In occasione del #WorldTourismDay del 27 settembre facciamo il punto. Si cresce sì, ma per raggiungere la sufficienza. Non può bastare al Paese con la più grande biodiversità che, intanto, perde pezzi di identità chiudendo i battenti ad alcuni dei suoi borghi più belli


Si dice da sempre: l’Italia potrebbe vivere di solo turismo. Lo fa? La risposta è no. Ma la situazione è davvero tanto drammatica o non si riesce a sfruttare l’enorme potenziale del nostro territorio? La risposta, in questo caso, è estremamente complessa.

Ieri, 27 settembre, è stata la giornata mondiale del turismo. Il #WorldDayTourism o, se preferite, il #WDT2018. Prendendo spunto da alcuni studi e ricerche pubblicate di recente proviamo a fare il punto.
Quello che si può dire è che, di certo, le cose non vanno come potrebbero sebbene il settore enogastronomico sia quello che fa registrare la crescita migliore.

 

L’Italia dell’enoturismo e quei borghi fantasma che potrebbero essere una leva alla sua valorizzazione

Ph: il borgo fantasma di Toiano (Pisa), inserito dal Fai nei “luoghi del cuore da salvare”

Partiamo dalla notizia peggiore che abbiamo letto. Quella che, apparentemente, potrebbe sembrare avere poco a che fare con il vino, settore di cui ci occupiamo, ma che, in realtà, se si ha il coraggio di guardare un po’ oltre il mero dato numerico, ha un collegamento strettissimo con l’enogastronomia in generale.

Quando si parla di Italia, si parla di piccole aziende che sono, da sempre, l’ossatura del nostro sistema economico. Altresì quando si parla d’Italia, non si può non parlare anche di piccoli borghi. Quelli che custodiscono le tradizioni e per questo, più di ogni altro, dovrebbero rappresentare una chiave primaria del turismo nazionale. Ancor più in un momento storico in cui il turista è colui che va a caccia di esperienze. E le esperienze probabilmente più accessibili, non per forza le migliori, nel nostro Paese sono quelle che parlano la lingua delle tradizioni: nei piatti e nei calici.

Eppure l’Italia dei piccoli borghi sta sparendo. Negli ultimi 30 anni, uno su quattro ha chiuso i battenti. E’ quanto emerso proprio ieri da un’analisi dell’Unione Europea delle cooperative Uecoop relativa ai dati Istat sui micro paesi con meno di 150 abitanti. Ne resistono 139. Se recuperare ciò che è andato perduto è difficile, provare a valorizzare ciò che resta dovrebbe essere un obbligo. Non solo per la bellezza dei luoghi, ma anche per la generazione di potenziali opportunità professionali che, come conferma un sondaggio, viene ritenuta possibile da un italiano su due.

Tuttavia al di là dei numeri, lo abbiamo detto all’inizio, c’è una storia che va recuperata e così le opportunità lavorative potrebbero davvero diventare tantissime: la viticoltura è una di queste. La prova sta nel fatto che il nostro Paese, quello che già vanta la più grande varietà enologica al mondo, ottiene proprio dalla sua ineguagliabile biodiversità, uno dei motivi di maggiore successo nel mercato globale. La probabile riscoperta e il recupero di ulteriori tipologie di vitigno, semplicemente attingendo dalla fonte esclusiva della tradizione, amplierebbe ancora di più il valore e l’eccellenza delle nostre produzioni, consentendo crescita e consolidando sviluppo.

 

Territorialità ed enogastronomia, i numeri italiani che fanno la differenza

Per valutare appieno quanto divario ci sia tra l’Italia e il resto del mondo è sufficiente guardare i numeri che ci dicono come sia il nostro il Paese che vanta il maggior numero di produzioni agroalimentari e vinicole tipiche (Dop, Igp, Stg) a livello europeo. Riferendosi ad un luogo di origine sempre speciale ed esclusivo, i prodotti assolvono brillantemente al compito di promuovere ed essere a sua volta promossi, dalla bellezza e dall’esclusività rappresentata da un territorio in cui la tradizione diventa un punto di forza.  Così i prodotti che fondano le sue qualità sulla tradizione del territorio, diventano il migliore ambasciatore per promuovere il nostro turismo enogastronomico, come un cerchio che si chiude perfettamente.

Nel complesso i nostri prodotti a indicazione geografica sono 820 a fronte dei 678 e 327 dei nostri principali competitor: Francia e Spagna. Nello specifico se parliamo di food parliamo di 294 prodotti. Se parliamo di vino di ben 526!

Se mai ci fosse stato bisogno della dimostrazione di quanto il territorio si leghi alla nostra enogastronomia e proprio al vino in particolare, eccola qui.
Su tutti Piemonte e Toscana con 59 e 58 denominazioni ciascuna. Seguono Veneto e Lombardia con 53 e 41.

