Se sapranno reinventarsi no. Un'interessante articolo di The Drink Business sulla City mostra quali sono i nuovi scenari. Se il momento è difficile, le porte per il cambiamento sono già aperte. E con loro cambiano anche le Carte dei vini

Con la pandemia, i ristoranti chiusi e un settore che si trova ad affrontare una crisi mai vista fino ad ora, che fine faranno i sommelier? Ci siamo imbattuti in un interessante articolo apparso du The Drink Business che il punto lo fa su Londra e il quadro non è di certo incoraggiante. Eppure, come spesso accade, il cambiamento è questione di adattabilità.

Il mestiere così come lo conoscevamo, ne sono certi, sta morendo per fare spazio ad una figura diversa, flessibile, molto più complessa che deve sapersi anche un po’ arrangiare, ma che di un momento difficile non potrà che far virtù. E con la figura del sommelier che cambia, ne sono certi alcuni dei più importanti sommelier londinesi, a cambiare sono, inevitabilmente, anche le Carte dei vini.

 

Gli addetti ai lavori da Londra: “per il sommelier classico il Covid-19 è il chiodo della bara, ma…”

Lucy Show è la giornalista che si è avventurata nel mondo dei sommelier inevitabilmente colpiti e piegati dal Coronavirus. Il commercio del vino, afferma, sta vivendo il suo #meetoo con il mestiere di assaggiatore di vino professionista che, dice, è a rischio come mai prima.

Per lui è arrivato il momento di uscire dalla cantina perché, è quanto emerge da chi vive il mestiere in prima linea, la figura classica del sommelier che si occupa esclusivamente del gestire i vini, raccontarli e metterli sulle Carte dei Vini, è finita. Resisterà, così come l’abbiamo conosciuto, solo nei grandi ristoranti, quelli stellati per intenderci.

Il primo a parlare è Bert Blaize secondo cui “i sommelier che manterranno il loro lavoro saranno quelli più malleabili e disposti a cambiare forma prendendo un nuovo ruolo che li portarà ad assumersi maggiori responsabilità nella gestione del ristorante”.

Ecco che allora a Londra alcuni di questi si sono già reinventati come direttori generali del settore bevande dei locali, o come consulenti per creare le carte dei vini con i titolari dei locali.

“Il ruolo del sommelier – afferma Blaize rispondendo alla Show – sta cambiando da molto tempo. Penso che le persone siano stufe di sommelier di vecchia scuola, quelli soffocanti e fuori dal mondo. I sommelier – aggiunge l’ex assistente capo del The Clove Club di Shoreditch ed ex capo del vino The Mandrake Hotel in Fitzrovia, oggi consulente del vino – erano già in pericolo prima del Covid. E’ l’ultimo chiodo della bara”.

 

Il futuro dei sommelier? Quello dei mixologist: la scelta dei vini è impronta del locale, ma anche personale…

Detta così sembra una catastrofe, ma in realtà potrebbe essere una rinascita. Una nuova visione del ruolo, racconta riferendo di molti suoi conoscenti, si trasforma anche in più tempo per sè stessi e per la propria famiglia. Insomma la pandemia potrebbe dare ai millennials quello che, afferma, vogliono: un equilibrio tra lavoro e vita privata dove “il denaro – dice ancora Blaize – non è l’elemento chiave”.

D’altra parte se è vero che questa è l’epoca del cambiamento in ottica di sostenibilità, sacrosanto è che questa si applichi anche alla vita personale di chiunque, sommelier inclusi. Particolarmente interessante la possibilità che prospetta il consulente: per loro il futuro potrebbe essere simile a quello del mondo dei cocktail, dove i nomi di alto profilo del settore vengono reclutati per curare le carte dei vini quasi si fosse dei veri e propri mixologist.

Insomma è nella capacità di creare una carta dei vini che è un mix perfetto, che si potrà apporre la propria firma ed essere riconoscibili, dando al locale quella identità che emerge sempre e solo dalle wine list.

Sarebbe triste, ammette Blaize, perdere tanta professionalità. E non possiamo che essere d’accordo. Quella di consigliare vini, sottolinea, “è una vera e propria arte”, ma d’altra parte quell’arte deve evolvere con i tempi che vive.  Per lui un pool ben costruito e fatto di persone che prendono decisioni sugli acquisti, renderebbe varia l’offerta delle carte dei vini creandone tante ed ognuna con una propria personalità.

