Dal "quel che non ci piace" dei sommelier intervistati da VinePair, un piccolo vademecum per capire quali sono le tendenze "sbagliate" e le buone regole per avere una Winelist degna di nota

Quando si parla di Carta dei Vini si parla della Carta d’Identità di un risotorante, di un winebar, di un’enoteca e di qualunque luogo dove il vino ha un ruolo da protagonista. Di premi ce ne sono molti, ma cosa fa di una Winelist un vero e proprio must?

La risposta non è semplice e tante volte ci è capitato di parlare dell’argomento. Oggi vi parliamo di quelle che sono le tendenze che non piacciono agli addetti ai lavori. Ai sommelier. E nello specifico a quelli americani dove il dibattito sull’argomento è sempre vivo e dalle cui parole molto si può capire di un mercato dove l’export italiano va per la maggiore.

A raccontarci cosa non piace vedere nelle Carte dei Vini, cosa non piace di alcuni atteggiamenti dei colleghi in relazione ad essa ed anche dei consumatori è VinePair, una delle riviste di riferimento di settore più quotate, che ha fatto il punto con 14 dei sommelier più importanti degli Usa. Abbiamo preso alcune delle loro dichiarazioni e stilato alcune buone regole per avere un’eccellente Carta dei Vini.

 

Carta dei Vini: quando il sommelier guarda le novità, ma dimentica il valore dei “classici”

Partiamo proprio da quello che non piace dell’atteggiamento dei sommelier nel preparare la loro Carta dei Vini. C’è una cosa su cui David Gibbs, coproprietario del Sushi Note di Los Angeles e Zac Adcox, sommelier dell’Indo si Saint Louis. La mania delle mode ha fatto “dimenticare” l’importanza dei classici. Le parole di Adcox sono illuminanti soprattutto per i nostri grandi vini: “ogni stile ‘alla moda’ nasce dal tentativo di emulare un classico o di bastardizzarlo finendo per farne esattamente il contrario di ciò che è. Non c’è modo di apprezzare il Nebbiolo del Nuovo Mondo se non hai provato in qualsiasi sua forma quello che arriva dal Piemonte”. Le “mode” non aiutano il settore, no comunicano qualità e soprattutto spingono molti giovani sommelier in nome della “naturalità”, sottolinea Gibbs, a cercare di cambiare a tutti i costi a spingere le persone a cambiare i loro gusti con atteggiamenti, sottolinea, quasi “dispregiativi”.”Se hai intenzione di scegliere di nuotare controcorrente – aggiunge Adcox – sii informato e abbi una risposta quando i tuoi clienti ti chiedono perché gli stai consigliando qualcosa di diverso”.

Se dunque qualla del “vino naturale” è una tendenza che va seguita perché parla spesso la lingua della qualità, questo non vuol dire che ciò che è esistito prima del suo exploit perda valore. Anche perché, lo spiega bene Ryan Balwdin sommelier al Margeaux Brasserie di Chicago, se un vino naturale “è difettoso nel bicchiere…lasciatemi scendere dall’autobus”.

 

Regola numero uno

se il vino naturale è un trend che va seguito, in nome della qualità e della sostenibilità, una Carta dei Vini che si rispetti non può prescindere dall’eccellenza dei classici. E’ l’unico modo per imparare a comunicare le novità.

 


Se vuoi che la tua Winelist funzioni fai in modo che rispecchi il locale per cui la stai stilando

C’è poi un problema di rispondenza. La Carta dei Vini deve raccontare la filosofia del ristorante e, di conseguenza, anche la sua cucina. Secondo Adcox questo non avviene sempre ed è un male per il locale, ma anche per il vino che viene comunicato nel modo peggiore. Perché accade? Perché chi stila la carta dei vini, aggiunge il sommelier dell’Indo, spesso lo fa senza pensare. Ci sembra di capire che farsi condizionare dal proprio gusto può essere un errore fatale se non lo si bilancia con il messaggio che il locale intende veicolare.

