La prestigiosa rivista di business Fortune, stila la classifca delle 20 donne che stanno cambiando il mondo dell'agroalimentare: dalla frutta al vino sono loro il segno del cambiamento. Quattro quelle che segnano il passo nella viticoltura

Venti donne che stanno rivoluzionando il mondo del food&wine. Nella classifica, stilata anche quest’anno dalla rivista Fortune, una delle più importante riviste di business che fa capo alla Time Inc.’s che vanta una storia quasi centenaria (è stata fondata infatti nel 1930 da Henry Luce, lo stesso che diede vita proprio al Time, alla rivista Life e a Sports Illustrated), italiane non ce ne sono.

E questo dispiace sebbene due precedenti li abbiamo e uno dei due ha a che fare proprio con il vino (nel 2015 per aver portato l’azienda verso la sostenibilità, tanto da essersi guadagnata il triplo riconocimento Iso per responsabilità ambientale, sociale ed etica, 11esima si era infatti classificata Cristina – Mariani May, co-amministratore delegato dell’impero vitivinicolo del Castello Banfi).

Il vino, anche quest’anno, non fa mancare la sua presenza nell’elenco pubblicato dal magazine per il quarto anno consecutivo.

Venti donne che stanno cambiando o lo hanno già fatto, il nostro rapporto con il cibo e con ciò che beviamo. Un gruppo di imprenditrici, così vengono definite, “attive e idealiste” che con i loro marchi stanno rivoluzionando il settore. Cosa ci ha colpito? Non soltanto il fatto che, probabilmente inevitabilmente, donne del vino ce ne siano e in vesti molto diverse, ma a destare il nostro interesse sono state le tematiche. Sostenibilità, territorialità, innovazione tecnologica, cooperazione, condivisione e solidarietà. Parole che usiamo ormai nella normalità, ma in quanti riescono davvero a trasformarle in realtà socialmente ed economicamente tangibili? Queste 20 donne lo hanno fatto ed alcune sono davvero straordinarie!

 

Fortuna Wine & Food: quando il vino è sinonimo di integrazione e internazionalizzazione

 

wine ntsiki-bei-stellekaya

Ph: wikipedia – foto contrassegnate per essere utilizzate

 

Partiamo dalla numero 8, non solo perché il suo essere “innovativa” ha a che fare con il vino, ma soprattutto perché la sua innovazione ha a che fare con una vera piccolla (e neanche tanto) rivoluzione. Una rivoluzione culturale ed eco-consapevole. Parliamo di Ntsiki Biyela, enologa e proprietaria della Cantina Aslina, in Sud Africa. Proviamo per un attimo ad uscire dal nostro mondo e pensiamo di essere donne di colore in un Paese dove nel vino lavorano più di 290 mila persone, ma a capo delle cui aziende, di neri, ce ne sono solo 50. Uno solo di questi è donna: lei. Sarebbe già abbastanza per considerare Biyela una rivoluzione. Ma non è sufficiene.

Cresciuta in un villaggio rurale della provicnia di KwZulu-Natal, giovanissima ha vinto una porsa di studio proprio riguardante la vinificazione presso la Stellenbosch University. Ha iniziato così un percorso che di discrimanzione deve averne vista un bel po’. Ma lei ha continuato e nel 2003 ha iniziato a lavorare come assistente vinicola nella cantina Stellekaya. Messasi in proprio ha iniziato a produrre il suo di vino. In poco tempo sono arrivati i riconocimenti internazionali. Nel 2009 è stata nominata Wine Winemaker dell’anno in Sud Africa.

 

L’importanza della collaborazione e del mondo digitale

Ha iniziato a collaborare con Helen Keplinger, produttrice americana e Wine Maker dell’anno del Food&Wine e Mika Bulmash. Lei è a capo del Wine of the Word. Si tratta di una società d’importazione internazionale che lavora soltanto con produttori di vini artigianali di tutto il mondo. Una mission, quella della Bulmash, che tocca proprio quei temi di cui tanto si parla insomma: sostenibilità e solidarietà tanto per dirne un paio.

