Serve un influencer, un volto familiare, bisogna essere su Instagram e bisogna saper coinvolgere. Tutto il business del vino deve parlare la lingua del digitale, ma i gap sono ancora tanti

Digital Day: il futuro del vino nel dibattito apertosi in occasione dell’evento di Ca’ del Bosco che mette al centro quell’universo su cui abbiamo costantemente una luce accesa. A raccontarlo è stato in un lungo articolo pubblicato da WineNews e gli spunti sono davvero tantissimi.

Quali sono le sfide del futuro? Il Focus della gioranta ha ruotato intorno a quello che si è confermato come il social per eccellenza per il mondo del vino, Instagram, ma anche su tutti i volti del digitale che diventano sempre più fondamentali. Quali? Engagment, comunicazione fotocentrica, influencer, follower e reaction!

 

Digital Day: mai prendersi troppo sul serio. I social fanno il paio con l’accessibilità e mettersi in gioco è fondamentale

C’è un problema nel mondo del vino e, ci verrebbe da dire, non solo in quello. Ma certo è che a volte prendersi troppo sul serio fa perdere di vista l’obiettivo: conquistare consumatori. Arroccarsi è inutile, non aprirsi alle nuove tecnologie altrettnato. Svendersi è sbagliato, costruire strategie corretto, efficace e portatore di ottimi risultati. Potremmo partire da questo assunto per ripercorre quanto avvenuto nel Digital Day di Ca’ del Bosco e per far nostre le dichiarazioni rilasciate al prestigioso magazine del vino italiano da chi ha partecipato.

I social sono veri e proprio attrattori. Sono luoghi di vera e propria comunicazione. Un punto di riferimento per chi vuol sapere qualcosa di un vino, di un locale, di una manifestazione. Vere e proprie piazze virtuali dove esserci è necessario. E’ lì che si incontrano non solo gli esperti, ma anche i neofiti e coloro che magari interesse ne hanno poco, ma possono essere attratti da una comunicazione fatta bene.

 

Digital Day: non si può non essere su Instagram, ma bisogna farlo bene. Se non si sa coinvolgere è solo una perdita di tempo

Era stata non molto tempo fa la Omnicom Pr Group Italia, società di consulenza strategica in comunicazione, a consacrare Instagram come re dei social. E lo aveva fatto analizzando la presenza e le attività online delle prime 25 aziende vinicole italiane per fatturate secondo l’indagine Mediobanca 2019, confrontando i risultati con i trend del 2014. Il social tra foto, post e stories ha aumentato rispetto al 2018 i suoi follower di ben il 71%. Incremento registrato anche tra le aziende. Eppure il gap, era stato sottolineato, rimane. “Solo” 17 su 25 le aziende che possiedono un profilo Instagram Certamente molte di più del 2014, quando erano 6, ma se così vanno le cose tra i big, è facile immaginare che fatte le dovute eccezioni, per le piccole aziende, il gap è destinato a crescere.

La conferma che sia però proprio questo il social più forte è arrivata al Digital Day e a darla sono stati il fotografo e influencer Francesco Mattucci e Adua Villa, imprenditrice digitale e fondatrice di Globetrotter Gourmet. Rispetto al 2010, anno della sua nascita, INstagram è arrivata a contare oltre 1 miliardo di iscritti in tutto il mondo mettendosi dietro Facebbok e Twitter. E’ lui il social “fotocentrico” per eccellenza. E’ veloce e semplice e permette di esprimere in poche righe ampi concetti facendo sì che l’immagine racconti storie. E’ dunque il racconto la chiave. Ma come si racconta una storia sul vino? Secondo quanto riferito la chiarezza è la prima regola e bisogna conversare, discutere e creare sondaggi. Bisogna, insomma, coinvolgere gli utenti. E da questo punto di vista avere un influencer è un passo altrettanto importante.

