I produttori attaccano la Regione: "scippati del nostro vitigno. Per noi nessun nuovo impianto. Ma c'erano degli accordi"

Glera. Ce li proviamo ad immaginare così. Arroccati sul Carso con lo scudo alto e la punta della loro alabarda d’argento puntata dritta verso il nemico. Loro sono i vignaioli eroici delle terre triestine. Il nemico la Regione Friuli e il suo condottiero: Debora Serracchiani. Vorremmo dirvi che la storia è incredibilmente affascinante, ma così non è.

La realtà è quella di un Friuli Venezia Giulia che ubriaco dei numeri del Prosecco ha dimenticato i suoi eroi. Almeno è questo che loro, i viticoltori del Carso, sostengono. Il loro Sacro Graal? L’uva Glera. Difficile immaginare che arrivi Parsifal a cavallo di un bianco destriero per rimettere le cose a posto. La guerra, qui, si fa su concessioni, bandi e fondi. Dopo le polemiche sulla maxi Doc Pinot Grigio delle Venezie e gli allarmi lanciati per il rischio “prosecchizzazione” il Friuli Venezia Giulia inizia una terza guerra. Quella interna. Una guerra “civile”, nel senso che nessuno si sparerà, dove però qualcuno chiede indietro ciò che gli era stato promesso. A darne notizia Il Piccolo. 

 

Glera: il vitigno del prosecco che fa gola a troppi.

Glera - Uva bianca

Partiamo da un presupposto. Il Glera è un vitigno autoctono del triestino ed è l’uva del Prosecco. Di certo quella che nella sua realizzazione ci mette di più rappresentandone la composizione per almeno l’85%. Mesi fa la decisione della Regione: permettere nuove concessioni di impianto di Glera nella zona del Prosecco Doc. “All’atto della firma del Protocollo d’intesa per il Prosecco Doc il governo regionale – scrive il presidente dell’associazione viticoltori del Carso Edi Bukacev in una lunga lettera indirizzata all’assessore regionale alle Risorse agricole e forestali Cristiano Shaurli – si è impegnato nel permette, in provincia di Trieste, la piantagione dellaa citata varietà”. Una promessa che implicava il non avere limiti di superficie e sopratutto, ricorda Bukacev, che riconosceva la priorità dei viticoltori triestini nella concessione delle autorizzazione di impianto dei nuovi vigneti”. Ma la storia è andata diversamente.

 

Glera: per gli eroi del vino è stato un grande bluff.

glera - vigna - prosecco

Il progetto era chiaro: includere l’Associazione viticoltori del Carso nella Doc Prosecco lasciando loro la via preferenziale nella produzione di Glera. Ciò sarebbe dovuto significare rafforzare la Doc Prosecco assicurando ai produttori del vitigno autoctono un’ottima crescita produttiva. Un matrimonio da favola. Ma il divorzio è arrivato ancor prima che ci si scambiasse le fedi a quanto pare. “Era un atto dovuto. Invece – attacca Bukacev – la Regione ha di fatto consentito che il Consorzio per la tutela dei vini Prosecco Doc si impossessasse della varietà viticola autoctona della provincia di Trieste Glera”.

Una sorta di invasione per i viticoltori del Carso. Invasione che “ha impoverito il patrimonio storico e culturale del territorio triestino e ha recato danno alle sue basi economiche”. Ma perché sarebbe successo? L’Associazione non ci gira intorno: la Regione non ha voluto. Se così fosse resterebbe da capirne il perché. Risposte che, al momento, possiamo solo immaginare.

 

Glera: i viticoltori del Carso presentano le “prove d’abbandono”.

Glera vigne abbandonate

Per dimostrare che il loro non è solo un capriccio, ma un vero e proprio “scippo” i viticoltori del Carso portano sul tavolo le loro prove. La prima è proprio nel bando di concessione dei nuovi impianti decisi con decreto regionale: 556 ettari tutti destinati alla zona del Prosecco Doc. “Nel decreto della giunta regionale – sottolinea Bukacev – non è individuabile alcuna priorità per i viticoltori triestini. Si rende invece possibile ai viticoltori firulani la loro inclusione nella zona del Prosecco Doc. Loro sì che ora possono piantare il Glera: l’uva del Prosecco”. Una priorità non riconosciuta, sostiene l’associazione, neanche per le autorizzazioni d’impianto dei vigneti del fondo nazionale.

“La varietà di vitigno Glera è stata esclusa anche dall’ultimo bando regionale per la ristrutturazione dei vitigni in provincia di Trieste. Un’altra mancanza di rispetto” per Bukacev e l’ennesima dimostrazione di come, la Regione, abbia di fatto deciso di emarginare i viticoltori del Carso.

 

Glera: alla Regione si chiede un passo indietro.

Glera - palazzo regione friuli

A voler pensar male e se tutto quanto affermato dall’Associazione trovasse riscontro si potrebbe pensare che il disegno era ben definito. Non sarà così probabilmente, ma quel che è certo è che ora loro, i viticoltori dell’est più estremo dell’Adriatico, non ci stanno e chiedono che i patti vengano alla fine rispettati. “Quello che è accaduto  – afferma infatti Bukacev – è in netto contrasto con le aspettative dei viticoltroi locali. Anche in virtù degli impegni presi dalla Regione e riconfermati in tutti i tavoli di concertazione per la semplificazione delle norme territoriali e ambientali, per la redazione dei Piani di gestione delle zone Natura 2000 del Carso. Tali accordo – conclude – hanno trovato realizzazione esclusivamente a vantaggio del vicino Friuli a scapito della provincia di Trieste. Chiediamo il rispetto degli accordi presi”. 

 

Glera: la necessità di rispettare il territorio.

glera - territorio

Non resta che attendere nella risposta della Regione. Sperando che una risposta ci sarà per districare una matassa che ha messo produttori contro produttori. Un pessimo esempio per un Paese che del Made In Italy vive. Ancor più nel mondo del vino. Un mondo fatto di eccellenza. Eccellenza rappresentata anche da tutto il territorio friulano che si parli di Prosecco Doc, Associazione dei viticoltori del Carso o di qualunque altra realtà che la rappresenti.

Se è vero che è nel creare brand unici che è il segreto del successo mantenendo di ogni territorio le sue peculiarità allora, se quanto denunciato dai viticoltori del Carso fosse vero, un passo indietro sarebbe d’obbligo. Per far sì che proprio la territorialità esca indenne da questa diatriba. Ancor più in una regione che, proprio pochi giorni fa, ha lanciato definitivamente il progetto integrato per accrescere l’enoturismo. Un’unica strada per i turisti sia dunque anche un’unica strada per il suo vino. Insomma, che si trovi la soluzione giusta perché scudo ed alabarda restino solo il simbolo di questa regione simbolo del vino italiano. 

 

 

Crediti fotografici: Seconda foto dall’alto Ivo83 – Flickr CC