La mancanza di una cultura digitale ci fa arretrare nell'export rispetto ai nostri competitor. Anche l'incapacità di fare sistema ci penalizza. E' ora di cogliere le buone occasioni!

Cara digitalizzazione, ma quanto ci costi? Più che altro, quanto ci costa non averti? Moltissimo. Secondo l’Osservatorio vinitaly-Nomisma Wine Monitor nonostante l’export del vino italiano sia cresciuto rispetto agli ultimi, 10 anni ha avuto una brusca frenata. Le ragioni sono tante, ma la mancanza di digitalizzazione è una di queste.

 

Export vino: cresciamo sì, ma meno degli ultimi 10 anni e anche meno degli altri

Partiamo dai numeri per capire cosa succede nel mondo del vino italiano. E’ vero che nel 2018 l’export è cresciuto del 3,8%, come abbiamo accennato. E’ vero anche che questo si è tradotto in  6.2 miliardi di euro. Ma è altrettanto vero che negli ultimi 10 anni ci eravamo abituati a crescite pari al 5.4%. Quel 3.8% ci tiene dietro la Francia che, nel 2018, ha invece registrato un incremento del 4,8% (9,5 miliardi di euro).

Non è una questione di paragoni, ma di comprendere il perché di questa frenata. Va sottolineato che molto è stato dovuto dal “crollo” dell’export verso la Germania sceso del 4,1%, ma cali, seppur più lievi, si sono avuti anche in Svizzera, Giappone e Stati Uniti.

Il problema, se così possiamo definirlo, è evidentemente italiano visto che, lo testimoniano i dati dell’Oiv, la crescita del consumo del vino e del suo mercato è in costante crescita con i consumi passati dai 228 milioni di ettolitri del 2001 ai 243 del 2017. Come a dire che, nel mondo, di vino se ne beve sempre di più ed è questa la controprova del fatto che nell’export si continui a registrare il segno positivo. Basti pensare ai numeri della Cina che ha raddoppiato i consumi e degli Stati Uniti. E’ questo il primo mercato al mondo. Ogni anno, negli Usa vengono consumati 32,6 milioni di ettolitri di vino: il 13% dei consumi totali. Non solo volumi. Il vino cresce anche in valore. Se il primo è passato dai 65 milioni di ettolitri del 2001 ai 108 milioni del 2017, il valore è passato dai 12 miliardi di dollari del 2001, ai 30,4 del 2017. Praticamente è triplicato. E nel 2018 gli scambi internazionali hanno raggiunto quota 31 miliardi di euro.

 

Export vino: a cosa dobbiamo la frenata? In primis all’incapacità di fare sistema

La domanda allora è: perché seppur sia ben nota la qualità e l’eccellenza del vino italiano la crescita, nei mercati esteri, si è fermata e soprattutto perché cresciamo meno dei nostri competitor? Le ragioni sono molteplici, ma in effetti ci sono due elementi su cui si dice sempre di dover puntare, ma su cui alla fine sembra si punti sempre troppo poco.

Il primo è l’incapacità di fare del vino italiano un brand unico e forte. Basta fermarsi a pensare. Se parliamo di Francia è vero che distinguiamo Champagne e Borgogna, ma è altrettanto vero che li distinguiamo all’interno di un sistema unico che percepiamo come tale: vino francese.

In Italia si può dire la stessa cosa? Non proprio. Esiste ancora, troppo spesso, una mentalità per cui si cerca di prevalere gli uni sugli altri come se fosse una corsa a chi arriva primo, basta che sia, anche a costo di arrivare malconci alla meta. La verità è che per arrivare primi bisogna fare squadra e parallelamente ben consci di veicolare, ognuno, la propria biodiversità. A questo si aggiunge il bisogno di cogliere senza indugiare alcuni trend dei mercati come ad esempio quello che vede in crescita il mercato degli spumanti e in calo quello dei vini fermi.