 

Per i Somm la parola d’ordine in piena pandemia è una soltanto: adattamento e chi saprà rispondere all’esigenza…sopravviverà!

Anche l’ex sommelier Michael Sager viaggia sulla stessa linea d’onda. Lui, d’altra parte, è diventato consulente del vino e quello che racconta è un nuovo modo di vivere il mestiere. Al di là del fatto che, con la pandemia, spiega che anche i sommelier devono un po’ adattarsi arrangiandosi a tuttofare, è il valore del nuovo ruolo che sottolinea: un esperto conoscitore di vino può ben consigliare un qualsiasi locale sulle scelte da fare e, di conseguenza, anche su quali fornitori scegliere.

“La cultura del sommelier fa parte della cultura dello chef che è piuttosto militare – afferma -, gerarchica e guidata da una mascolinità tossica”, sottolinea inneggiando ad una giusta parità tra i sessi nel settore. “Un guasto di questo sistema – prosegue – è una buona cosa: abbiamo bisogno di un sistema più fluido e malleabile. I sommelier devono essere curiosi e devono voler lavorare sodo o rischiano di essere irrilevanti”.

Anche per Xavier Rousset del Cabotte in the City “trascorrere tutto il tempo sul vino non è più realistico. Abbiamo dovuto adattarci come industria durante questa crisi – racconta – e ho visto molti sommelier passare a ruoli di consulenza e sommelier dei ristroanti assumere ruoli di gestione”.

Se cambia il ruolo di chi siamo abituati ad immaginare in cantina, cambia anche quello che finisce sulla Carta dei vini: anzi cambiano proprio le Carte dei vini.

 

Se il Somm cambia, cambiano anche le Carte dei Vini: brevi, flessibili, con tante certezze, ma anche tanta varietà

Ed è proprio Rousset ad aver dato l’esempio, se così vogliamo dire. Le Carte dei Vini devono diventare più piccole, insomma brevi ma efficaci. Lui, ad esempio, ha ridotto quella del Cabotte da 1000 etichette a 750. Una scelta che conferma quanto emerso da un’indagine recente: bisogna andare sul sicuro, il che però, sia chiaro, non vuol dire non provare novità, ma certo è che l’invenduto non può essere più un elemento da prendere in considerazione.

E ancora una volta ci troviamo a raccontarci come Enolò, in un breve excursus, per aver sin dalla nascita della nostra azienda, della necessità di trasformare le Carte dei Vini dando loro maggior flessibilità grazie ad un sistema di gestione innovativo, ma anche grazie ad una logistica innovativa che permette di non fare ordini di grandi dimensioni, ma di ordinare il necessario e averlo in 24 ore consentendo così di presentare una Carta dei Vini costruita ad hoc dai sommelier. Ci verrebbe da dire, proprio come dei veri mixologist.

E che si possa variare, con Carte dei Vini più elastiche e capaci di diventare carte d’identità dei locali, ma anche del sommelier, lo conferma il commerciante e fornitore David Faber che afferma di aver scoperto come si tenda oggi ad acquistare bottiglie di grande valore non necessariamente, anzi proprio escludendo le regioni classiche.

Anche Charlie Stein, che si occupa di vino nei ristoranti di suo padre in Cornovaglia e a Londra ha ridotto la Carta dei vini portando addirittura da 400 a 50 le etichette presenti. La sua wine list è diventata di un solo e semplice foglio ottenendo come risultato, sottolinea, un mix di vendita ben più ampio.

Se quindi nei grandi ristoranti, ne è convinto Blaize, pandemia o no le Carte resteranno imponenti, è tutto il settore satellite, quello della quotidianità fatto di accessibilità, che si sta e si deve rivedere. “Il ruolo del sommelier – afferma – non è defunto. Ma per resistere alla tempesta Covid, i somm dovranno essere di mentalità aperta, laboriosi e disposti ad adattarsi. Così almeno fino alla prossima estate”. Facciamo nostra la frase con cui Rousset chiude l’articolo: “i capi chef stanno pelando patate e lavano padelle in questo momento, i sommelier avranno bisogno di essere flessibili”.