Una ricerca ha dimostrato come la territorialità faccia la differenza nel quanto saremmo disposti a pagare per un vino. Per i 'profani' non è il gusto a fare la differenza, ma la comfort zone.

Quello in cui ci siamo imbattuti è uno studio decisamente interessante; uno di quelli che gli esperti di marketing e, in realtà, tutti i professionisti del vino, dovrebbero approfondire per comprendere quanto ormai è importante promuovere sì il brand, ma farlo in modo che risulti il territorio, l’elemento che lo identifichi.

L’esito in qualche modo poteva essere atteso, ma quel che conta è l’insegnamento che bisogna trarne. Ancor più in Italia: Paese che del vino ha mille sfaccettature fatte non solo di grandi nomi e grandi vini, ma anche di tante piccole eccellenze che con il recupero delle antiche varietà sta tracciando un sentiero importante che, se ben veicolato, potrebbe trasformarsi in una vera e propria autostrada per il nostro export. Ancor più quando il nostro prodotto è destinato in Asia. La regola è una sola: farsi conoscere…farsi conoscere…farsi conoscere!

Lo studio lo conferma: non è il gusto a fare la differenza, ma la provenienza, almeno quando si tratta di normali winelovers e non di grandi esperti di vino! Ed è quella a spingerci a pagare di più!

 

Ma quale gusto: il valore di un vino lo giudichiamo in base a quanto ne sappiamo della sua provenienza

I fattori estranei al gusto hanno maggiore influenza su quanto i consumatori sono disposti a spendere per una bottiglia di vino. A rivelarlo è una ricerca condotta da esperti di Hong Kong, Corea, Washington State University (WSU) e Università del Minnesota. Una ricerca accurata condotta in tre fasi tra un gruppo di volontari.

Sei i vini finiti nell’esperimento, tre rossi e tre bianchi, provenienti da sei regioni diverse: Western Cape (Sud Africa); Iowa (Usa); Rheingau (Germania); Roja (Spagna); Winsconsin (Usa) e Argentina.

Inizialmente è stato chiesto di degustarli alla cieca. Ovviamente ai partecipanti sul vino non è stata data nessuna indicazione. Al secondo assaggio, invece, è stato comunicato il Paese di origine del vino. Infine, nella terza fase, sono state fornite tutte le informazioni che lo riguardano: varietà di uva, regione e cantina di origine. In ognuno dei tre momenti è stato chiesto quindi di scrivere quanto avrebbero speso per acquistare il vino appena degustato. Il risultato è stato sorprendente!

Qualcuno è rimasto decisamente sconvolto dal fatto di aver dapprima dato un valore elevato ad un vino del Winsconsin, per poi scoprire che allo stesso vino, una volta saputa la provenienza, avesse al contrario attribuito un valore economico nettamente inferiore. Eppure il vino era lo stesso! Perché? Beh i ricercatori una spiegazione l’hanno data.

 

Alla cieca un vino ‘sconosciuto’ lo valutiamo più o meno, rispetto a quando ne scopriamo la carta d’identit

“La maggior parte dei vini – ha affermato Byron Marlow, assistente universitario dell’Hospitality Business Managment presso la WSU Tri-Cities che è tra gli ideatori dello studio – ha avuto un’ottima valutazione economica nella prima fase. Mano a mano che se ne scopriva la provenienza e in seguito le altre informazioni, i prezzi sono cambiati: si sono elevati quando si trattava di una provenienza nota e abbassati se invece provenienti da zone scarsamente conosciute.

“All’improvviso – aggiunge – quando i partecipanti hanno scoperto che stavano bevendo un vino del Midwest, da dove abitualmente provengono vini prodotti con varietà di uve fredde e resistenti, la loro decisione è stata quella di valutarlo con un prezzo inferiore rispetto ad un altro che, al contrario, arrivava da una regione più nota e blasonata”.

Una tendenza rilevata soprattutto tra i bevitori meno esperti. Sono loro quelli che si lasciano condizionare di più dalle informazioni sul vino piuttosto che dal suo sapore.

 

Quanto spenderemmo dunque per un vino? Dipende da quanto ci fa sentire nella nostra comfort zone

Ma c’è davvero da stupirsi? Probabilmente no. Inconsciamente siamo tutti spinti a valutare con favore ciò che conosciamo. E’ la nostra zona sicura. Lo è in tutte le cose della nostra vita. Se sperimentare ci piace, la comfort zone è quel luogo in cui non proviamo alcun disagio. Ciò che conosciamo, insomma, ci fa dare un giudizio positivo se quel qualcosa è conosciuto e possiede una reputazione degna di apprezzamento. Al limite, anche se soltanto per noi.

Ecco che allora questo studio ha dei risvolti importanti se lo guardiamo dal punto di vista del marketing. Ancor più se il nostro interesse è rivolto verso i mercati asiatici. Una ricerca che non ha nulla di banale, e che ci dice molto sul concetto di “reputazione e fedeltà” nei confronti di un prodotto. Laddove si continua a parlare di “fare rete” per estendere ed amplificare le opportunità di posizionamento di un prodotto sul mercato, è necessario comprendere quanto sia vantaggioso sfruttare il buon nome del territorio, in particolare quando ciò che viene proposto mostra un legame fortemente connesso con il suo luogo di origine, come per il vino. La notorietà del territorio è quindi il parametro probabilmente più efficace tra tutti gli altri e costituisce una vera e propria piattaforma di lancio per contraddistinguere un brand e consentirne l’affermazione verso il pubblico.

La territorialità è il contenuto che conferisce valore aggiunto e notorietà globale ad una etichetta di vino; la platform economy è lo strumento che permette alle cantine di coglierne i benefici. 

Se è vero che comunicare informazioni e contenuti connessi ad un prodotto, come abbiamo visto la territorialità è probabilmente quello più efficace per il vino, porta apprezzabili vantaggi, è fondamentale che siano accessibili gli strumenti per mettere in pratica tale attività. Soprattutto ai piccoli produttori, i nuovi canali di business digitale possono conferire un supporto importantissimo per raggiungere tutte le nicchie di mercato, sia per target che per localizzazione. La tecnologia permette oggi di stabilire e sviluppare relazioni, ampliare conoscenze e interagire con utenti di ogni settore a costi contenuti e senza la necessità di dover operare ingenti investimenti, grazie alla “open Innovation”.

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