La parola "Secco" per spumante e Brachetto continua a far discutere. I produttori veneti non nascondono il disappunto, ma si affidano al buon senso dei colleghi piemontesi. L'Asti, intanto, si prepara all'esordio veronese

Quella dell’Asti Secco è solo l’ultima delle tante “battaglie” del vino made in Italy. C’è infatti chi difende strenuamente la parola Nebbiolo in etichetta, chi la priorità nell’impiantare Glera e chi si sente vittima di una vera e propria colonizzazione se parliamo di Pinot Grigio. Alcune di queste battaglie si sono concluse tra vincitori e sconfitti. Quella dell’Asti Secco volge al termine, ma se ci saranno perdenti lo si capirà solo strada facendo. Quel che è certo è che il “sì” del Comitato nazionale dei vini ha tracciato la strada.  Il Veneto, insomma, deve ingoiare il rospo del Brachetto e l’Asti “Secco” sperando che alla fine non si faccia confusione col Prosecco.

Le ragioni, a ben guardare, sono da entrambi i punti di vista valide. Stupisce il non essere riusciti a trovare un percorso condiviso. Tuttavia le polemiche, fin qui, sono state meno feroci di quanto si aspettasse. I produttori veneti, infatti, attendono. E’ su come quella parola sarà utilizzata e di conseguenza sul buon senso dei viticoltori piemontesi che hanno ora spostato la loro attenzione. 

E mentre si attende di vedere le nuove bottiglie di Brachetto e Asti Secco sul mercato, probabilmente in estate, le prime bottiglie in degustazione prive, per ora, di etichetta se non generica, approdano al Vinitaly. E’ qui che diranno per la prima volta la loro nel tentativo di confermare quanto fin qui affermato: nessuna imitazione. Solo la necessità di soddisfare un mercato mutato e mutevole mantenendo intatta l’identità di uno spumante che ha fatto la storia di un territorio e di un vitigno: il Moscato!

 

Asti Secco: dal 9 al 12 aprile le bottiglie “anonime” si degusteranno a Verona

 

Ph: Archivio Gallery Vinitaly 2016 press Vinitaly

Asti Secco: Anteprima Vinitaly 2017

 

A volte il destino ci mette del suo. Il grande spazio del Vinitaly sarà un po’ come la famosa Arena della città veneta che lo ospita: lo scenario perfetto per un agone che potrebbe, alla fine, concludersi senza troppe conseguenze. O, al contrario, quello dell’inizio di una battaglia destinata a durare nel tempo. 

Per ora la posizione più dura sulla decisione di lasciare che la parola “secco” appaia sull’etichetta delle nuove bottiglie dell’Asti spumante, l’ha presa il presidente della Regione Veneto Luca Zaia che l’ha definita “una provocazione”. Da parte loro i produttori delle bollicine venete non si sbilanciano. Restano a guardare con la seppur minima soddisfazione di aver ottenuto che la parola “Secco” non compaia in etichetta accanto ad Asti, ma un rigo più giù sebbene con le stesse dimensioni.

In effetti Dry, Demisec ed Extra Dry sono state inserite nella modifica del disciplinare che permetterà di mettere sul mercato le nuove bottiglie di spumante piemontese, ma a quanto pare è proprio “Secco” la parola che i più hanno deciso di adottare. E sarà l’unica che, secondo quanto dichiarato dal direttore del Consorzio di Tutela dell’Asti Paolo Bosticco, apparirà sulle etichette generiche delle bottiglie che saranno degustate in occasione del Vinitaly. “Non l’abbiamo chiamato dry – ha dichiarato – perché la maggioranza ha scelto il nome secco. E in democrazia conta cosa vuole la maggioranza”. La stoccata in effetti non è mancata. 

Sarà qui che, però, l’Asti Secco potrà dimostrare, al di là della terminologia, un’identità che Gianni Martini, titolare dell’omonima azienda di vini piemontesi, viene al Moscato dalla sua storia: “una trazione e una tipicità  – ha affermato – che ci consentono di realizzare un prodotto unico e gradevole. Soprattutto per i giovani”

 

Asti Secco: una modifica necessaria per salvare un patrimonio enologico nazionale

 

Ph: Mon Œil Flickr - Uso e modifiche commerciali consentite

Asti Secco Asti Docg

 

Poco meno di un anno fa per l’Asti si parlava di crisi fallimentare. Poi c’è stato l’accordo sulle rese. Nel frattempo si è iniziato a lavorare per rivedere la posizione sui mercati dello spumante che ha fatto la storia delle bollicine del Bel Paese. Inevitabile pensare a un cambiamento. Laddove i consumi cambiano cambiano le richieste del mercato. Laddove il Prosecco diventa re, nasce l’esigenza di trovare una nuova chiave di lettura per riprendere quota e riaffermare la propria identità.

Che il Consorzio dell’Asti dovesse soddisfare tali esigenze era una priorità. Una priorità per tutelare un patrimonio nazionale e ridare lustro al Moscato. Un vitigno il cui nome fa il paio col Made in Italy. Vigneto che si estende su 10 mila ettari in 52 Comuni di tre province: Asti, Alessandria e Cuneo. Di qui l’idea di creare una versione secca dello spumante italiano per eccellenza. D’altra parte il calo è stato, solo nel 2016, di 25 milioni di bottiglie per una perdita, in euro, di 40 milioni. 