 

Export vino: sul “fermo” del vino italiano pesa moltissimo la mancanza di una cultura digitale

Ma c’è un altro elemento discriminante. Uno di cui ci troviamo spesso a parlare perché riguarda anche la nostra attività. I produttori italiani faticano a comprendere l’importanza della digitalizzazione in quanto strumento di innovazione, prima e opportunità per raggiungere i mercati online, poi. E’ vero, la poesia affascina. Il vignaiolo solo con la natura e la sua fatica ci regala un’immagine incancellabile, ma al di là della magia esiste la concretezza. E la concretezza, in un mercato, la fanno i numeri. I numeri, a loro volta, sono il frutto degli investimenti e oggi quegli investimenti non possono prescindere dalla digitalizzazione.

Siamo tanto, troppo in ritardo. Lo dice l’ultima indagine sul mercato del vino online realizzato nel 2018 da Ovse-Ceves. Il vino francese, in patria, fa registrare vendite online pari al 10% del totale; in Spagna il vino nazionale l’8%; in Germania il 5%, mentre in Italia il vino dei nostri produttori online rappresenta solo lo 0,5% del mercato. Ed è anche in crescita rispetto al 2015 passando da un volume di 4 a uno di 25 milioni di euro. In tre anni, insomma, qualcosa si è fatto, ma decisamente troppo poco.

 

Export vino e non solo…Enolò e la sua innovazione: la voglia di cogliere quelle opportunità che il mercato ci offre

Particolarmente interessante andare ad indagare le ragioni per cui si è ancora così tanto reticenti alla digitalizzazione e la risposta più ovvia è anche la più vera: manca una cultura digitale. Lo dimostra il Desi (Digital Economy and Society Index), l’indicatore della Commissione Europea che misura il livello di attuazione dell’Agenda Digitale negli Stati Membri. Su 28 Paesi siamo il 25esimo. Il vero e proprio fanalino di coda in Europa.

Lo siamo nella connettività che ci vede 26esimi. Nel Capitale Umano che ci vede al 25esimo posto. Lo siamo nell’Integrazione delle tecnologie digitali dove siamo 20esimi. E lo siamo anche nell’uso di internet (27esimi) e nei servizi pubblici digitali (19esimi).

Lo possiamo dire con certezza: siamo digitalmente ignoranti! Eppure sarebbe il momento di adeguarsi: le vendite online, secondo la ricerca Nielsen, crescono quattro volte più velocemente delle vendite offline. Non si può dunque non investire nel digitale.

 

Enolò…la Start Up B2B che punta su innovazione e integrazione dei servizi per gli operatori

Approfittiamo per parlare un po’ di noi. Enolò ha colto questa opportunità già da qualche anno ed è incredibile come oggi, leggendo i dati Desi ritroviamo alcune delle voci intorno alle quali abbiamo fondato e sviluppato il nostro modello di business che è bene precisare non è un e-commerce tradizionale, ma una platform economy in ottica B2B.

Ci colpisce particolarmente scoprire che nell’integrazione delle tecnologie digitali, l’Italia è al 20esimo posto, così come nel Capitale Umano “digitalizzato” al 25esimo e quanto potrebbe essere interessante, per i professionisti della filiera commerciale del vino, superare un gap così marcato accedendo a strumenti innovativi. La nostra Start Up, nasce proprio con l’obiettivo di integrare di servizi innovativi offerti da professionisti “digitalizzati” che, tramite una piattaforma d’avanguardia, offrono a produttori e rivenditori molte soluzioni con cui gestire ogni aspetto della propria attività. Un marketplace esclusivo che permette alle cantine di relazionarsi direttamente con i rivenditori creando valore dalla riduzione delle intermediazioni, servizi di logistica efficaci e competitivi amministrati completamente dai più evoluti sistemi informativi che garantiscono tariffe convenienti ed elevati livelli di qualità, strumenti con cui aumentare la notorietà e la reputazione di un prodotto nell’infinito mondo dei canali social. La piattaforma si occupa anche di fornire ai dealers, il vero motore del settore, un sistema gestionale che organizza e semplifica il loro lavoro e ne incrementa le opportunità di vendita verso i consumatori finali. 

Investire nel digitale può non essere poi così costoso se ci si affida a terzi e con modalità di fruizione innovative come l’open innovation: logica che consente di ottenere tecnologia e innovazione senza investire in infrastrutture o competenze digitali potendo comunque sfruttare i nuovi canali di marketing.

Investire nel digitale oggi non solo si può, ma si deve…lo dicono i numeri!