Producendo vino eco-compatibile il passo perché la sostenesse nel raccogliere fondi per la sua impresa, è stato breve. Ntsiki, oggi, è una viticoltrice di spessore. Vince premi, viaggia, esporta e ha fatto crescere il suo brand. Impresa impossibile se il mondo non fornisse le giuste tecnologie. Lei ha imparato bene ad utilizzarle, restando però, a casa sua. Ed ecco il tema della territorialità. Sì perché la Biyela la sua azienda l’ha resa “pubblica”. Tra i suoi filari, infatti, sono tanti gli studenti che vanno ad imparare e lavorare. Retribuiti, apprendono e sono già proiettati verso il futuro della viticoltura sudafricana nel mondo. Che dire? Complimenti!

 

Fortuna Wine & Food: la vera rivoluzione è nella marketplace economy

 

wine frutta

 

La classifica vale la pena di leggerla tutta. I temi, lo abbiamo detto, sono tutti strettamente legati alla sostenibilità, un esempio è quello di Aprli Bloonfield che al bisogno di “naturalità” espresso dai consumatori, ha risposto creando ristoranti e hotel che sono veri e propri paesaggi agricoli con tanto di animali, o la prima classificata, Katherine Miller che sta educando i cuochi a diffondere la cultura del riciclo e il mangiar sano, o Lori Silvebush che con la tecnologia è riuscita a realizzare una piattaforma con cui la gente può dare consiglie e dialogare direttamente con le autorità per dibattere di alimentazione, ma la donna che ci ha colpito di più è Christine Moseley, fondatrice e CEO di Full Harvest che, nella classifica, si è guadagnata l’argento.

 

La vera rivolzione è nella marketplace (o platform) economy

La sua attività è tutta fondata sulla marketplace economy! Quella di cui si occupa anche la nostra Start Up e che sta letteralmente rivoluzionando il mondo dell’economia tradizionale, a cominciare dalla comunicazione per finire, ovviamente, al vino. Opportunità che, ne abbiamo parlato in un ampio articolo, l’Italia deve cogliere e in fretta. La sua, di azienda, opera in B2C, ma è uno degli esempi validi sul come questa nuova visione stia rivoluzionando il mondo del food&wine e di come anche nel B2B possa rappresentare la chiave di volta.

L’idea alla Moseley è venuta quando si è chiesta che fine facessero tutta la frutta e la verdura destinata ad essere buttata perché formalmente imperfette. Ha creato un marketplace, ha invitato i produttori a registravisi e gli ha chiesto di metterci dentro la loro merce. Oltre a ridurre i rifiuti il programam si è dimostrato vincente per produttori e compratori. I primi perché hanno tratto guadagno da merce che non avrebbero mai venduto. I secondi perché spendono meno per prodotti comunque di qualità. Il tutto condito con una nuova concezione della logistica e, di conseguenza, della distrubuzione.

Solo a luglio Full Harvest ha venduto oltre un milione di sterline in prodotti e etnro fine anno la Moseley è certa di quaduplicare il guadagno. “Tutto è automatizzato per risparmiare denaro, tempo, e carta. Dall’ordine ai pagamenti tutto è online”.

 

Fortuna Wine & Food: l’innovazione “sostenibile” e la capacità di avere un’ampia visione

 

wine sonoma

Ph: vigneti a Sonoma

 

Torniamo alle “donne del vino”. Le altre tre entrate nella classifica di Fortune si sono piazzate rispettivamente al 12esimo, al 15esimo e al 19esimo posto.

