Nella storia le morti per avvelenamento sono innumerevoli. In alcune, per ipotesi o per verità, è il vino il suo tramite. In prossimità di Halloween eccone alcune, famose, su cui aleggiano mistero e realtà

Halloween si avvicina e come sempre quella che vi raccontiamo in prossimità di questa festa non proprio italiana, ma che continua a spopolare, un pizzico di macabro ce lo dobbiamo regalare. Se vi siete dimenticati dei fantasmi che popolano alcune cantine, potete sempre rimediare.

Nel frattempo vi raccontiamo altre storie. Stavolta vere, eccetto una. Il vino, nettare degli dèi e momento di piacere per ognuno di noi, a qualcuno è costato decisamente caro: gli è costata la vita! Le morti per avvelenamento sono tantissime nella storia dell’umanità. Quella del veleno è una vera e propria arte che, nei secoli, si è andata sempre più affinando. E il calice ha da sempre rappresentato uno di quei luoghi “sicuri” in cui versarlo per far fuori qualcuno. Ecco allora quattro morti sospette della storia e un racconto decisamente da brividi dove proprio il vino è protagonista.

 

E se a uccidere Alessandro Magno fosse stato un calice al veleno?

In sella a Bucefalo ha conquistato in dodici anni l’impero Persiano arrivando fino in Cina. E’ stato il più grande condottiero della storia. Figlio di Filippo II di Macedonia, Alessandro Magno riuscì nella sua brevissima vita, morì infatti a 32 anni, a fare ciò che nessuno dopo di lui è riuscito mai più a fare. Morì a Babilonia nel 323 a.C. e intorno alla sua morte, così come alla sua vita, ruotano aneddoti e misteri.

Quel che si sa è che sicuramente fu un grande bevitore. Un instancabile amante del vino per lui motivo di piacere e di sollievo dalle sofferenze. Secondo uno studio apparso sulla rivista Clinical Toxicology e ripreso dal Times, condotto da un gruppo di tossicologi esperti di storia antica dell’università di Otago (Nuova Zelanda), fu proprio il vino ad ucciderlo. O meglio, nel corso di uno dei suoi banchetti, dove in un calice sarebbe stata abilmente mescolata una sostanza tossica ricavata da una pianta chiamata “elleboro bianco” e usata dagli antichi per scacciare i demoni dal corpo, grazie a starnuti o vomito.

Nel calice di Alessandro Magno, però, di quantità ce n’era parecchia; probabilmente troppa. Per 12 giorni il grande condottiero soffrì febbre, delirio, convulsioni, debolezza muscolare, ipotensione e battito cardiaco rallentato. Alla fine morì. Se davvero fosse stato avvelenato il mistero resta sul chi lo avesse ucciso: i suoi nemici, o i suoi “amici”, stanchi di vivere all’ombra di una figura tanto carismatica quanto ingombrante?

 

Papa Alessandro VI Borgia: il corruttore corrotto, per sbaglio, da un calice di veleno destinato a un altro

Ph: Jermy Irons interpreta Papa Alessandro VI Borgia nella serie I Borgia

Di Papi controversi nella storia della Chiesa di Roma ce ne sono stati parecchi. Questo è forse quello che ha fatto discutere di più: Papa Alessandro VI Borgia. Spagnolo di nascita diventa leader della Chiesa cattolica nel 1492. Dedito sin da giovanissimo ad una vita dissoluta, il papato non cambiò affatto le sue abitudini ed è difficile dire quanti figli illegittimi abbia messo al mondo. Certo è che fu anche un grande corruttore. Fu così che divenne Papa: corrompendo un gran numero di Cardinali e promettendo un’infinità di favori.

Di cose più che discutibili ne ha fatte parecchie, compresa quella di nominare Cardinale, a soli 18 anni il figlio Cesare, che cinque anni dopo lasciò la chiesa per sposare la cugina del re di Francia e diventare Duca del Valentinois chiedendo poi al padre di finanziarlo per creare un Ducato in Emilia-Romagna. Cosa che fece ovviamente vendendo 12 titoli cardinalizi. Fu anche il responsabile della cosiddetta Inter Catera con cui regolava la contesa territoriale tra Spagna e Portogallo sui territori del Nuovo Mondo. Diete tutto alla Spagna (d’altra parte era spagnolo) seppur in seguito, con il Trattato di Tordesillas, almeno il Brasile toccò ai vicini portoghesi.

Impossibile, per una figura come la sua, non trovare un alone di mistero nella morte. La tesi più accreditata è la malaria, ma il corruttore finì corrotto per errore, secondo altre ipotesi. I Borgia al veleno erano avvezzi e si pensa che quello che uccise il Papa, probabilmente contenuto in un boccale di vino, era destinato al cardinale Adriano Castellesi nel corso di un banchetto, che però, in un momento di confusione, finì proprio in bocca di Papa Borgia. A supporto della tesi esistono testimonianze dell’epoca che parlano di segni di avvelenamento sul suo cadavere.

