L'interessante studio dell'Harward Business Review nel mercato americano ci svela come, offline, le relazioni con gli influencer (che le portano online) facciano la differenza nel veicolare un vino e che tutto dipende dall'influenza sociale che i produttori riescono a sviluppare. Una catena di comunicazione e promozione che fa di un vino un prodotto "straordinario"

Il mondo del vino è un mondo in continua evoluzione e con lui i mercati e, ovviamente, i consumatori. Come si fa a conquistarli? Si spendono molti soldi per focus, sondaggi e analisi sofisticate eppure non sempre per le aziende i risultati arrivano. Perché?

Una risposta ha provato a darla la rivista Harward Business Review che ha deciso di condurre uno studio sull’industria del vino negli Stati Uniti. Un mercato florido anche per l’Italia. E la conclusione cui è giunta è che, in realtà, i consumatori vanno educati. Uno studio con cui si è dunque cercato di capire come sia accaduto, negli Usa, che per una universo, quello del vino, che nella vinificazione è rimasto per lo più invariato per 7mila anni, la sua industria sia passata dai 30 miliardi di dollari del 2002 agli oltre 60 di oggi, rendendola la più grande del mondo. Una crescita tradottasi con un aumento delle cantine del 50%: 10mila solo nell’ultimo decennio.

Un’analisi interessante che può aiutare nel creare qual famoso brand Made in Italy di cui continuiamo a parlare, ma continuiamo a non sapere bene veicolare e anche per comprendere un mercato, quello americano, che del nostro vino è letteralmente innamorato.

 

Consumatori di vino: per i produttori non vanno ascoltati, ma vanno educati

Lo studio dell’Harward Business Review, in realtà, ha strizzato l’occhio anche a Francia e Italia proprio in forza del fatto che molti dei vini di questi due competitor hanno negli Stati Uniti uno dei loro mercati di forza. Un face-to-face viticoltori, vignaioli, dirigenti di marketing, amministratori delegati, critici, scrittori e importatori, oltre che con i consumatori incontrati a casa, in enoteca, agli eventi, nei bar, nei ristoranti e nelle cantine.

Un totale di 58 interviste quelle realizzate, tradottesi poi in 2.300 pagine di trascrizioni tra dichiarazioni, note e fotografie. Quello che è emerso, insomma, è che esattamente come le grandi multinazionali, e nella ricerca vengono citati casi come Apple e Starbucks, negli States i produttori di vino plasmano i mercati attraverso la visione e l’influenza sociale. Come? Lo vediamo subito.

 

Consumatori di vino: per conquistarli immagina qualcosa di straordinario e poi…raccontalo!

Secondo i produttori a differenza di quanto emerge da molte ricerche, la gran parte dei consumatori non hanno conoscenze particolarmente estese. E in effetti i veri conoscitori sono pochi e sono specializzati. Ecco perché loro più che cercare di rispondere ai loro suggerimenti, cercando di influenzarne i gusti.

E a dirlo è un viticoltore francese, Christian Moueix, conosciuto per la produzione del leggendario Château Petrus di Pomerol, che ha acquistato un vigneto lì dove si concentra la gran parte della produzione americana di qualità: la Napa Valley. Un luogo dove di norma, ha spiegato, si producono vini fruttati e molto consumati. Lui però ha deciso di portare il suo approccio, quello sviluppato a Bordeaux, e di produrre ciò che gli piace e che sa produrre. E i risultati sono arrivati.

Una risposta che, assicura lo studio, è arrivata da più parti. Ascoltare i consumatori? Fino ad un certo punto. Quello che ogni viticoltore cerca di portare è la sua visione. In un certo senso si sente un’artista che vuole comunicare qualcosa di personale. Un qualcosa che si traduce in personalità e che, di conseguenza, sa farsi apprezzare dai consumatori, anche da quelli che, apparentemente, non rientrerebbero nel target della loro tipologia di produzione.

 

Consumatori di vino: l’importanza delle relazioni. Gli “influencer” del settore possono fare del tuo vino un prodotto d’eccellenza!

Certo non è che tutto si fa da soli. Si può essere bravissimi, ma se chi conta e chi comunica non ci racconta con la nostra bravura ci facciamo ben poco. Questa sfumatura, negli States soprattutto, l’hanno colta. I critici, quelli più noti, vanno coinvolti. I vini vanno portati in degustazione e soprattutto bisogna puntare sugli “influencer” di Wine Spectator, Wine & Spirits, Vinous Media e The Wine Advocate. Persone che hanno nomi e cognomi come Jancis Robinson e Robert Parker.