L’iter, insomma, procede e se tutto andrà avanti senza intoppi l’Asti Secco sarà in commercio entro i primi di giugno.

 

Il perché delle polemiche

Il problema, in Veneto, non si è vissuto tanto per la volontà di creare una linea Sec dell’Asti spumante. Il problema è sempre stato ed è tutt’ora uno soltanto: l’utilizzo della parola “Secco“. Parola che, stando a quanto affermato dal direttore del Consorzio, sarà quella più utilizzata dai produttori piemontesi. Finché non lo vedranno con i loro occhi, però, i piemontesi si dicono fiduciosi del buon uso che della terminologia faranno i colleghi veneti.

Loro, d’altra parte, tutti i torti non li hanno. Almeno nel temere confusione. Da anni visto il crescente interesse e i sempre maggiori consumi che il Prosecco fa registrare sono in continua lotta per la tutela del nome. Se la sono vista col “Rosecco” col “Brosecco” e persino, in occasione delle Olimpiadi, col “Riosecco“. Senza parlare delle forzature che la parola Prosecco l’hanno fatta finire persino su delle bustine di thé.

Va però detto che, in questo caso, parliamo di tentativi di “estorsione” di mercati stranieri: inglesi in particolare. Stavolta si gioca in casa. E l’enologia italiana ha quel patrimonio di biodiversità che tanto la rende unica rispetto a tanti altri Paesi dove l’enologia è un must. Nessuno ha, o almeno dovrebbe avere, interesse nel saccheggiare qualcun altro. Ecco perché sarà forse alla fine davvero il buon senso a far brindare all’identità di ognuno. 

 

Asti Secco e non solo: con la modifica al disciplinare anche il Brachetto si prepara ad indossare la nuova veste

 

Ph: ALEXALA - Tourist Board Alessandria & Monferrato. Flickr Uso consentito

Asti Secco Brachetto D’Aqui

 

Se qualche lingua maligna potrebbe pensare che da una parte c’è chi vuole approfittare della parola “Secco” e dall’altra chi vuole impedirne anche solo l’esistenza al di là del Prosecco, a mettere in chiaro le cose ci pensa il Brachetto. Frizzante ed aromatico anche questo vino, tendenzialmente molto amato dal gentil sesso, si prepara a debuttare in abiti più asciutti…o meglio, secchi! Ma stavolta polemiche non ce ne sono state. Sì perché il Brachetto, nella versione “Secco”, in etichetta riporterà la dicitura “Acqui Dry”.

L’esigenza era la stessa. Adattarsi ai mercati per combattere una crisi che rischiava, a dire il vero rischia ancora, di iniziare a veder sparire vigneti interi di questo autoctono piemontese. Qualche anno fa si stappavano 8 milioni di bottiglie di Brachetto. Nel 2015 erano 5,3 milioni. Oggi solo 3,8 milioni. “Rispetto al 2015 – ha affermato il presidente del Consorzio di Tutela del Brachetto Paolo Ricagnoabbiamo perso 450 mila bottiglie. Centomila di Brachetto d’Acqui e il resto di Piemonte Brachetto Doc”.

Quella della versione secca la cui autorizzazione è arrivata proprio con la modifica del disciplinare dell’Asti. L’ultima spiaggia per salvare un’altra eccellenza italiana e non dover “tagliare le viti per diminuire la produzione”. Le responsabilità, però, non sono soltanto nella non esistenza, fino ad oggi, di una versione secca del Brachetto, ma anche dello stop alla promozione. Ecco perché è la pubblicità l’elemento su cui ora il Consorzio ha deciso di puntare. 

 

Pubblicità “progresso”: ognuno ci metta del suo!

Progresso inteso nel portare avanti e far letteralmente tornare a progredire, cioè a crescere, il Brachetto. Queste le aspettative riposte nell’Aqui Dry. “Sarebbe il caso – ha affermato Ricagno – che ogni produttore nei prossimi 3 o 4 anni, rinunci ad un importo pari a 500 euro per ettaro coltivato per costruire un fondo comune cui attingere per promuovere l’immagine del nostro vino”. 

Parole che per ora sembra non abbiano suscitato reazioni. Quanto meno non negative. Certo è che l’Aqui Dry si prepara già a ritornare in tv, su Rai e Mediaset in particolare, con una prima campagna di produzione che la vedrà protagonista con alcune specialità della cucina italiana: gorgonzola lombardo, marroni della Val di Susa e robiola di Roccaverano. Uno step in tre anni che vedrà un investimento di 500 – 600 mila euro nel 2017, la stesa cifra nel 2018 e, se tutto andrà secondo i piani, di un milione di euro nel 2019. 

La “guerra” delle bollicine è ufficialmente iniziata. Il primo “incontro” sarà al Vinitaly. Solo il tempo ci dirà se questa sarà una guerra e una lunga e produttiva epoca di pace e redditività. Nel frattempo, Prosit!

 

Foto di copertina Bruno Cordoli Flickr (Uso e modifiche consentite: foto tagliata con maggiorazione di esposizione)