Un settore di nicchia in crescita che ha bisogno di regolamentazione e che può essere, per Saracho (Crusoe Treasure) un volano per enologia, ambiente e turismo

Se ne parla tanto, ma poco si è parlato del primo Congresso del vino sommerso (o subacqueo se preferite) svoltosi all’Itsasmuseum, il centro di storia navale di Bilbao. Qui il 12 e il 13 dicembre per la prima volta si è svolto un incontro che ha visto protagonisti 50 ospiti tra esperti, enologi e viticoltori.

Quello del vino sommerso è un vero e proprio fenomeno. Se ne è iniziato a parlare sempre più e l’Italia ha le sue storie da raccontare. Un modo di affinare il vino che corre dal Bel Paese al mare del Nord.

 

Vino sommerso: diffidate dalle imitazioni. Il monito degli addetti ai lavori: “produrlo non vuol dire gettare bottiglie in mare”

Ad organizzare il congresso una delle aziende simbolo, nel mondo, di questa scelta. La Crusoe Treasure che, nei Paesi Baschi e per la precisione nella baia di Plentiza, affina i migliori vini di Spagna nel pieno rispetto dell’ecosistema marino. Un’avventura, la sua, iniziata 10 anni fa per una tipologia i produzione, quella dei vini sommersi che, come emerso dall’incontro di Bilbao, convince non solo i produttori, ma anche i sommelier. Un settore di nicchia in crescita per la produzione di calici che, a quanto pare, accelera l’invecchiamento regalando vini meno complessi e per questo, probabilmente, più facili da apprezzare per la gran parte dei consumatori.

Una produzione di nicchia non solo per la particolarità, ma anche per i costi. Bassi non sono. E a dirlo sono proprio i produttori. Da qui il monito: diffidate dalle imitazioni. Invecchiare il vino nei fondali, ha infatti tenuto a precisare Borija Saracho, cofondatrice di Crusoe Treasure non vuol dire solo “gettare” le bottiglie in mare. Ecco che allora un congresso è stato ed è necessario: serve per dare credibilità a una produzione che, spesso a causa degli improvvisatori, lascia serpeggiare ancora troppo scetticismo.

 

Vino sommerso. L’invito da Bilbao: servono regole e i piccoli progetti vanno sostenuti

I vantaggi? Per Saracho sono su molti fronti: quello enologico, quello ambientale e quello turistico. Sul primo il dibattito, sul secondo i dubbi sono pochi e sul terzo è innegabile che il fascino di una produzione di questo genere funga da grande attrattore. Altrettanto vero però, ha ben sottolineato Saracho, è che perché quello del vino sommerso diventi un volano di qualità e promozione, è necessario che si stabiliscano delle regole che ne regolamentino la produzione.

Dopo un primo giorno di dibattito, dunque, i presenti si sono incontrati nel Centro di ricerca per la biologia marina e le biotecnologie sperimentali di Plentzia, proprio lì dove la Crusoe Treasure fa invecchiare le sue bottiglie. L’occasione anche per mostrare come i vini vengono “recuperati” dai fondali.

Il congresso di Bilbao ha dunque voluto tracciare delle linee guida per il futuro di questo tipo di produzione. Dal bisogno di regolamentazione, a quello di promozione. Fattore, quest’ultimo, su cui si è soffermato Asier Alea, rappresentante della promozione commerciale e del turismo per il governo regionale di Bizkaia, che ha sponsorizzato la conferenza. Non tutti, ha voluto ricordare, sono dei big ecco perché i piccoli progetti vanno sostenuti e questo, ad oggi, nessuno (o quasi lo fa). Un monito al sistema e alle istituzioni.

 
 

Ph: gallery sito web Cantine Bisson

 

 

In Italia…

 
Scopriamole allora alcune di queste bottiglie uniche al mondo che invecchiano in fono al mare in dall’Italia al Mare del Nord. Tra le etichette più note e rappresentative del paese quella delle cantine Bisson di Sestri Levante. Sono stati loro i primi a sperimentare l’invecchiamento sotto le acque della Baia del Silenzio. Sono 30mila le bottiglie di spumante che riposano negli abissi dove restano per un anno in gabbioni di ferro che diventano “casa” di pesci, conchiglie, alghe e stelle marine. Per una Riserva ci vogliono 26 mesi. Lugano che ha ancora un sogno da realizzare: realizzare un vigneto navigante.
 
Se Bisson è stato il primo in Italia altre sperimentazioni sono nate negli anni. A cominciare dal Nautilus, il vino che prende il nome dallo storico romando di Jules Verne “Ventimila leghe sotto i mari” e che ha portato “a galla” la sua prima produzione nel 2012 grazie all’impegno di Alex Belingheri dell’Azienda Agricola Valle Camonica. Bollicine sommerse invecchiano anche a 30 metri di profondità nell’area marina di Capo Caccia-Isola Piana ad Alghero. Qui, a 28 metri di profondità, a sperimentare il suo vino subacqueo è la Cantina Santa Maria la Palma. Menzione la merita anche la cantina Brisighella, ovvero la Tenuta del Paguro, che i suoi vini (Merlot, Albana, Cabernet e Sangiovese) li fa invecchiare in un relitto petrolifero al largo di Ravenna.
 
 

Nel mare del nord…

 
Esempi arrivano anche dall’estero. Ad ispirarli, oltre al caso Bisson in Italia, anche il ritrovamento di diverse casse di Veuve Clicquot Ponsardin, Heidsieck e Juglar datate 1840 nei fondali del Mar Baltico. A 55 metri di profondità, infatti, è stata rinvenuta nel relitto di una nave, quella che molto probabilmente era una cantina destinata a ricche famiglie tedesche o alla corte dello Zar Pietro il Grande e a lui inviate da Luigi XVI.
La nota azienda di champagne francese, la Veuve Clicquot, non se l’è fatto ripetere due volte. Nel 2014 ha avviato il suo progetto di studio e analisi sull’invecchiamento delle bottiglie in mare. Uno studio che durerà ben 40 anni. In fondo al mare ha quindi messo a riposare una selezione di Yellow Laber Vintase Rosè 2004 e Demi-Sec. Bottiglie poggiate proprio in quello stesso fondale tra la Svezia e la Finlandia dove sono state scoperte le casse del 1840.
 
E restando in tema champagne è bene ricordare che anche Chateau Larrivet Haut-Brion ha “sommerso” uno dei suoi Bordeaux più pregiati nell’oceano.
 
Un fascino, quello dei vini sommersi, che conquista!