Dalle neuroscienze alla neurogastronomia il passo è stato breve. E il vino è il candidato ideale per alcune curiosità ed esperimenti.

Dalle neuroscienze nasce la neurogastronomia, termine coniato dal famoso ricercatore Gordon Shepherd. Gli studi di Shepherd si sono concentrati sul capire come il nostro cervello percepisce attraverso i sensi. Per saperne di più ha messo in atto diversi esperimenti fra i quali uno semplicissimo, da poter fare anche a casa. É il famoso “esperimento della molletta”. Magari qualcuno lo faceva da bambino per giocare, e ora può sembrarci banale, ma non lo è affatto. Anzi ciò che c’è dietro è un meccanismo molto interessante. Chiudersi il naso con una molletta per i panni, o con le dita, e provare ad assaggiare un cibo o una bevanda. Accade che i sapori che riusciremo a percepire con il naso chiuso, saranno sbiaditi, alcuni non li percepiremo affatto. Questo semplice esperimento è in realtà alla base di un funzionamento molto complesso chiamato olfatto retronasale. E il nostro cervello lo mette in atto di continuo.

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Le molecole dell’odore riescono ad alterare i recettori e cambiare la loro attività.

Le molecole degli odori sono infatti portatrici di informazione e stimolano i recettori olfattivi nella nostra cavità nasale. I recettori trasmettono così l’informazione al nostro cervello.
E le molecole vengono tradotte in una sorta di immagini dell’odore.

Ma non finisce qua. La neurogastronomia ci dice che con i sensi si possono fare moltissime cose. Prendiamo l’esempio delle degustazioni alla cieca. Un po’ come una sorta di vero e proprio appuntamento al buio con i nostri amati vini, possiamo organizzare assaggi escludendo per esempio la vista. In questo modo ci saranno meno distrazioni, e ci si potrà concentrare meglio su aromi e sensazioni gustative. Infatti circa il cinquanta per cento dei nostri neuroni è deputato alla vista. Ma ciò che noi percepiamo come esperienza è in realtà una percezione gestaltica. Ovvero la visione d’insieme dell’esperienza che abbiamo, in questo caso del vino, non è solo il frutto di una semplice somma delle singole percezioni. É invece una sorta di visione d’insieme strutturato. Esiste infatti un rapporto intrinseco fra queste singole percezioni affinchè si realizzi un’esperienza complessa.

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Il nostro cervello è continuamente sollecitato dai nostri sensi e l’organizzazione delle sue attività ne viene influenzata.

I poeti, in maniera empirica, con le loro sinestesie, lo sapevano benissimo. Ma anche gli esperti di marketing pare lo sappiano molto bene. Non dobbiamo meravigliarci quindi se lo Champagne oltre ad essere bevuto si ascolta. Sì, avete letto bene, si ascolta. Il bruit du Champagne è un vero stimolo sensoriale a completamento dell’esperienza degustativa. La prossima volta, quando ve ne versano un calice, chiudete gli occhi e concentratevi sull’inimitabile sequenza di suoni prodotti dal tappo e dall’effervescenza che si sprigiona nel bicchiere. Non potrete più farne a meno!

E vi sentirete un po’ più neurogastronomi anche voi.