Imprenditori illuminati che quando tutti abbandonavano la terra hanno scommesso su di essa. La viticoltura in Italia è una storia di lungimiranza e sacrificio. “La più grande rivoluzione di successo dopo l’Unità d’Italia”. Una Lectio Magistralis che andrebbe insegnata nelle scuole, ancor più negli istituti agrari, quella che lo storico Zeffiro Ciuffoletti ha tenuto a Montalcino dove ha ricevuto il Premio “Città di Montalcino” per la Storia della Civilità Contadina 2017.

L’ha riportata WineNews. Uno spaccato di un’Italia che ai giovani va insegnata e che i grandi devono riscoprire perché tutti ne comprendano il valore e ne traggano ispirazione. Una lezione che vale la pena leggere. La pubblichiamo con enorme piacere.

 

Viticoltura italiana: la storia di chi nella campagna ha creduto quando tutti l’abbandonavano

 

viticoltura in Italia cartolina-contadina

Ph: una cartolina di fine ‘800 con stampata l’immagine di una contadina dell’epoca

 

“Una storia che va raccontata, ma prima ancora studiata. Lo dico sempre ai giovani, perché ha coinvolto le scelte e il lavoro di imprenditori agricoli grandi e piccoli, migliaia di persone che hanno rischiato e lavorato rimanendo attaccati alla campagna, anche quando la stragrande maggioranza l’abbandonava, e l’Italia da Paese agricolo diventa Paese industriale. I numeri per spiegare questo grande processo di trasformazione e il successo della viticoltura, non sono tutto, ma tuttavia contano”.

“Al momento dell’Unificazione nazionale – ha spiegato Ciuffoletti -, nel 1864, la prima statistica del Regno riportava che l’Italia esportava 322.841 ettolitri di vino prevalentemnte d ataglio, mentre la Francia esportava sopra i 3 milioni di ettolitri di vini di qualità, che dominavano il mercato mondiale. Ecco perché dopo l’Unità d’Italia, la viticoltura è stata la ppiù grande rivoluzione di successo del nostro Paese”.

 

Viticoltura italiana: grandi uomini e vigne. Le radici di un rapporto fatto di magia e lungimiranza

 

viticoltura in italia ramo-vigneto

 

Un viaggio nella storia d’Italia. Una storia dove personaggi illustri e viticoltura si intrecciano affondando saldamente le radici di una relazione capace di trasformare il Paese in modo indissolubile. “La politica, l’agricoltura, il vino, il paesaggio, sembrano studi diversi – ha aggiunto -, non è così nella storia italiana. Penso ai grandi statisti come Bettino Ricasoli e Luigi Einaudi, tra le figure più celebri ma non le uniche, che quando non si occupavano di politica, si dedicavano al vino e all’agricoltura”.

“Dovrebbe essere così ancora oggi”, ha sottolineato il docente di Storia Contemporanea all’università di Firenze. “Il vino non è una bevanda qualsiasi, ha radici antiche nelle nostre terre, e l’attenzione degli storici, come dei politici, alle sue vicende, deve essere continua”. Un’attenzione che spesso, lamentano i produttori stessi, manca e le vicende degli Ocm, risolta in extremis, o quelle legate alla burocrazia ne sono ancora la prova, nonostante la volontà di cambiare simboleggiata dalla nascita del Testo Unico del Vino e della Vite.

“Il vino – ha aggiunto Ciuffoletti – non vuol dire la stessa cosa da sempre. Cambia, e c’è sempre stato posto nella sua storia per i cambiamenti di gusto, di tegnologie, oggi climatici, ai quali occorre intelligentemente adattarsi con lo studio ed il ragionamento e non con l’intolleranza”.

 

Viticoltura italiana: una rivoluzione nata dal bisogno di fare di virtù necessità

 

viticoltura in Italia vigna-uva

 

Una rivoluzione, d’altra parte, non arriva per caso, ma perché il caso spinge spesso a fare di virtù necessità. “Fu lo stato di assoluta inferiorità – ha raccontato lo storico – a spingere alcuni impenditori e proprietari illuminati a dare impulso in avanti alla viticinicoltura italiana, a partire proprio dalla Toscana con l’esempio di Ricasoli nel Chiatni, di Vittorio degli Albizi a Pomino e Nipozzano e con Emanuelino Fenzi tanto lodato dall’enologo Giacmo Tachis per i 25.000 vitigni francesi impiantati nella Fattoria di Sat’Andrea in Percussina a San Casciano Val di Pesa”.

In un’epoca in cui tutto va veloce, fin troppo, bisogna ricordare che “le vere rivoluzioni procedono lentamente ma costantemente. Cioè richiedono sforzi e impegno di generazioni di proprietari, di agricoltori, di tecnici, di amestranze, nonché di scelte appropriate”.

Sono state tutte queste cose a far sì che oggi, a 150 anni dall’Unità, l’Italia sia primo produttore al mondo.

 

Viticoltura italiana: i grandi produttori devono avere le radici nel territorio, ma la mente rivolta al mondo

 

viticoltura italiana modernita

 

Essere primi però non è sufficiente. “Conta la produzione – ha infatti aggiunto Ciuffoletti -, ma più conta il commercio”. O meglio l’export. “Era questa la sfida Di Ricasoli come di Tachis, e per questo occorre produrre vini di qualità, garantiti dalle denominazioni di origine, ma anche dal brand. E ricorda anche i numeri del vino italiano che nel 2016 ha fatturato 12 miliardi di euro grazie a 310 mila aziende e una forza lavoro di 1,25 milioni di addetti. L’export continua a crescere ed è arrivato a 5-6 miliardi. Dato che pesa ancor di più in un momento in cui la flessione è tutta nel mercato interno.

I grandi vini italiani devono avere le radici pulsanti nel territorio, ma la mente rivolta al mondo. Qualcuno pensa che questa intensità della viticoltura muti il paesaggio. In realtà il paesaggio italiano, e toscano in particolare, è stato fatto più dall’uomo che dalla natura”. Una verità che nell’800, ricorda, scrisse nero su bianco Carlo Cattaneo. “Sarà l’uomo ancora oggi, a cercare gli equilibri e la compatibilità. Non si dimentichi però che la viticoltura ha salvato i paesaggi collinari toscani, così delicati negli equilibri idro-geologici, minacciati dall’abbandono. Mantenere il bel paesaggio della mezzadria è un pensiero bello è impossibile. E’ finita da mezzo secolo. La storia non conosce la marcia indetro se non come catastrofe”.

 

Come direbbero gli antichi è una questione di “misura”

“La bellezza dle paesaggio toscano è un valore aggiunto, che spinge in alto l’unicità delle nostre produzioni, vino in primis. Per questo – ha concluso lo storico – bisogna trovare il giusto equilibrio. Non è mai quello della ‘mitica natura vergine’ ma quello che viene dalla cultura dell’uomo. Dalle sue necessità economiche, ma anche dal senso antico e classico, quello della misura, vero segreto del Rinascimento. Senso della misura e senso del limite che oggi si stanno perdendo. Facciamo sì che dalle meravigliose campagne parta il messaggio per recuperarli come filosofia di vita, da additare e tramandare alle nuove generazioni”.

L’appello, insomma, è al senso di responsabilità possibile solo laddove si comprenda l’importanza di amare il territorio, la sua bellezza e i suoi frutti che l’uomo ha il compito di custodire e allo stesso tempo valorizzare.