Essere donna ed essere nera. Il binomio non è facile in una società in cui c'è ancora troppa discrimanzione. Dopo gli episodi di cronaca negli States, Forbes ha sentito tre di loro che, nel settore si sono affermate, eppure....

Esiste il razzismo anche nel vino? La domanda può sembrare strana, ma dopo gli episodi che hanno portato gli Stati Uniti sulle prime pagine e le aperture dei telegiornali di tutto il mondo, l’America la domanda se l’è posta. E la domanda, in fondo, è universale.

Ecco perché oggi vogliamo raccontarvi dell’interessante articolo apparso su Forbes nei giorni scorsi che è andato a scavare nel problema dialogando con tre rappresentanti del mondo del vino. Tre personaggi, tre donne di colore che, come pochi altri, possono raccontare se e in che termini esista la discriminazione anche in questo settore. Una riflessione che, a livello globale, ha iniziato finalmente a prendere piede all’interno nelle aziende. La scossa, insomma, sembra esserci stata e la riflessione sta entrando in ogni aspetto della quotidianità: il lavoro non poteva certo essere da meno.

 

Razzismo nel vino: alla base c’è sempre un pregiudizio ed è quello che va estirpato!

Negli States, sul tema, è iniziato una vera e propria battaglia che parte dall’imprescindibile bisogno di ampliare la propria conoscenza. Julia Coney, nota giornalista del settore enologico, ha addirittura creato un elenco di professionisti del vino, tutti di colore, che ha ospitato in due sessoni di Instagram Live per discutere di razzismo nel settore vino.

Sono stati tanti i produttori, gli importatori, le società di pubbliche relazioni che sui social hanno voluto lasciare il loro messaggio di solidarietà. Per molti però sono arrivati troppo tardi. Ma se è vero che è sempre meglio tardi che mai, allora ascoltare i protagonisti diventa fondamentale. Interessante la citazione riportata da Forbes e riferita ad Adam Grant, professore di psicologia organizzativa a Wharton: “proprio come il sessismo, ha detto, non è solo ‘un problema delle donne’, il razzismo non è solo ‘un problema dei neri”. Anche perché sono tante le persone di coloro che pian piano si stanno introducendo nel mondo del vino. Sono i bianchi, quindi, che devono combattere il loro pregiudizio laddove si annidi. Ad esempio scopriamo che negli States molti sono convinti, per ragioni difficili da comprendere, che alle persone di colore piacciano solo i vini dolci e che non possano permettersi bottiglie pregiati.

C’è di più. Molti, sentendo di parlare di persone nere nel mondo del vino, pensano subito a personale di servizio più che a degustatori o persone qualificate che hanno seguito esattamente il percorso degli altri professionisti per raggiungere i loro obiettivi. Può sembrare assurdo e lo è. Ma per abbattere il pregiudizio, lo abbiamo detto, bisogna innanzitutto avere il coraggio di conoscere e quindi di approfondire.

 

Tre donne di colore, affermate nel settore vino, si raccontano a Forbes: “le cose sono migliorate, ma la discriminazione c’è e non è neanche così velata”

Per farlo Forbes ha ascoltato alcune professioniste: Brenae Royal, responsabile del vigento Monte Rosso della Famiglia Gallo a Sonoma (siamo nel cuore della produzione del vino californiano); Regine T. Rousseau, fondatrice e Ceo di Shall We Wine, un’azienda di marketing esperenziale di Chicago e Wanda Mann, fondatrice di Wine With Wanda, un famoso sito web dedicato allo stile di vita di chi ama il vino che si racconta attraverso produttori, destinazioni e recensioni. L’esito? Un problema di razzismo c’è. E le tre, tre donne, lo spiegano rispondendo alle domande postegli da Mike De Simone e Jeff Jensenn.

Certo, dicono, le cose sono migliorate negli ultimi anni, ma il pregiudizio verso i neri resta. Stereotipo è la parola chiave.