Esigenza confermata da Ashley Broshious, restaurant manager e head sommelier dello Zero Restaurant di Charleston. Anche per lei le Carte dei Vini sono monotone e, troppo spesso, non rispondono alle esigenze del locale. “L’ospite – spiega – preferisce ciò che si adatta al tuo ristorante”. Da cosa dipende un errore così madornale? Spesso, ne è convinto Ryan Arnold, wine director del McGuire Moorman Hospitality di Houston, dalla scarsa formazione.

 

Regola numero due e regola numero tre:

renderla flessibile, far sì che rispecchi la filosofia del ristorante e, soprattutto, lasciare che ad occuparsene sia un sommelier degno di tale nome.

 

Prezzi troppo alti: la Carta dei Vini deve essere accessibile a tutti, ma almeno un “fuori target” ci deve essere. Anche quello è adatto ad ogni tasca

A New York, lamenta Chelsea Carrier, beverage director e sommelier del Roof a Park South della Grande Mela, l’aumento dei prezzi nelle liste dei vini è eccessivo. Per lui il vino è pensato per essere condiviso con amici e familiari e non dovrebbe essere tanto costose. “Ci dovrebbe essere un prezzo per tutti”. E per tutti vuol dire anche per chi ha voglia di spendere di più secondo la Broshious che invita i suoi colleghi ad osare. Quella “omogeneità” delle Carte dei Vini che non le piace si traduce anche in questa mancanza.

C’è troppa paura, afferma, nell’inserire nelle proprie Carte anche dei vini di fasci alta. Non importa se siate o meno un ristorante stellato, avere nella vostra Winelist alcune bottiglie d’eccellenza non è un male. Al contrario. “Sarai sorpreso – afferma con convinzione la sommelier del Zero Restaurant – di quanti ospiti la acquisteranno perché sanno che parla la lingua della qualità e, soprattutto, che è perfetta per un’occasione speciale”. Lo conferma anche Alex Papetsas direttore del vino al Kellari di New York che lamenta, in città, l’aumento dei prezzi in nome di “vini di design, fatti su misura per le persone che vogliono mettersi in mostra. Il vino non dovrebbe riguardare la commercializzazione di dollari o l’etichetta, ma la sua sostanza”.

 

Regola numero quattro

avere una Carta dei Vini accessibile, che permetta a chiunque di degustare una buona bottiglia, ma ricordando di andare anche oltre lo “standard” prevedendo al suo interno anche vini che non sono per le tasche di tutti, ma che tutti potranno scegliere di acquistare perché possono permetterselo o perché diventi il simbolo di un momento da ricordare.

 

Carta dei vini: la cattiva influenza degli influencer! Clienti saccenti e sommelier disperati

Maledetti influencer verrebbe da dire. Fanno male agli addetti ai lavori, ma anche ai consumatori. Il proliferare di informazioni, se correttamente usate, è un bene. Ci dà maggiore consapevolezza, ci spinge a fare richieste specifiche. Ma quando la conoscenza diventa saccenza allora il discorso è diverso e il nostro atteggiamento può davvero essere avvilente per un sommelier.

A metterci giustamente in guardia è Juan Fernandez, capo sommelier dle The Ballantyne Hotel di Charlotte e del The Usual di New York. Non sono gli influencer a dirci quale vino dobbiamo bere e perché. “Lascia che chi di dovere faccia il suo lavoro e non ti arrabbiare se il ristorante non ha uno chardonnay burroso al bicchiere”. Come a dire: non insegnarmi a fare il mio mestiere!

Come comportarsi con un cliente così? Una risposta prova a darla Ryan Arnold, Wine Director del McGuire Moorman Hospitality di Houston: farsi trovare preparati. Sì, è il caso che anche i sommelier, seppur col naso storto, seguano gli influencer così da poter dare una risposta adeguata a chi delle loro parole fa la Bibbia, aprendo magari ai così insostenibili “saccenti” le vere porte della conoscenza del vino di qualità.

