E' in vendita online il primo vino verde (alla marijuana) e come quello blu arriva dalla Spagna. Quello del vino colorato è un trend in crescita, con polemiche annesse, ma se preso con il giusto 'spirito' può essere un bel regalo da mettere sotto l'albero

E’ un primato che possiamo rivendicare, vi piaccia o no: il primo vino alla cannabis è nato proprio in Italia, ma il primo a finire online è spagnolo. Se vi siete appassionati al vino blu a Natale potete, insomma, regalarvi anche quello verde. L’effetto cromatico è assicurato.

A quanto pare in Spagna il colore nei calici riscuote gran successo perché è di nuovo qui che è iniziata questa nuova avventura. A lanciare il nuovo prodotto, a prezzo tra l’altro accessibile, è infatti stata un’altra azienda spagnola: la Winabis. Già che ci siamo e visto che le feste sono alle porte, se avete intenzione di fare un regalo che stupisce, ripercorriamo un po’ la storia del vino colorato partendo proprio da quello a base di marjiuana ora in commercio.

 

Vino alla marija: poco alcol, tanto colore e un sapore dolce. Dopo quello blu arriva il vino verde, sarà un successo?

Poco alcol, tanto colore (rigorosamente verde shocking) con aggiunta di Cbd, una miscela audacemente alta di aromi di cannabis” e 16.95 euro per metterla in cantina. Il nuovo vino, a quanto pare, è destinato a conquistare, come accaduto con il collega blu, una buona fetta di mercato. E c’è anche l’offerta. Sì perché se una bottiglia viene 16.95 euro ve ne potrete assicurare tre a 45 euro.

La scoperta più sorprendente, per quanto ci riguarda, è stata quella riguardante la produzione della Winabis di Bodegas Santa Margarita. Tra i suoi vini, infatti, il colore è predominante. Se quello alla cannabis è l’ultimo ritrovato, tra le sue produzioni troviamo anche l’ormai popolare blu, il rosa e l’arancione oltre alle bollicine anche in questo caso dalle tinte del cielo. Sono il Paison Wines, l’Hoya Hermosa, il Nature Blue e l’Euforia.

Quella del vino verde smeraldo però è la novità dell’anno per l’azienda e, c’è da scommetterci, per i consumatori. Con una gradazione del 9,5% a quanto pare è un vino dalla media dolcezza che, al palato, ricorda la pesca. Tranquilli, però, nessun effetto psicoattivo. L’azienda lo assicura: all’interno del prodotto c’è il Cannabidiol (Cbd), un composto della cannabis che non ha questi effetti a differenza del Tetraidroccannabinolo (Thc), il costituente psicoattivo della marijuana. Totalmente legale la sua produzione, assicura Winabis: “è il risultato della nostra esperienza come viticoltori unito al nostro interesse per l’innovazione con nuovi tipi di vino”.

Ma in Italia si può acquistare? Certo che sì. La vendita online è aperta in tutta Europa. Insomma come regalo di Natale non sarebbe neanche male. L’effeto shock è assicurato. Magari poi fateci sapere com’è!

 

Oggi c’è il vino verde alla marija, ma la moda del vino colorato è nata, in blu, nel 2015

Se il verde è il trend del 2019, o almeno così si augura Winabis, quello del vino blu iniziato nel 2015 ha smentito tutti coloro che parlavano di moda passeggera. Eh sì perché da allora di acqua, anzi di vino azzurro, ne è passato sotto i ponti e i suoi consumi sono anche aumentati.

I primi ad avventurarsi sono stati dei giovani spagnoli con il loro Gik, il vino simbolo di questa rivoluzione. Un vino frutto di uve rosse e bianche in realtà, cui sono stati aggiunti antociani e pigmenti indaco per dargli quel colore blu intenso che ha conquistato prima gli occhi e, di molti, anche il palato. Non un’invenzione nata dalla follia, in realtà, ma da una collaborazione serissima con l’Università dei Paesi Baschi e Azti Tecnalia, il dipartimento di ricerca alimentare del governo basco.

La follia era piuttosto nel fatto che i sei amici che hanno deciso di tentare questa strada non avevano alcuna esperienza nella vinificazione. Chiaro che per i puristi il vino blu non sarà mai un vino. Ma ai millennials l’idea è piaciuta ed era proprio dall’aver osservato che i giovani cercavano qualcosa di nuovo che questo gruppo di “folli” ha partorito l’idea. E le parole chiave usate per promuoverlo, hanno fatto il resto, denotando se non una grande capacità come viticoltori, di certo una grande professionalità nel marketing.

Così lo si descriveva: un vino che è “movimento, innovazione, fluidità, cambiamento e infinito”. Ed è proprio sulla profondità che si è basato il marketing andando a scomodare persino il pittore russo Wassily Kandinsky per cui “più profondo diventa il blu, più forte chiama l’uomo verso l’infinito, risvegliando in lui un desidero per il puro”.


