Su Wine Searcher un viaggio trasversale, dal Trentino alla Sicilia, alla scoperta di alcune di quelle aziende che hanno trovato il futuro nel passato

Quante volte abbiamo scritto di fantastici ritrovamenti di anfore in fondo al mare che ci raccontano l’antica storia del vino e della sua esportazione? Tante. Il fascino dell’antico è cosa nota, ma l’antico, a volte, è incredibilmente moderno.

Ecco che allora l’Italia è di nuovo protagonista con Wine Searcher che, proprio alla riscoperta di queste antiche tecniche di vinificazione dedica un bellissimo articolo che attraversa il Bel Paese dando voce ad alcuni di quei produttori che, su questa tecnica hanno puntato…anche in forma “mista”.

Una riscoperta dietro cui c’è una grande lezione: il passato può essere una delle chiavi con cui guardare il futuro, soprattutto in termini di ecosostenibilità.

 

Vino in anfora, una storia antica che affascina e rivive. Tra i pionieri c’è Josko Gavner…a due passi dalla Slovenia!

Ci vorrebbe un’enciclopedia (che non non saremmo neanche in grado di rendere esaustiva) per ripercorrere la storia della vinificazione in anfora. Certo è che la loro storia è antica almeno 8mila anni e che i materiali con cui queste venivano realizzati erano diversi, a cominciare dall’argilla, con contenitori capaci di andare dagli scarsi 50 litri di capienza ai 2mila.

Una storia che affascina e che ha colpito anche i produttori italiani. Sono ormai decine quelli che hanno scelto la vinificazione in anfora seppur più complessa data l’importanza della lavorazione manuale che ha. Tra i pionieri, ricorda bene Wine Searcher, c’è sicuramente Josko Gravner che nelle sue cantine di Oslavia, in Friuli e a pochi passi dalla Slovenia, i primi vini prodotti nelle anfore li ha lanciati sul mercato nel 2011 e oggi ha anfore che arrivano a contenere 2mila litri di nettare di bacco.

Lui si è affidato a quella che era la tradizione Georgiana: sotterrare le anfore per far maturare bianchi e rossi. Il risultato? Grandi vini come il Gravner Rosso e la sua Ribolla che è diventata, come sanno bene anche all’estero visto che lo sottolinea anche l’articolo cui facciamo riferimento, uno dei vini più iconici d’Italia.

 

Da nord a sud la vinificazione in anfora per tutti ha un valore importante e tutto è fuorché una moda

Cantina che vai…anfora che trovi! Se pensate che parlare di qualcosa di antico significhi parlare di qualcosa di semplice…vi sbagliate di grosso. Se è vero che la gran parte dei produttori opta per la terracotta realizzata con l’argilla toscana, c’è anche chi quelle spagnole: le cosiddette tinajas.

E’ il caso, ad esempio, della cantina siciliana Cos (a Vittoria) e della trentina Foradori (che si trova a Mezzolombardo). Le anfore migliori per loro, come spiegano a Wine Searcher Biagio Danilo Destefano (Cos) e Emilio Zierock, enologo di Foradori. Per il primo il vantaggio è nella minor porosità che permette di meno micro-ossigenazione, per il secondo hanno una pulizia e una luminosità unica e, soprattutto, non inficiano in alcun modo il sapore del vino.

 

In Abruzzo tante le aziende che hanno scelto questo tipo di vinificazione, ma c’è anfora e anfora!

Ci sono poi le anfore non anfore o meglio della anfore che, spiega chi le usa, sono capaci di non far correre il rischio di dare al vino il sapore di terracotta. Ad utilizzarla è la Fattoria Nicodemi, cantina teramana (Abruzzo). Le sue anfore sono di “cocciopesto” e le realizza la toscana Drunk Turtle. Non sapete così il cacciopesto? A Wine Searcher lo ha spiegato Elena Nicodemi. Si tratta di un materiale che unisce argilla, sabbia e ghiaia e ha migliaia di anni. Non solo era utilizzato per la vinificazione, ma anche per rivestire acquedotti e terme scopriamo. La sua caratteristica principale? Quella che abbiamo detto: conserva…ma non influenza!

Ad oggi la cantina ha utilizzato questa paricolare anfora per uno dei sui Trebbiano che si chiama proprio Cocciopesto, ma quest’anno dovrebbe arrivare la prima bottiglia di Montepulciano vinificata secondo questa antica tecnica.

In Abruzzo, tra le nuove generazioni, l’uso delle anfore piace e parecchio. Sempre da queste parti infatti c’è Francesco Cirelli, che la sua azienda ce l’ha sempre in provincia di Teramo, che nelle anfore di terracotta ci mette Trebbiano, Montepulciano e Cerasuolo. Il contenitore migliore, anche per lui, per vinificare, perché “molto minimale, neutro e in grado di esprimere il vero gusto autentico delle mie uve in quel particolare terreno e in quella particolare annata”.

Anche nella provincia di Pescara c’è chi ha fatto questa scelta e ha creato una vera e propria linea di vini maturati in anfora, interamente o parzialmente. La linea è la la Fosso Cancelli (Trebbiano, Pecorino e Cersauolo), e a realizzarla è Chiara Ciavolich. Per lei, così, i vini raggiungono maggiore complessità e profondità.

 

All’avanguardia anche il Piemonte dove in tanti puntano su una doppia tecnica di vinifazione. Per tutti un obiettivo unico: dare qualità!

Tra le altre regioni dove molto in voga è tornata la vinificazione in anfora c’è il Piemonte. Diverse le voci ascoltate da Wine Searcher a cominciare dall’enologo Adriano Moretti dell’azienda Bajaj dove si producono Arneis, Nebbiolo e barbera in Anfora. Il suo è uno scopo nobile: far conoscere, con questo tipo di vinificazione, “la terra autentica del Roero”.

A Serralunga D’Alba c’è poi uno dei pochi produttori che in anfora ci mette niente meno che il Barolo, anzi la Riserva: è Paolo Manzone. Un’anfora particolare anche la sua, di terracotta ma rivestita con una vernice speciale che si “cuoce” come ceramica. Porosità bassissima e un’ottima protezione per regalare vini d’eccellenza. L’anfora è l’ultimo passaggio nel caso del Barolo di Manzone. Prima, infatti, il vino invecchia per tre anni in grandi botti di rovere e prosegue al sua evoluzione in anfora.

Restiamo in zona perché, sempre da queste parti, c’è Enrico Rivetto, produttore di Nascetta, varietà bianca piemontese, che aveva iniziato a produrre proprio questo vino solo in anfora, ma che ha poi scoperto che una doppia tecnica era in grado di valorizzarlo ancora di più. La sua Langhe Nascetta viene così miscelata per il 30% in anfora per il 70% in cemento. La prima dà corpo, la seconda permette di non avere troppe qualità ossidative nel vino.

Insomma, le tecniche sono diverse, ma certo è che tutti puntano a dare maggiore qualità. E non è forse questo l’obiettivo che conoscenza e innovazione permettono di raggiungere?