 

L’Italia dell’enoturismo è in ascesa con viaggiatori sempre più esigenti e in cerca di un’esperienzialità che va soddisfatta

Ora che il quadro è più chiaro siamo pronti per guardare al turismo nel senso più stretto del termine e, in particolare all’enoturismo. Il primo dato da tener presente è il fatto che quella di ieri, che è stata la giornata mondiale del turismo, è stata quest’anno dedicata alla trasformazione digitale.

Basterebbe riflettere su questo: il digitale è quel qualcosa che ci permette di scoprire ogni angolo del pianeta a patto che questo sappia rendersi riconoscibile all’interno di questo mondo. Ancora una volta si può facilmente capire quanto la sparizione dei piccoli borghi possa andare a pesare su un’economia globale, quella del comparto turistico, che invece proprio grazie al digitale potrebbe rappresentare quella svolta. Opportunità potenziale dell’Italia, ma che di fatto stenta a divenire realtà.

 

I numeri del turismo nel mondo


L’hashtag della giornata di ieri #WTD2018, ovvero #WorldTourismDay, ci parla di un settore che, nel mondo, è passato dai 25 milioni del 1950 al miliardo e 300 milioni di oggi. Parallelamente i guadagni sono passati dai 2 miliardi di dollari del 1950 ai 1.260 miliardi del 2015. Un settore, quello del turismo, che rappresenta il 10% del Pil mondiale e 1 posto di lavoro su 10 a livello globale. La previsione? Si continua a crescere. Si stima del 3% l’anno fino al 2030.
Se parliamo di enogastronomia i numeri ce li dà la World Food Travel Association. Il 93% dei turisti sceglie il viaggio esperenziale e il 49% ha indicato cibo e vino come ragione principale in relazione alla scelta della meta delle vacanze.


I numeri del turismo in Italia

E l’Italia? L’Italia fa bene, ma potrebbe fare meglio. E questo vale anche per l’enoturismo che fa sì numeri, ma che addirittura non riescono ad essere stimati con assoluta precisione perché proprio la loro concezione di tipo analogico, stenta a far decollare a dovere la rivoluzione digitale.
La crescita è innegabile e a testimoniarla è il Primo Rapporto sul Turismo Enogastronomico condotto dall’Università di Bergamo che ha dato vita proprio all’Osservatorio sul Turismo Enogastronomico italiano.
Anche i turisti italiani apprezzano l’esperienza nel loro viaggio. Per il 63%, infatti, è importante l’offerta enogastronomica, ma anche la possibilità di svolgere attività complementari. Imprescindibili qualità e sostenibilità. Il green tira sempre di più, insomma. Se parliamo di cibo allora si preferisce il ristorante locale (73%9, il mercato con i prodotti del territorio (70%) e l’acquisto del cibo dai food truck (59%).

 

L’Italia dell’enoturismo e la rivoluzione digitale: dal social eating al business, il web va sfruttato di più

Il tema era quello digitale? Beh allora va sottolineato come tutta questa esperienza abbia una ricaduta importante nel mondo dei social. Si chiama social eating nello specifico. Ed è la propensione dei turisti di pubblicare le proprie esperienze su canali quali Instagram, Facebook o Twitter. Esiste anche solo uno di noi che, almeno una volta al giorno, non si imbatte in foto di piatti assaggiati in un agriturismo, in un ristorantino o in una qualunque location lontano da casa? Probabilmente nessuno.

Non solo. Per noi italiani mangiare e bere bene sono praticamente due comandamenti a cui non è possibile contravvenire. Ecco perché la gran parte di noi, risulta dall’analisi, tende anche a spendere di più quando si trova lontano dalle mura domestiche. L’esperienza, insomma, vogliamo godercela in maniera completa visitando luoghi e assaporandone il gusto senza badare troppo ai costi. E se ci troviamo bene allora il ritorno è garantito così come il passaparola. L’elemento analogico intramontabile che, se considerato insieme alla possibilità digitale di indagare in anticipo quel che ci aspetta, rappresenta un vero e proprio punto d’interesse su cui le imprese dovrebbero far leva.

Infatti il turista enogastronomico ascolta sì il suggerimento dell’amico, ma è sul web che va a fare le sue ricerche. Social network e blog sono i canali preferenziali a quanto pare. Perché è qui che si trovano le opinioni degli altri: le recensioni. Una propensione, questa, che riguarda soprattutto i Millennials…e il futuro sono proprio loro!

 

L’Italia dell’enoturismo: un patrimonio inestimabile che fatichiamo a comunicare, ma stiamo migliorando

Se da una parte l’enoturismo si conferma in Italia un grande traino economico con un fatturato di 2,5 milardi di euro, dall’altra quello che non si può calcolare è quanto in realtà non riusciamo ad incassare mettendo a frutto tutto il potenziale. Eh sì perché al di là delle belle parole e delle lusinghe per l’evidente ascesa, uno dei problemi resta quello della mappatura delle reti.
Quante strade del vino esistono in Italia? Difficile a dirsi. Quanti musei del gusto esistono in Italia? Difficile a dirsi anche questo. Non perché queste realtà non esistano. Anzi. Esistono eccome e sono anche fruite. Ma una loro mappatura non esiste, così come non sono apprezzabili le relazioni che ne farebbero un sistema integrato che ne esalti il valore. Basti pensare che i musei del gusto noti, sono ben 99, ma quanti li conoscono, e quali sono le specificità che li rendono originali e quindi diversi l’uno dall’altro?

