A volte il loro nome si lega indissolubilmente a quello di personaggi che hanno fatto la storia. Ecco alcune eccellenze italiane che piacevano tanto a...

A volte a fare la fortuna di alcuni vini e anche a fargliela ritrovare, è il fatto che al di là del suo innegabile valore, il suo nome si leghi indissolubilmente a quello di qualcuno che è rimasto scolpito nella storia.

E così mentre il Merano Wine Festival, di cui avremo occasione di parlarvi ampiamente viste le tante novità che uno degli eventi più attesi dell’anno, si prepara ad omaggiare il genio di Leonardo e il suo grande rapporto con il vino; e mentre sabato ad Astino Incontri 2019 la Fondazione Mia insieme al Seminario Permanente Luigi Veronelli si prepara a raccontare sabato 21 il grande rapporto che legò alla viticoltura un altro genio italico, Galielo Galilei, vi proponiamo oggi una rassegna dei vini che hanno segnato la storia, o meglio quei vini che hanno fatto innamorare personaggi rimasti nella storia approfittando anche per raccontarvi qualche curiosità legata a personaggi più e meno contemporanei.

 

Tra i vini preferiti di Giulio Cesare c’era il Mamertino di Milazzo finito nelle “Guide” più antiche della storia!

Partiamo da lontano e da uno dei personaggi più famosi al mondo: Giulio Cesare. Sapete qual era il suo vino preferito? Era un vino siciliano, il Mamertino. Quasi dimenticato, ha trovato la sua seconda vita qualche decennio fa. E’ stato recuperato, rivalutato e tornato a deliziare i banchetti della nostra epoca. Ma il Mamertino era assoluto protagonista anche nei banchetti del mitico imperatore. Piantato nel territorio di Milazzo già nel 289 a.C. fu quello che scelse per celebrare il suo terzo Consolato e a lui Giulio Cesare fece cenno anche nel suo mitico “De Bello Gallico”.

Come accadrebbe oggi in una Guida d’eccellenza, l’apprezzamento dell’imperatore per quello che è definito come vino “caldo, generoso e confortevole”, è stato classificato dal geografo romano Strabone tra i migliori dell’epoca. Non c’erano i punteggi, ma per Plinio il Vecchio era al quarto posto i una classifica di 195 vini. Anche Marziale lo esaltò con queste parole: “date al Mamertino il nome che volete, magari quello dei vini più celebri”. La sua celebrità questo vino siciliano se l’è guadagnata con il suo nome e a ragione. Grande è la sua versatilità visto che la Doc lo prevede in bianco e in rosso con un disciplinare che per la sua “nascita” prevede 6 vitigni: quattro a bacca bianca (Grillo, Inzolina, Cataratto bianco comune e Cataratto bianco lucido) e due a bacca nera (Nocera e Calabrese).

 

Il Pellagrello di Ferdinando di Borbone è tornato ed è a marchio Reggia di Caserta

Sarebbe stato orgoglioso di questo grande ritorno re Ferdinando di Borbone. La “Vigna di San Silvestro” che si trova all’interno dell’omonimo bosco che faceva parte delle “Reali Delizie” della famiglia coronata, tornerà infatti a vivere e a produrre il vino con cui re Ferdinando si deliziava e deliziava i suo commensali: il Pallagrello, banco e nero!

E’ a fine 2017 che il bando per l’assegnazione dell’ettaro di terreno di questa vigna “reale” è uscito e l’obiettivo era proprio quello di far tornare a viver la vigna, coltivandola e facendo sì che torni a produrre almeno per i 15 anni di concessione previsti dal bando di gara. Ad aggiudicarsela è stata la Tenuta Fontana dell’azienda vinicola di Pietralcina (Benevento). Non ci resta che aspettare le prime bottiglie per tornare a degustare questo “vino da re” a marchio Reggia di Caserta.