Quando il vino blu è arrivato in Francia chi lo ha creato ha detto “è meglio dello Champagne”

Sono passati due anni e il vino blu ha scavallato i Pirenei arrivando in Francia. E se vogliamo fermarci ai cliché, la cosa fantastica del lancio del primo fizz blu da uve francesi ha spinto i suoi produttori ad affermare che questo avesse “un sapore migliore dello Champagne”. Un vino atavico verrebbe da dire che, con il nome, voleva richiamare la purezza delle origini. Il primo vino blu francese è stato infatti l’Eden ottenuto da uve Chardonnay della Provenza ed è stato creato dall’imprenditore francese di origine inglese Ayumeric V Bruneau.

Certo, tra quello spagnolo e questo la differenza nel prezzo è notevole. Se Gik, al suo lancio, costava 10 euro, per fare un salto nell’Eden ce ne volevano 45. E anche in questo caso il marketing si giocava tutto sui valori immateriali richiamati dal blu.

Giustificato però. Sì perché se i sei ragazzi spagnoli con il vino non avevano nulla a che fare, Bruneau è viticoltore di generazioni. Il suo bisnonno Gaston, infatti, fondò la cantina Mareaux-aux-Pres ad Orelans (e già il luogo ha echi rivoluzionari) nel 1931, mentre il nonno, evidentemente avventuriero anche lui, si mise a produrre acquavite di pere.

 

L’emigrazione e la voglia di tornare in patria…

Per produrre vino blu la Francia si è anche “dislocata”. Lo ha fatto, nel 2018, René Le Bail con il suo Vindigo. Non riuscendo a produrlo in patria l’imprenditore si è spostato in spagna e insieme ad un enologo ha iniziato a lavorare al suo Chardonnay blu mare. Costo contenuto (12 euro) e, a quanto pare, un successo con 35mila bottiglie prodotte che sembra siano piaciute molto alle donne. Le vendite, aveva detto Le Bail, hanno superato le aspettative e l’intenzione è quella di portarne una buona parte di produzione in patria: per la precisione a Bordeaux.

 

Il vino blu in Gran Bretagna è approdato nel 2017 e ha omaggiato un mito: James Bond

Poteva in questo mercato mancare il Regno Unito? Ovviamente no è il nome è quanto mai ispirato: il “Cava” blu inglese di Chris Arbery si chiama infatti Skyfall, proprio come il titolo di uno dei film che ha come protagonisti un vero e proprio mito british (007), ed è stato lanciato sui mercati nel 2017. Il “Cava” va tra parentesi perché sulla questione del definire “vino” quello blu la diatriba è in corso e la Ue lo ha vietato visto che, come categoria non esiste.

Realizzato con una miscela di Macabeau, Parellada, Xarel-lo e Chardonnay, lo Skyfall Gran Riserva invecchia per tre anni prima di finire in commercio. Prezzo? 39.99 sterline cioè poco più di 44 euro a bottiglia.

 

Non tutto il verde (o il blu) luccica: la polemica sul ‘Prosecco’ blu italiano e il bisogno di trovare un accordo per dire sì alla novità senza intaccare la tradizione

Va bene la sperimentazione, va bene anche il colore e va benissimo fare un regalo di Natale alternativo e di idee ve ne abbiamo già date. Ne manca uno. Quello che ha suscitato più polemiche di tutti: il Blumond dei Fratelli Saraceni. Il problema nel lancio del vino blu italiano è nato per la presenza del Prosecco nella sua miscela: troppo poco per essere definito vino (7%).

La vendita è iniziata negli Stati Uniti e la Gran Bretagna e va detto: è stato un successo. Nel Usa ha totalizzato, nei primi mesi dalla sua uscita, 675mila sterline di vendite e l’intenzione dei fratelli Saraceni è quello di conquistare anche l’Italia dove però la parola Prosecco, è stato questo il problema, non dovrebbe essere contemplata a meno che la sua presenza nella bottiglia non fosse del 10%. Un vino non vino che aveva spinto Wladimir Gobbo, membro dell’Associazione Italiana Sommelier “un insulto alla nostra tradizione vinicola. Questi non sono vini – aveva detto – ma liquidi colorati, ibridi stupidi con una percentuale annacquata di alcol”. Parole cui erano seguite quelle non meno dure di Fabio Lantieri de Paratico, co-fondatore del Consorzio Franciacorta.

 

La replica dei produttori…

Da parte loro i Fratelli Saraceni hanno difeso la loro creazione affermando che “i bevitori anglosassoni sono più aperti all’innovazione e ai colpi di scena in particolare degli italiani. A loro piace sperimentare”.

Per quanto ci riguarda crediamo che se è vero che il vino è una cosa da intenditori, il fatto che nascano realtà diverse, che si sperimenti, che si affrontino i mercati anche con un po’ di colore non sia una cosa così oscena. Certo: a patto che si rispettino i disciplinari e non si vadano a creare confusioni pericolose tra il vino (quello vero) e quelle novità che si dovrebbero vivere un po’ anche come un gioco.

E poi a Natale non siamo tutti più buoni?