Il fondatore dell'Osservatorio Economico vini effervescenti e tra i massimi esperti del settore ha fatto il punto a Spumantitalia nel corso di un'intervista in cui rimprovera, ma per stimolare i Consorzi a tornare grandi protagonisti

Un ruolo centrale quello dei Consorzi di tutela nel mondo del vino, ma che non può essere svolto se non si ha il coraggio di rivedere se stessi e di orientarsi verso le nuove sfide che il settore impone, dando risposte concrete e trasformandosi in vero riferimento per la tutela di un patrimonio unico al mondo.

I Consorzi devono rivedere il loro ruolo uscendo dall’ottica “litigiosa” degli orticelli da coltivare, ed entrando al contrario in un’ottica di sistema dove i piccoli devono essere garantiti e i grandi motori di sviluppo.

E’ questa, in sintesi, la posizione che Giampiero Comolli, fondatore dell’Osservatorio Economico Vini effervescenti e tra i massimi esperti di “bollicine” italiane nel mondo, ha espresso parlando del loro ruolo in un’interessante intervista apparsa su Pantelleria Notizie, che vale la pena raccontare.

 

Consorzi di tutela, Comolli: “non possono più fare solo marketing, serve un cambiamento”

L’occasione è stata quella di Spumantitalia, edizione del festival dedicato alle bollicine abruzzesi svoltosi all’Hotel Esplanade di Pescara. Per Comolli il ruolo dei Consorzi nel futuro di un settore in continua evoluzione, sarà sempre più importante. Ma l’incapacità di evolversi dalle ragioni che li hanno visti nascere ed essere il punto di riferimento per la crescita del settore tra il 1995 e il 1998, potrebbe determinarne quasi l’inutilità e, di conseguenza, portare non pochi danni all’enologia italiana. Ancor più se parliamo di bollicine che, sappiamo bene, rappresentato uno dei punti di forza indiscutibili negli ultimi anni se parliamo di export italiano.

“Oggi i Consorzi  – afferma Comolli – non rispondono più alle esigenze e domande degli anni 1995-1998, quando ci fu la grande rivoluzione e l’avvio dei Consorzi di tutela con la certificazione, tracciabilità e la vigilanza Erga-Omnes. I tempi sono cambiati”. E lo sono davvero. Il giudizio è netto e irrevocabile: “non possono stare in piedi Consorzi che fanno solo pubblicità, marketing e promozione generica”. Le parole chiave della sua attività devono diventare, sostiene l’esperto, comunicazione, informazione, formazione, marketing del territorio e voce di tutta la produzione dell’area geografica che rappresentano e non delle singole imprese.

Lo chiamano “fare sistema”, aggiungeremmo. Una brevissima frase che sembra diventare troppo spesso uno spot e molto meno spesso una realtà riuscita.

 

Consorzi di tutela: servono un bilancio, una gestione e dei progetti concreti

Cosa deve fare dunque un Consorzio per farsi trovare pronto alle sfide del mondo del vino? Comolli parte da ciò che non dovrebbe essere: “se fa tutela – afferma nell’intervista – non dovrebbero succedere fatti come quelli recenti in Oltrepò Pavese”, dove un grave episodio di contraffazione ha spinto lo stesso Consorzio a chiedere i danni. “In Italia – aggiunge – ce ne sono 70-80, forse sei o sette hanno un bilancio, una gestione, uomini, progetti e funzioni ben organizzati. Oggi troppi Consorzi hanno grossi problemi gestionali e di rappresentanza”.

Parole forti, ma significative per intraprendere un discorso di revisione e, soprattutto di rinascita. Troppo penalizzate le piccole cantine che, al momento del voto, hanno una rappresentanza troppo limitata e le difficoltà che si trovano, compresa la convivenza, non fanno altre che tenere ferme le realtà associative. Svilupparsi e sviluppare il valore delle aziende dei propri territorio, così, diventa farraginoso ed estremamente difficoltoso.

“Non è un mega evento promozionale – ammonisce Comolli dalle pagine di Pantelleria Notizie -, che scavalca o supplisce all’importanza della tutela e della vigilanza”. Interessante poi il riferimento alla certificazione ufficiale che, aggiunge, deve essere più “terziaria”.

 

Consorzi di tutela, Comolli: “il presidente? superpartes, anche non alla guida di una cantina”

Cosa devono fare dunque i Consorzi per tornare ad essere non puri enti, ma realtà determinanti? Per l’esperto “occorre separare bene la parte ‘tutela’ da quella di ‘promozione’: in corrispondenza il peso dei voti deve essere pro-capite per tutti gli aspetti di disciplinare, tutela, vigilanza mentre il voto censuario va bene per le decisioni promozionali, pubblicitarie. Il tutto all’interno sempre di un unico Consorzio, un solo consiglio, un solo bilancio e un solo presidente”.

Poi la proposta che suona quasi come una provocazione, ma che, in realtà, vuole essere un elemento di garanzia: il presidente del singolo Consorzio deve essere super-partes per cui cosa buona sarebbe, afferma Comolli, che non fosse necessariamente e “direttamente responsabile di una cantina piccola o grande, come pure deve essere forte il legame fra presidente e direttore, ma quest’ultimo più garante, autonomo con certi spazi di manovra che solo competenza può garantire”.

 

Le Doc…

Un appello a cambiare, a innovarsi, ma anche a fare un passo indietro per il bene di un settore che, per l’italia, è un vero e proprio patrimonio economico e culturale. “E’ evidente – conclude – che un sistema di 600 Docg Doc è complesso se non c’è un indirizzo e un modello”. A rimetterci potrebbero essere proprio le piccole Doc. Doc che invece vanno salvaguardare e garantite nel poter mantenere la propria indipendenza se rappresentanti di realtà significative per l’enologia del Paese.

Ruolo delle grandi denominazioni deve essere quello, invece, di organizzare e gestire il settore, “soprattutto per le delibere censuarie della promozione, pubblicità, eventi in cui le grosse cantine hanno necessità e funzioni diverse delle piccole aziende famigliari. Solo così si salva il tessuto dei Consorzi e delle piccole aziende vitivinicole. Semplificazione, testo unico burocratico, ma rispetto delle volontà locali a difesa della presenza attiva dell’azienda di territorio”.

Insomma una visione nuova, una strategia una nuova, una composizione nuova e nuovi obiettivi dove i grandi siano garanti anche dei piccoli e dove i piccoli trovino lo spazio giusto per far emergere le loro eccellenze e i loro territorio. Una rivoluzione possibile. Il primo ingrediente sarebbe però quello di trovare la giusta umiltà per farlo.