“Chi ti ha fatto entrare?”. E’ una delle domande che spesso Rousseau confessa di essersi sentita rivolgere. E sono tutte d’accordo: sono i bianchi i protagonisti con i neri che vengono “trascurati”. Più profonda la riflessione della Mann: “il razzismo – afferma – pervade ogni aspetto della vita americana e l’industria del vino, con tutta la sua bellezza e il suo fascino, non è immune da questo flagello”. Un flagello che si traduce in forme di “aggressione silenziosa” potremmo dire: “essere ignorato durante gli eventi di degustazione”, tanto per fare un esempio.

 

Esperienze “razziste” nel mondo del vino: dalle frasi inopportune alla degustazione ad Harlem dove a tavola di nera, ce n’era solo una!

Ci sono poi le eperienze personali che le tre donne hanno vissuto. Breanae Royal racconta di un pranzo con un venditore che parlava dell’imminente lavoro in vigna. “Arrivò una famiglia che conosceva. Si allontanò ci parlò per un po’ poi tornò e mi disse: se mia moglie sapesse che sono uscita con una donna nera! Dovrà dirle che era legato al lavoro”. La donna non nasconde di esserci rimasta male, ed è diventato l’argomento del pranzo. La Rousseau riferisce invece di una conversazione avuta proprio sul tema “razzismo nel vino” con un cliente che, specifica, è anche un amico che ha definito così la sua attività: “utile a portare più consumatori neri nel settore“.

La Mann invece racconta di un evento di degustazione ad Harlem dove, stranamente, si è ritrovata ad essere l’unica persona d colore al tavolo in un ristorante di neri, in un quartiere che è l’epicentro della cultura nera a New York. E come spesso accade la cosa peggiore è stato il commento di un amico liberal alle parole pronunciate dal palco da una donna di colore che, a quanto pare, aveva fatto un intervento articolato e divertente. Uno sforzo, per l’uomo, il più anziano al tavolo, che disse che si era impegnata così tanto perché la gran parte dei neri non è in sostanza in grado di farlo. Per lei una vera “pugnalata”. Un momento che definisce addirittura “straziante” tanto da non aver avuto la forza di reagire anche se, ammette, alla fine il confronto c’è stato perché l’uomo ha notato in lei un giustificato cambio di atteggiamento.

 

Razzismo nel vino: se c’è si può estirpare? Certo. E’ solo una questione culturale. La conoscenza è la chiave per guardare non al colore, ma alle competenze

A volte, come ben emerge, si tratta di veri e proprio pregiudizi. Stereotipi che di traducono in atteggiamenti che risultano oggettivamente al limite del razzismo. Ma si può cambiare questo modo di pensare? Certo. E le tre donne ai colleghi qualche consiglio sono pronte a darlo. Per la Royal la regola è questa: “sii abbastanza aperto e umile da ascoltare alcune verità scomode”. Tutti potremmo, dice in sostanza, essere vittime di un atteggiamento etichettabile come razzista e non sarà affatto piacevole. Bene, riflettere, metterci umiltà, pazienza e saper guardare oltre il proprio orticello, sarebbe già un primo passo importante per abbattere certi muri.

Rousseau guarda più al pratico: “chiederei ai colleghi di esaminare le loro lealtà, i loro elenchi fornitori e clienti e far caso che ci sono diverse realtà. Chi è nel consiglio di amministrazione della tua società o azienda? Chi lavora con te? Se ti rendi conto che qualcosa manca, allora cambiala”.

Più semplice, eppure a quanto pare così difficile da seguire, il consiglio della Mann: “non rivolgerti alle persone di colore solo per parlare di razzismo. Chiamai per la nostra competenza. Molti di noi sono ai vertici nell’industria vinicola e meritiamo l’accesso alle stesse opportunità dei nostri colleghi bianchi”.

Insomma alla fine la storia si ripete e il cambiamento non è più rimandabile: c’è bisogno di capacità e quelle non sono di certo visibili dal colore della pelle!