 

Digital day: social sì, ma serve un volto che dia sicurezza e familiarità. La comunicazione deve essere semplice e chiara

E che la strada intrapresa sia questa proprio a Wine News lo ha confermato il direttore generale del Gruppo Italiano Vini (Giv) Roberto Corrà ricordando che alla Milano Wine Week è stato inaugurato l’uso degli infuencer sul vino. Influencer che devono saper parlare soprattutto ad un pubblico specifico: quello dei giovani. E’ tempo, insomma, del Brand Ambassador che deve essere espressione della filosofia di un’azienda. A lui il compito di comunicarla. Serve, ci verrebbe da dire, credibilità. E a questa si deve aggiungere la capacità di captare l’attenzione di chi guarda.

Via, dunque, i termini troppo complicati. L’accessibilità ai social media fa sì che a connettersi siano tutti e non solo gli “esperti” del vino con cui vari sono già i canali di comunicazione. E allora ci chiediamo? Chi devono essere questi comunicatore? Forse non serve sempre andare troppo lontano. Anzi. E’ all’interno della propria azienda che bisognerebbe, crediamo, o comunque potrebbe, trovare il proprio volto “social”. Chi meglio di un volto aziendale può raccontare, con credibilità, il proprio brand? Cosa che, crediamo, potrebbe anche permettere una maggiore possibilità di investimento ancor più se parliamo di medie e piccole imprese che, come si sa, sono l’ossatura maggiore del patrimonio enologico e non solo, del Bel Paese.

 

“Rivoluzione digitale”: più facile a dirsi che a farsi…tutta colpa del Digital Divide!

A parole, però, cambiare e prendere una vera rotta digitale, è più facile che nei fatti. Perché? Lo dice l’analisi Uncem (Unione Nazionale Comuni Comunità ed Enti Montani): manca campo! Non nel senso di vigne, ma nel senso di segnale. Il cosiddetto digital divide è un problema enorme. Secondo quanto dichiarato dall’Unione, infatti, sono ben 1.220 Comuni quelli dove non c’è copertura. E l’accusa del presidente Marco Bussone è chiara e pesante: il problema non è tecnico, ma è una vera e propria volontà politica. Ecco perché l’Uncem ha chiesto all’AgCom di mettere insieme le voci coinvolge e aprire una riflessione seria su un problema che tiene al palo una bella fetta di possibile crescita in termini di occupazione e crescita nei mercati.

Richiesta più che giustificata dato che le eccellenze italiane, anche in termini enologici, non hanno paragoni in quanto a biodiversità. Ma avere il meglio e non poterlo “raccontare”, a cosa serve se non ad una pura autoreferenzialità?

 

La competitività passa inevitabilmente per la trasformazione digital che coinvolga tutto il business del mondo vino. Enolò una risposta l’ha data

Certo è che finalmente il tema della “rivoluzione digitale” nel settore vino è finalmente entrato nel vivo del dibattito. A testimoniarlo, vale la pena ricordarlo, anche il Wine Business Forum della Milano Wine Week che ha riservato un tavolo di discussione proprio alla “Trasformazione digitale e competitività”. Occasione in cui si è ricordata l’importanza di integrare le nuove tecnologie a tutti gli aspetti del business.

E’ questa la grande sfida della competitività e ancora una volta ci sentiamo tirati in causa con il nostro Marketplace, la nostra piattaforma originale con cui cerchiamo di dare risposte proprio a tutte queste sfide puntando sulla più moderna platform economy che puntando sul B2B porta ricadute importanti anche in quel B2C che è il rapporto con il consumatore finale. Grazie ad Enolò infatti c’è una semplificazione dei processi, un abbattimento dei costi, ma un aumento considerevole delle performance aziendali. Dalla gestione delle attività di cantina, fino alla promozione social, passando per la logistica e la gestione delle proprie bottiglie in diretto contatto con i rivenditori. Insomma: con Enolò non esiste più un tramite, ma il processo di vendita è diretto e le possibilità di ampliare la propria presenza nei mercati maggiore. Il tutto con un importante abbattimento dei costi, e tutte le garanzie necessarie per potersi affidare alla professionalità di chi l’ha creata.