 

L’ostia consacrata nel vino avvelenato: è così che è morto il filosofo Cartesio?

“Cogito ergo sum” diceva Cartesio, o meglio sarebbe dire René Descartes. Anche sulla sua, di morte, aleggia un mistero, o meglio più di una teoria. La più accreditata è la polmonite. Ma per il ricercatore tedesco dell’Università di Erlangen, Theodor Ebert, ad uccidere il filosofo l’11 febbraio 1650 a Stoccolma, fu l’arsenico contenuto nel vino o direttamente nell’ostia che ingerì. E anche qui l’intrigo avrebbe a che fare nel rapporto Stato – Chiesa. Chiamato a corte, in Olanda, dalla Regina Cristina del 1649, con le sue tesi, seppur cattolico, Cartesio non era ben visto da Roma.

Ecco che allora, temendo che la sua presenza a corte avrebbe potuto allontanare la sovrana dalla decisione di convertirsi al cristianesimo, il prete cattolico Jaques Viogué lo avrebbe avvelenato somministrandogli arsenico con l’ostia consacrata. Secondo Ebert, infatti, le teorie di Cartesio erano troppo vicine alla “eresia calvinista”. A sostegno della sua tesi il ricercatore cita una lettera del medico di Cartesio, il dottor Van Wullen, che afferma di aver trovato qualcosa di strano nelle urine del filosfo e il fatto che il filosofo, la notte prima di morire, avrebbe chiesto a Van Wullen di somministrargli un emetico, un infuso di vino e tabacco che si usava per indurre il vomito. Come se sapesse di essere stato avvelenato.

 

Beethoven ucciso dal piombo, e se il veleno fosse quello contenuto nelle coppe da cui amava bere vino bianco?

La sua non fu una vita facile. Ma il patrimonio musicale che ci ha lasciato è inestimabile così come la carismaticità della sua figura così romantica, nel senso più baudelairaiano del termine. Parliamo di Ludwig Van Beethoven. Un’infanzia terribile la sua. Il genio lo mostrò subito, ma fu prima represso e poi utilizzato per far soldi dal padre, musicista anche lui e noto ubriacone che, probabilmente lo picchiava spesso. Innamorato di una madre che non lo amava affatto, nell’infanzia fu il nonno, musicista di cappella, il suo punto di riferimento tanto che la sua immagine la portò sempre con sè.

Lasciata Bonn per Vienna la svolta della sua vita arrivò grazie A Gottlob Neefe, l’organista di corte che fu suo mentore. La gran parte delle cose su di lui le sappiamo da Thayer, il suo primo biografo, che a quanto pare alcune cose non volle neanche raccontarle per quanto sconcertanti. Quel che è certo è che non era un uomo così cupo come lo immaginiamo. Almeno non in gioventù e nonostante un’infanzia tanto complicata. La vita, per un po’, Ludwig se la godette e anche le donne seppur più portato a relazioni platoniche. Le malattie, però, hanno costellato la sua intera esistenza così come l’alcolismo. Soffriva di asma e di pancreatite cronica e ad ucciderlo, è stato dimostrato, è stato il vino: o meglio il piombo rilasciato dalle coppe che si usavano all’epoca. Provate solo a immaginare quanto ne bevesse.

A confermarlo il dipartimento per l’Energia dell’Argonne national laboratory che ha analizzato ai raggi X ciocche di capelli e parte del teschio del compositore. Secondo la loro tesi il piombo lo avrebbe avvelenato per tutta la vita inconsapevolmente. Come ne abbia ingerito così tanto resta un mistero, ma la tesi più accreditata è tutta nella passione per il vino bianco che versava continuamente in coppe contenenti proprio il metallo pesante.

 

La lettura della sera…quando il veleno è nella tentazione!

Infine la lettura della sera in vista di Halloween, non può che essere di Edgar Allan Poe. Consigliatissimo “Il barile di Amontillado”, un racconto breve dove il vino, o meglio lo cherry, è protagonista. Una vera e propria storia di vendetta e tentazione. Narrata in prima persona da un certo Montrésor, che con l’inganno porta il suo amico italiano Fortunato, a morte certa. E’ carnevale, siamo nel nostro Paese e Fortunato, vestito da giullare se ne va in giro in un luogo non identificato, completamente ubriaco.

Montrésor che è in cerca di vendetta (non si sa bene perché) gli dice di sapere dove trovare un barile di Amontillado. Fortunato lo segue nelle cantine del suo palazzo facendosi ingannare fino ad arrivare nelle catacombe dove la storia prosegue fino a quando Fortunato non alza una bottiglia verso l’amico…poi…beh, poi dovete leggerlo. Quel che possiamo dire è che il giullare da lì non uscirà. Se siete appassionati di Poe potete immaginarvi come finirà? Un indizio? Gatto nero…