 

Regola numero cinque

essere sempre aggiornati su ciò che accade sui social media, sugli influencer che dettano i gusti dei winelover per dimostrare, al tavolo, quanto la formazione faccia la differenza.

 

Sperimentare è cosa buona e giusta, ma farsi travolgere dalle mode ci fa perdere di vista il valore profondo che c’è dietro ogni calice

Sperimentare sì, ma con criterio. Le novità in cantina devono arrivare. Osare è necessario, ma sempre con consapevolezza. Sembra quasi ci si voglia dire: teniamo le mode fuori dalla cantina. Almeno quelle che non convincono. E’ il caso dei vini infusi con la cannabis che nel mercato americano stanno guadagnando sempre più spazio. Per Amy Racine, direttore del vino del The Times Square Edition di New York, la cannabis sta facendo dimenticare il valore vero del vino dato dalla frutta e il terroir. Elementi che, con questi mix, rischiano di perdersi.

Vero, ma pur vero che se una tendenza c’è il mercato la cavalca. Farlo sapendo che è una “moda” che probabilmente finirà è però importante per far sì che la cantina non diventi un luogo dove in nome del guadagno immediato, la qualità sparisca. A sparire potrebbe essere, nel tempo, il vostro locale.

Interessante, invece, l’invito di Chris Leon proprietario dell’omonimo locale di Brooklyb a lasciarsi andare allo Zolfo. Riabilitare l’anidride solforosa è un trend da seguire. “E’ naturale, non averne paura”! E noi sosteniamo con convinzione questa riscoperta che può far solo che bene ai vini che si producono nei nostri terreni vulcanici ad esempio.

 

Regola numero sei

osate, osate, osate, ma fatelo sempre con consapevolezza. Date alla vostra cantina un respiro di novità creando una Carta dei Vini che stuzzichi la curiosità dei clienti, ma fatelo senza lasciarvi travolgere dalle mode.

 

Solo vini con punteggi alti? Qualcuno li vorrebbe vedere sparire. Certo è che la qualità non è solo una questione di numeri

Tra le considerazioni fatte dai sommelier su VinePair ne segnaliamo un’altra che ci piacerebbe indicarvi come la regola numero sei per una buona carta dei vini. Vini con alti punteggi sì, ma perché non andare a cercare l’eccellenza anche altrove. Sulla questione Rick Arline, sommelier del ristorante Ramato di Los Angeles e fin troppo drastico. Per lui la classificazione a punti deve essere eliminato. “Allo stato attuale è un sistema antiquato e arbitrario”. Per lui era utile quando il vino “era una cosa marginale della società. Oggi esistono modi più ponderati per parlare di vino”.

Se sia o meno giusto eliminare completamente i punteggi non sta a noi dirlo, ma è pur vero che un bravo sommelier sa andare alla ricerca della qualità e portare in cantina grandi vini che non si sono aggiudicati un posto di prestigio in una Guida.

 

Regola numero sette

scoprire nuovi sapori, nuovi vini. Andare alla ricerca delle eccellenze anche nei posti più impensati e valorizzare i vini di qualità che si imbottigliano in cantine piccole, dove la cura e l’attenzione per la produzione è però di altissimo livello.

Il supporto di una realtà come quella di Enolò

Gestire una Carta dei Vini non è semplice. Lo è ancora meno quando le esigenze sono tante. Difficile potersi rapportare con tante piccole cantine. O no? Enolò ci ha provato creando una Carta dei Vini unica nel panorama italiano. Una vera e propria rivoluzione che dà risposte a produttori e rivenditori. Di cosa si tratta? Per scoprirlo potreste partecipare ad uno dei nostri Aperitivi Operativi o consultare la nostra pagina web che racconta la nostra Start Up.