Festeggiati i 30 anni dell'Associazione a Roma. Da 39 oggi i soci sono 407 e nei loro Comuni si lavora di più. La prossima missione? L'Urban Food Planning

Trent’anni di un’attività nata per far sì che il vino italiano trovasse un’immediata risposta al grande scandalo dell’etanolo; quella di Città del Vino è un’esperienza in cui la commistione tra il pubblico della gestione e il privato delle aziende ha saputo funzionare evolvendosi nel tempo e adeguandosi, di volta in vola, alle risposte a quelle domande cui il mondo dell’enologia esigeva una risposta.

Era il 21 marzo del 1987 quando l’Associazione fu battezzata con i suoi 39 soci. Oggi sono 407. Sono stati aperti a Roma i festeggiamenti di Città del Vino che il 2017 lo aveva aperto con un prestigioso riconoscimento: un capitolo nel “2017 Best Wine Tourism Book in the Usa” che ha incoronato le 15 Best Practice di matrice pubblica nel mondo. 

L’occasione per fare il punto sul fatto e su da farsi soprattutto sul piano dell’enoturismo.

 

Città del Vino: occupazione in crescita e l’enoturismo è una grande risorsa

 

costiera-amalfitana

Erano 407 i Comuni presenti ai festeggiamenti romani di Città del Vino. Molti di loro sorgono lì dove l’Unesco ha riconosciuto i territori patrimoni dell’umanità. Tra questi Porto Venere e le Cinque Terre, la Val d’Orcia, Langhe – Roero e Monferrato, Pantelleria e Amalfi sulla Costiera Amalfitana, lì dove proprio Città del Vino porterà produttori e buyer di tutto il mondo in occasione de La Selezione del Sindaco 2017. Luoghi a vocazione vitivinicola cui si aggiungono Roma, i centri storici di Siena e San Gimignano, Aquileia, la Val di Noto, l’Etna, Palermo, Cefalù, Monreale e quei territori che, dall’Unesco, attendono il riconoscimento: le colline del Prosecco di Conegliano Valdobbiadene e la Franciacorta. 

Comuni dove, è emerso da “Le Città del Vino ai raggi X”, “Libro Bianco”, l’occupazione cresce. L’11,7% della popolazione nazionale risiede in questi territori e proprio le vigne fanno da argine alla continua e pericolosa cementificazione. Rispetto alla media nazionale nei Comuni che fanno parte dell’associazione il tasso di disoccupazione è più basso di tre punti. Non solo perché aumentano i produttori e le richieste di espansione dei vigneti, ma anche per l’enoturismo

Tra il 2007 e il 2015 le strutture enoturistiche sono aumentate del 99%  fronte del 28% della media nazionale. “Siamo un modello per ripensare il Paese”, ha affermato il presidente di Città del Vino Floriano Zambon sindaco, tra l’altro, di Conegliano. “Nei luoghi con una forte identità si vive meglio, c’è più lavoro e la qualità della vita è più alta. La vite e il vino – ha aggiunto – sono due elementi attorno ai quali si può ripensare una comunità”.

 

Città del Vino: l’Associazione fa numeri di qualità e premia le sue “bandiere”

Quando parliamo di Città del Vino parliamo di un’associazione che “ospita” 291 tra Dop, Igp e Sgt oltre a 5mila piatti e Pat iscritti all’Elenco Nazionale del Mipaaf. Siamo nei luoghi delle eccellenze. Dal Barolo Prosecco passando per Barbaresco, Marsala, Montalcino, Montepulciano, Scansano, Conegliano, Valdobbiadene e Pantelleria solo per citarne alcuni. 

Una bellezza, un gusto e un’eccellenza fatta di luoghi e uomini. Quelli che Città del Vino in occasione dei suoi 30 anni ha voluto premiare. Tra questi Massimo Florio parlamentare Pd e relatore del “Testo Unico del Vino” e le Sovrintendenze di Pompei e Selinunte. Riconoscimenti anche alla stampa. Premiati sono stati Alessandra Moneti dell’Ansa, Antonio Corbo de La Repubblica-Napoli e Antonio Fiore impegnato sulle pagine della Gazzetta del Mezzogiorno e del Corriere della Sera.

 

Città del Vino: si riparte dalla sostenibilità con i Piani Regolatori del Vino dell’Urban Food Planning

 

città del vino urban food planning

 

Un esempio per l’Italia, ha detto Zambon e da cui ripartire per affermare le identità nazionali. Per questo Città del Vino ha deciso di promuovere tra i 407 Comuni associati l’Urban Food Planning. Cos’è?  Uno strumento di pianificazione e riorganizzazione dei territori con cui avvicinari la ruralità alla città. Con cui, insomma, veicolare l’eccellenza dei piccoli luoghi nei punti di aggregazione turistica e non solo che sono le città italiane.

L’esperienza è iniziata in Canada e Regno Unito. E’ stato ben spiegato nel corso dell’evento romano. L’Urban Food Planning rappresenta la nuova frontiera dello sviluppo sostenibile di città e aree metropolitane. Un programma complesso che parte da valutazioni semplici e quotidiane: il cibo, al centro della nostra vita, ha evidenti connessioni con l’ambiente e il paesaggio, pone questioni di democrazia alimentare, problemi per i Paesi ricchi legati ad esempio a patologie mediche quali il diabete e l’obesità, costi occulti per il sistema sanitario ed è volano per le economie locali ma anche motivo di viaggio e scoperta dei territori.

Mettere l’agricoltura al centro del futuro. E’ questo l’obiettivo. Per realizzarlo Città del Vino si è affidata a Davide Marino, professore di “Economia del Gusto” all’Università del Molise. “Col nuovo approccio il cibo e l’agricoltura divengono elementi centrali di una città o di una rete di Comuni e territori – ha affermato il docente alla guida del progetto – per un nuovo assetto delle funzioni paesaggistiche, economiche, sociali, ambientali, culturali e logistiche. A Milano, Parma e Torino si sta sperimentando la food policy, che qualifica la qualità del cibo, delle mense, ma altra cosa – precisa infine l’esperto – è la pianificazione attorno al cibo, intesa come un’estensione dei piani regolatori”.