I loro punteggi possono davvero fare la differenza. Ecco che allora alcuni produttori progettano vini capaci di ottenerli quei punteggi alti, ma anche prodotti che si rivolgono a mercati di nicchia. Costruiscono relazioni ed educano gli esperti alle loro storie. Sono i narratori di se stessi acquisendo così un controllo sulle storie che li riguardano e che poi raggiungono il pubblico. Sapersi raccontare ad un influencer, in sostanza, significa dare a questo la possibilità di trovare le parole perché i consumatori possano “scoprire l’anima” dei loro vini.

Tra gli esempi riportati dalla rivista quello di un produttore francese che ad ogni autunno, cioè nel periodo della vendemmia, invita sommelier, giornalisti e critici a vivere quest’esperienza. Li ospita nella sua elegante casa e, accompagnati dall’enologo, li porta tra i vigneti a degustare i vini delle sue annate precedenti a vivere il lavoro quotidiano e a raccontare la loro giornata durante un’elegante cena. Li “connette”, insomma, al suo marchio e questa connessione si traduce poi in quella che passa per l’innovazione della comunicazione.


Una case history di successo…

 

E’ quello che ha fatto Moueix per la sua prima annata di Dominus Estate nel 1988. Il primo vino prodotto nella vigna della Napa Valley di cui parlavamo prima. Il dibattito fu immediato: è un vino francese o californiano? Moueix lo ha raccontato con parole sue a critici e giornalisti più o meno come, spiega bene la rivista, un cantautore spiega la sua canzone. Il risultato? é diventato una miscela di “Napa terroir dallo spirito bordolese”. Un successo tanto da essere diventato, nel tempo, un punto di riferimento della regione. Parker nel 2001 gli ha dato 98 punti e altri tre critici, nel 2013 lo hanno definito perfetto assegnandogli in degustazione ben 100 punti.

 

Consumatori di vino: non tenerli fuori dal tuo racconto, fa sì che loro possano conoscere e condividere il tuo prodotto

Si è detto, all’inizio, che l’approccio sembra essere non tanto quello di ascoltare i clienti quanto quello di educarli. Eccolo allora l’ultimo passaggio: educare i consumatori. Come? La catena è chiara. Si produce un vino, si stringono relazioni con i critici, si fa sì che questi veicolino i nostri vini, che i rivenditori ne diventino i portavoce e che questi li inseriscano nelle loro Carte dei Vini e nelle loro degustazioni.

Un esperimento, ci racconta l’Harvard Business Review, lo ha condotto un rivenditore americano che sul bancone ha messo due bottiglie di Calofornia Chardonnay rendendo noti i  punteggi che le due bottiglie avevano avuto su Wine Advocate e accompagnandole con le note di degustazione: delle schede vere e proprie in sostanza. La bottiglia con il punteggio più alto è stata più apprezzata. Tolti i punteggi l’apprezzamento è stato pressoché lo stesso. Accade così che i produttori di vino ritenuti “straordinari” sono quelli che vanno ad influenzare le categorie di vino più acquistate stabilendo i parametri di riferimento per tutti i produttori. I consumatori, a loro volta, diventano fan di uno specifico vino e pagano prezzi premium per averlo. Il risultato è il successo finanziario delle aziende.

 

E nei mercati lontani? Il Marketplace come quello di Enolò, può fare la differenza.

Cosa accade se un vino dobbiamo veicolarlo in un mercato estero? A nostro parere, ci permettiamo di aggiungere, il meccanismo andrebbe replicato attraverso il marketplace di cui, Enolò, in Italia è certamente un pioniere. Un canale privilegiato in cui produttori e rivendori non hanno più tramiti. In cui si possono confrontare e veicolare attraverso un sistema gestionale cerato ad hoc per ogni categoria. Una piattaforma multifunzionale fatta di servizi innovativi dotati anche di una Carta dei Vini dove “schedare” con tanto di commenti dei famosi “influencer” i propri prodotto così che anche a migliaia di chilometri di distanza un consumatore possa creare un rapporto fiduciario nei loro confronti.