 

L’Italia del vino è fatta di 536 denominazioni e quasi 400mila aziende

Ritorniamo sul focus del nostro approfondimento: il vino.   Abbiamo detto che sono ben 526 le denominazioni italiane. Un patrimonio! Secondo l’ultimo censimento Istat del 2010 le aziende vitivinicole attive in Italia con modalità differenti, sono 388.881.

Secondo l’Osservatorio del vino grandi passi avanti per migliorare l’offerta ai turisti sono stati fatti. Anche perché gli enoturisti, oggi, sono davvero esigenti e in nome dell’esperenzialità (o sensorialità se preferite) non si accontentano più di comprare una bottiglia di vino. Vogliono conoscere le modalità di produzione e vogliono anche partecipare attivamente ai momenti clou della produzione a cominciare dalla vendemmia. Questo solo per citarne alcuni.

 

I dati dell’Osservatorio del vino e una fotografia che ci dà la sufficienza, ma…

Già a gennaio, con le anticipazioni sul rapporto appena pubblicato, erano emersi alcuni dati. Il voto complessivo è stato sufficiente. Ne avevamo già parlato ma tanto vale rispolverare i dati salienti.

Più di 2 Comuni su 3, ovvero il 69,41% non prevedono la tassa di soggiorno. Il livello medio dei servizi offerti da cantine, ristoranti, alberghi e tutti i servizi legati all’enoturismo sono stati giudicati discreti con un voto medio di 7,05. Si investe soprattutto in formazione (35,81%) e pubblicità (27,16%). Quasi 6 Coumuni su 10, cioè poco più del 58%, hanno realizzato negli ultimi anni uno i più progetti per migliorare i servizi offerti.

Gli enoturisti sembrano incidere sul fatturato delle aziende vitivinicole per il 31,25% in media, mentre sul fatturato complessivo del territorio per il 37,44%. La qualità delle infrastrutture di collegamento della zona d’interesse è giudicata sufficiente con un voto medio di 6,16. Due Comuni su 3 hanno rapporti o sono inseriti all’interno delle Strade del Vino del territorio. E anche qui il voto è sufficiente (6,12 in media). Circa il 40% dei Comuni non ha un Ufficio Turistico e anche se ci sono presenze di turisti che scelgono una zona per il vino, spesso non vengono registrate.

 

L’Italia dell’enoturismo non può accontenarsi di un “sei politico”, l’eccellenza deve puntare alla lode

La sufficienza non ci basta. L’Italia dell’enogastronomia, dei borghi e del vino non può essere contenta della sufficienza. Al di là dell’evidente spinta per cercare una crescita degna di tale nome i dati parlano da soli. Per essere il Paese con il più alto numero di denominazioni, con una biodiversità che non conosce eguali, accontentarsi della sufficienza sarebbe quanto meno ridicolo.
Se gli Uffici Turistici non vengono regolati a dovere, come si può pensare che migliorino i collegamenti e le interconnessioni logiche prima ancora che fisiche? Se ci sono investimenti per migliorare l’offerta, ma rivolgendosi ad uno di questi, il turista non ottiene le giuste informazioni, non si tratta di energia e risorse disperse? E ancora, va bene investire in pubblicità, ma lo si fa ancora troppo poco e sebbene siano cresciuti gli investimenti anche nei canali social, non si è ancora fatto abbastanza se non si riesce ad andare oltre il 6.

 

Tra rammarico e potenzialità


Ed è un peccato visto che, nonostante le evidenti lacune, per quasi il 90% degli addetti ai lavori il flusso enoturistico è aumentato, facendo registrare circa 14 milioni di accessi nelle aziende e in tutti i luoghi ad esso collegati.
Insomma, tra dati dispersi e potenzialità inespresse, quei 2,5 miliardi di fatturato, potrebbe non essere un dato del tutto veritierio e che sia ragionevole stimare un giro d’affari superiore. Comunque non ancora abbastanza perché si possa affermare che l’Italia sia un Paese capace di far riferimento al settore dell’enoturismo come un comparto economicamente solido e ben organizzato, tale da farne una colonna portante del turismo in generale.

La volontà di migliorare c’è e tra gli strumenti utili allo sviluppo potrebbe aiutare la comprensione del potenziale della tecnologia e dei canali digitale affinché si possano portare fuori dalla propria cantina non solo i prodotti, ma tutti quei contenuti in grado far percepire al pubblico il valore aggiunto dei territori dove si produce il vino. E’ per questo che anche quei borghi che corrono il rischio di scomparire, con le potenzialità offerte dalla domanda per prodotti tradizionali e del territorio, promossi grazie ai new media, non dovrebbero essere destinati all’oblio ma, al contrario, tornare a vivere!