 

Se Silivon Valley del vino è a Sonoma

La prima, americana, è Karissa Kruse, presidente del Sonoma Winegrowers Kruse. Si tratta di un’organizzazione educativa e di marketing nata con l’intento di promuovere e far incrementare la produzione di uva nell’intera regione. L’arrivo della Kruse ha fatto sì che l’idea di “sostenibilità” non fosse un’idea soggettiva e cioè che fossero le singole aziende produttrici a decidere che le loro uve lo fossero, ma ad avviare un processo di consapevolezza con un obiettivo preciso: diventare la prima regione degli Stati Uniti 100% sostenibile.

Un percorso intrapreso nel 2014 e che, tre anni dopo, ha già “converito” l’84% dei vigneti. Non solo. Ma lo ha fatto all’insegna della territorialità. L’88% delle persone che lavorano nel settore, infatti, è del luogo e il 75% ha famiglia. Ciò vuol dire che l’economia è locale, ma lavora in un ottica globale. Quello che sta costruendo è un vero e proprio micromondo dove la tecnologia è l’elemento che permette di viaggiare nel mondo, ma dove la forza lavoro diventa la forza di un’intera comunità.

Non solo. A settembre è nato anche il Centro della Contea di Sonoma per la sostenibilità. Un think thank che darà borse di studio e porterà due volte l’anno a Sonoma esperti dei più svariati settori per discutere, trovare soluzioni e proporre innovazioni, tali da accrescere maggiormente il valore del vino del posto. L’idea è quella di fare in agricoltura, e nello specifico nella viticoltura, quello che è stato fatto per la tecnologia nella Silicon Valley e la tecnologia, ne siamo certi, giocherà un ruolo importantissimo.

 

Se il “vino naturale” diventa una visione globale

Sono due francesi le altre due donne “innovative” del 2017 nel settore food&wine per il magazine Fortuna. La prima è Isabelle Legeron, rappresentante (unica per la precisione) della Francia nel mondo dei Master of Wine. Avete presente i vini naturali? Sappiamo che il loro trend è in continua crescita. Sappiamo che anche in Italia sono sempre più apprezzati e sappiamo anche che, in Italia, gli eventi ad esso legati sono sempre di più. Cosa manca? Forse quella compattezza tra i produttori che hanno invece dimostrato i cugini d’oltralpe. La volontà di fare di questa scelta non solo un business, ma anche una mission sociale, ha infatti permesso alla Legeron di organizzare una delle più importanti fiere del settore: il Raw Wine. un evento che celebra i vini naturali e biologici e promuove la trasprarenza in tutta l’industria.

In un mondo dove l’economia viaggia sempre più low – coast creando concorrenzialità spesso sleale, la Legeron inverte la tendenza. Per lei, la missio, è incoraggiare i bevitori a spendere di più per vini prodotti naturalmente. Una battaglia in salita, afferma, eppure ad anni di distanza, si è dimostrata vincente e, anche in Italia, lo testimoniano le preferenze dei consumatori.

 

Se una donna si mette a capo di una delle più “antiche” e importanti aziende vinicole della Borgogna

Il carattere innovativo, in questo caso, è decisamente ereditario. Leggendo il nome Veronique Drohuin-Boss, infatti, la mente va subito ad una delle più importanti aziende vitivinciole della Borgogna. Un vero e proprio mito, ammettiamolo. Lei è la rappresentante della quarta generazione di una delle cantine simbolo del vino nel mondo. La sua rivoluzione? Aver dimostrato, se ancora ce ne fosse bisogno, che le donne sanno gestire benissimo aziende di un settore che, fino a qualche anno fa, sembravano essere un fatto tutto maschile.

Non solo si occupa della produzione “a casa”, ma la Drohuin è anche impegnata a gestire le vigne di famiglia in Oregon. Azienda, questa, che proprio lei ha recentemente ampliato acquistando altri 279 di acri destinati a vigneto che hanno già immesso nel mercato le prime bottiglie prodotte. Un bell’esempio soprattutto per la cara vecchia Europa dove resistono ancora, le nostre Donne del Vino lo hanno messo nero su bianco, una visione a volte troppo sessista dell’imprenditoria “in rosa”.

 
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