La crisi per la denominazione piemontese, insieme a quella del Moscato e della Barbera, è profonda. L'amabile rosso, intanto, cerca il suo riscatto su social e tv

Nel nome un destino e all’ombra della disfatta il Brachetto non vuole cedere. Definito nel 1817 dal naturalista Gallesio “Vino Celebre” è stato, per decenni, il vino delle celebrazioni, in particolare proprio di quelle natalizie. Un brindisi con questo dolce vino piemontese, le signore lo hanno sempre amato.

Ma la crisi, per lui, per il Moscato d’Asti e la Barbera d’Asti, si fa sempre più stagnante. Il dolce rosso, per tentare di uscire da una situazione che sembra averlo messo davvero in ginocchio, cerca una nuova vita e lo fa attraverso social e tv.

 

La crisi del Brachetto, del Moscato e della Barbera è seria: i consorzi chiedono lo stato di crisi alla Regione

Partiamo dai numeri della crisi del Brachetto e dei suoi compagni di avventura. In questo caso megio sarebbe dire di disavventura. Che le tre denominazioni vivano da anni difficoltà enormi lo si sapeva. Purtroppo le cose non sono migliorate. I tre consorzi di tutela poche settimane fa hanno chiesto lo stato di crisi alla Regione. In gioco non c’è solo l’identità, ma anche posti di lavoro e il futuro di 9.500 famiglie.

Eppure l’indotto è consistente. La denominazioni di Brachetto, Moscato e Barbera rappresentano infatti il 65% della produzione vinicola piemontese, ma in alcune zone si è addirittura dimezzata. E’ stato proprio il president del Consorzio di Tutela del Brachetto d’Aqui docg, Paolo Ricagno, ha farsi portavoce delle richiesta inviata alla regione e i numeri sono allarmanti. Per Barbera e Moscato il calo della produzione, spiega, ha toccato picchi del 30-32%. Al Brachetto va anche peggio: si sono toccate vette del 50%.

A quanto afferma però, alla richiesta di un tavolo di discussione non sono seguiti fatti, ma solo risposte “vaghe”.

 

Per il Brachetto è un punto di non ritorno: c’è bisogno di una svolta o si perderanno migliaia di posti di lavoro

“Siamo allo sbando”, ha dichiarato Ricagno. La richiesta però è chiara: ottenere lo stato di crisi significa poter arginare le richieste della banche. E come accennato la denominazione a cui va peggio è proprio quella del Brachetto, rosso amabile e dolce amatissimo negli anni ’80 che da dieci anni è in piena crisi. Una crisi che, potrebbe essere definitiva: “o ci risolleviamo o falliamo”.

Il rischio più grande, oltre a quello di perdere delle eccellenze enologiche, è la ricaduta sociale. Migliaia i posti di lavori a rischio. “Per questo – spiega ancora il presidente del Consorzio – i circa 850 viticoltori del Consorzio, hanno avviato una maxi operazione pubblicitaria sui principali canali televisivi nazionali, in vista delle feste natalizie e di fine anno”. Se da una parte serve l’aiuto politico, dall’altra dunque una nuova visione che incentivi sì i consumi, ma anche le aziende a vendere. E la volontà non manca di certo. Quattro, infatti, le versioni di Brachetto che puntano sulle festività per ridare spolvero al loro “celebre” nome.

Quello dolce, il rosé secco, il rosé spumante e il rosè fermo.  E sono proprio loro i protagonisti di questa grande campagna pubblicitaria.

 

La filiera si compatta: social e tv per tornare ad avere visibilità. Ognuno di noi dovrebbe metterne una bottiglia sotto l’Albero

 

“Tra i vini di lusso, il Brachetto appartiene alla categoria dei rossi dolci ed aromatici. E’, infatti, un vino con profumo speciale, moderatamente alcolico e zuccherino, non molto colorito, che per lo più si consuma spumeggiante o spumante”. Così nel 1922 descriveva il Brachetto il professore Garino Canina, futuro direttore della stazione sperimentata di Asti. La prima descrizione tecnica di questo rosso decisamente unico.

Di Brachetto, da allora, nei calici ne è passato tanto, ma la crisi che lo attanaglia negli ultimi dieci sembra essere irreversibile. Sembra. Sì perché i produttori cercano il loro riscatto e hanno scelto proprio le festività per guardare ad un 2020 diverso. Lo spot televisivo che tutti ci trovermo a guardare da qui fino alla prossima Pasqua “è la nostra mossa contro la crisi di un vino nobile che guarda al futuro”. Parole di buon auspicio quelle di Ricagno, cui va tutto il nostro sostegno. Una campagna social e televisiva che “nasce dalla determinazione e dal sacrificio di tutta la filiera”. Una filiera che “crede ancora in un vino che può dare molto in termini di reddito, tutela del paesaggio e cultura vitivinicola”.

 

Un gesto d’amore…

Crediamo sia giusto, quest’anno più che mai, mettere sotto l’albero una bottiglia di Brachetto. Un gesto che fa bene al palato, allo spirito e al cuore. E poi forse molti non lo sanno ma si dice che proprio il Brachetto sia il vino dell’amore. Leggenda vuole che fosse il preferito di Cleopatra. A donarglierlo regolarmente erano i suoi due amanti, Giulio Cesare e Marco Antonio. Forse i suoi primi esportatori.