 

La riscoperta del rosè? D’Annunzio forse lo sapeva e di certo il Chiaretto già lo amava e lo omaggiava

Avanguardista, futurista capace di interpretare ed anticipare le epoche e ancora simbolo di incredibile modernità, Gabriele d’Annunzio forse sapeva che il vino rosato sarebbe prima o poi diventato un vino degno di una propria identità. Non ce lo potrà di certo raccontare, ma la fortuna del Chiaretto si lega indissolubilmente al suo nome. Da grande poeta ha saputo omaggiarlo con una delle tante dediche che inviò ad una delle sue amate, l’attrice Elonora Duse. “Penserò a te ogni sera come il monte Baldo è rosa come nessuna rosa”, scrisse.

Un richiamo non casuale a quanto pare quello al monte delle Prealpi Gardesane. E’ proprio quello che sovrasta il territorio di produzione del famosissimo rosè del lago di Garda. Vino che certamente non mancava nella sua cantina. Pare lui fosse astemio, ma per i suoi ospiti, da grande esteta, solo il meglio nei calici!

 

Savoia amanti dei vini italici, nelle grazie di Carlo Alberto c’era il Pelaverga, afrodisiaco e dal nome non casualmente ambiguo

Se a sud c’erano i Borbone, a nord c’erano i Savoia. Possibile che nessun vino si leghi al loro nome? Certo! E il nome, a quanto pare, avrebbe un che di maliziosamente evocativo. Parlimo del Pelaverga, prodotto delle colline del saluzzese e del territorio di Verduno e La Morra, nelle Langhe.

Vino a quanto pare amatissimo da Carlo Alberto di Savoia che, come molti altri, ha rischiato di sparire se non fosse stato qualche vignaiolo testardo, negli anni ’70, a recuperarlo e valorizzarlo tanto da ottenere, nel 1995 la Denominazione di Origine Controllata. Ma torniamo alla storia col gusto di leggenda. Fragrante e speziato sembra proprio che a spingere per la sua coltivazione fu il reale che i filari li volle nel suo castello di campagna (il castello di Verduno) acquistato dalla famiglia Cerrato, che lo costruì nel 1500, dallo stesso Carlo Alberto nel 1838. Fu così che quelle stesse vigne divennero la sede dei primi esperimenti anche della nascita del mitico Barolo, con a guidare i lavori l’enologo Paolo Francesco Staglieno e, udite udite, Camillo Benso di Cavour.

Ma il Pelaverga sembra prorio fosse il preferito di Carlo Alberto quando c’erano amici a banchettare e questa peculiarità fece sì che nel mito diventasse una bevanda altamente afrodisiaca. Di certo portava goliardia visto che, a quanto pare, alla fine di una delle tante serate trascorse in compagnia sembra che Carlo Alberto chiese a tutti di firmare uno specchio che campeggiava nella sala da pranzo del Castello. Ed è ancora lì…

 

Bere troppo fa male? Sempre, ma forse se la scienza avesse potuto conoscere questi due personaggi ne sapremmo ancora di più…

Chiudiamo con delle piccole curiosità. Ad esempio, quante cose in più potremmo sapere oggi se la Regina Madre e Alessandro Magno avessero donato il loro corpo alla scienza? La prima, a quanto pare, beveva una bottiglia di vino al giorno che a pranzo consumava con la cioccolata concedendosi, pare, un bicchiere di gin a colazione e uno di champagne a cena. Abitudini che non hanno intaccato la sua longevità visto che i 102 anni li ha raggiunti. Chissà che anche la Regina Elisabetta non segua la stessa dieta visto che è prossima a raggiungerla in quanto a veneranda età.

Per il secondo, invece, la dipartita è arrivata prestissimo. A soli 33 anni il giovanissimo Alessandro Magno, infatti, morì secondo alcune tesi proprio per una cirrosi epatica dovuta al consumo eccessivo di vino e gli eccessi a tavola. Non prima però, di aver conquistato mezzo mondo, rimanendo nel mito come il più grande condottiero che l’umanità possa ricordare.

Se l’eccesso non va mai bene per chiudere prendiamo per buone le parole di un altro grandissimo personaggio che la storia ci ha regalato e che ci ha regalato alcuni dei più grandi capolavori della letteratura: Ernest Hemingway. Amava dire “un uomo non esiste finché non beve” e anche lui le sue abitudini le aveva. Quali? Tè e gin a colazione, assenzio, vodka e vino come spuntino e dopo cena tre bicchieri di scotch.