontare. Il 3% del mercato, infatti, arriva proprio da questa porzione di territorio veneto i cui vini, tra l’altro, saranno protagonisti proprio questo weekend, del Wine & Spirits Fair di Hong Kong. Evento pensato proprio per il business.

 

L’eliminazione dei dazi ha rappresentato la svolga, ma l’assenza di accordi commerciali mette un freno alle potenzialità

Non è solo merito della promozione il risultato ottenuto. Se questi vanno sì riconosciuti, è pur vero che ad aver finalmente aperto le frontiere enologiche da queste parti è stato l’abbattimento dei dazi doganali. Era il 2008. In quasi 10 anni l’export ha avuto un vero e proprio boom passando dall’1,6 miliardi dell’epoca, ai 12,5 miliardi di dollari di oggi, pari cioè ad un aumento del 700%. L’Italia, insomma, ha fatto bene, ma in realtà, sositene Olga Bussinello, direttore del Consorzio Vini Valpolicella, potrebbe fare molto di più. Quel che manca, in questo caso, sono infatti gli accordi commerciali. Già prima di conoscere i dati riportati da Chau, infatti, la Bussinello aveva affermato: “In Cina il mercato dei vini rossi vale 11 miliardi di euro e l’Italia se ne prende circaa 4,5 miliardi: c’è spazio per migliorare”.

Semplice non è perché da queste parti, scoperta la potenzialità della viticoltura, sono sempre più le aziende che nascono e che vengono a pescare professionisti proprio dalle nostre parti. Un rischio? Non proprio. L’aumentare dell’interesse potrebbe rappresentare un valore aggiunto nel voler scoprire e conoscere le nostre eccellenze. Il fattore culturale, insomma, può essere deterinante. Resta però il fatto che a penalizzare l’Italia, ha aggiunto la presidente del Consorzio, è l’assenza di “accordi di ingresso a tassazione zero con molti mercato. In Cina per entrare paghiamo le tasse – spiega – mentre il Cile, ad esempio, entra a costo zero perché ha fatto accordi con il governo cinese”. Insomma la responsabilità è istituzionale. Ed è a queste che si chiede un impegno maggiore nel sostenere un settore che è un motore inarrestabile dell’economia italiana. D’altra parte anche per la questione Francia, il problema istituzionale esiste, ma in un’altra veste.

 

Export vino: ciao ciao leadership. Storico sorpasso della Francia. L’Italia sta a guardare e paga lo scotto di una visione sbagliata

 

export vino italiano Usa

 

Era questione di giorni, ma qualcuno sperava che, alla fine, si sarebbe compiuto il miracolo. Così non è stato. Negli Usa perdiamo la leadership, almeno in termini di valore. Lo dicono chiaramente i dati delle Dogane Americane analizzati da Wine Monitor e Business Strategies: i francesi vincono 1,22 contro 1,21 miliardi di euro. Certo uno stacco minimo, ma che arriva dopo 16 anni di dominio e, soprattutto, in un momento storico in cui la domanda è in continua crescita. Il vino francese, fa male ricordalo, in nove mesi ci ha recuperato ben 160 milioni di euro. Sì, noi non abbiamo avuto crolli, anzi, siamo contiunati a crescere, ma non abbastanza e alla fine il sorpasso c’è stato.

“L’Italia perde il primato più ambito e lo perde male se pensiamo che oggi la Francia è market leader nei primi tre mercati di importanzione del mondo: Usa, Gran Bretagna e Cina – ha detto senza girarci troppo intorno la Ceo di Business Strategies, Silvana Ballotta -. Fa ancor più male riegistare come in un anno di grande crescita della domanda di vino nel mondo – ha aggiunto – gli Stati Uniti siano diventati la cartina tornasole della nostra ridotta competitivà sui mercati globali, frutto di azioni di marketing e promozioni deboli e mai sinergiche”.

 

Gli Ocm e l’incapacità di fare squadra: così non va

Insomma il problema degli Ocm e dunque della promozione nei Paesi Terzi ha un peso enorme in questa debacle. I ritardi con cui si è giunti, per l’ennesima volta, al bando per la loro assegnazione non fanno presagire niente di buono se non la possibilità di “tenere botta” come si suol dire. Da una parte dunque la carenza istituzionale, dall’altra l’incapacità del nostro vino di presentarsi come unico brand. La mentalità del curare il proprio orto tenendo tutti gli altri fuori, è ancora lì e lontana dall’essere sradicata sebbene sentori di cambiamento se ne respirino. Manca ancora, insomma, la consapevolezza di avere sì il bisogno di differenziarsi, ma di farlo muovendosi come un unica squadra che mira al raggiungimento di obiettivi comuni.

Per la serie facciamoci del male ecco lo scenario che in questi nove mesi ci ha portati a perdere la leadershio in Usa. La Francia è cresciuta del 18,8% a fronte del 3% italiano. Rispetto al 2016 le nostre queote di mercato sono passate dal 32,7% al 31,1%. Stagnante la vendita dei fermi imbottigliati che, senza far nulla, restano comunque leader per noi con i loro 962 milioni di euro. Poco vale quell’1,6% di incremento a fronte del 21,4% della Francia. Le bollicine sono andate meglio, ma anche loro non abbastanza. Negli ultimi 9 mesi, infatti, hanno incrementato la loro presenza nei mercati Usa dell’8,7%, sempre meno però dell’11,5% dei transalpini che, in valore, ci surclassano con i loro 432 milioni di euro.

Nei volumi restiamo leader non c’è dubbio, ma a che prezzo? Quelo al ribasso, almeno per gli sparkling!