A ridosso del Vinitaly i dati Iri avevano scattato una fotografia ben precisa del rapporto degli italiani con il vino. Beviamo meno, ma puntando sulla qualità. Oggi il rapporto Federvini Censis lo conferma sottolineando però due aspetti determinanti: se il calo c’è è comunque in crescita rispetto al passato, ma quel che davvero va tenuto sotto controllo non è la crisi dei consumi che tende a trovare un nuovo equilibrio. A preoccupare è quella dei “valori” economici, superabile solo attraverso l’esaltazione di quelli immateriali che nel nostro panorama vitivinicolo sono tanti e tutti estremamente significativi a cominciare dalla tanto decantata biodiversità.

 

Vino è cultura: i consumi crescono tra chi in un calice vede molto più del suo contenuto

 

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Proprio così. Non sappiamo quali sono i vostri ricordi d’infanzia, ma nei nostri ci sono i nonni. Quelli che un bicchiere di vino, rigorosamente del contadino non troppo lontano da casa, era la degna conclusione di una giornata di fatiche. Il vino, da sempre, compare sulle tavole degli italiani, ma nel tempo il contesto che al suo consumo si accompagna è decisamente mutato.

Lo beviamo ancora sì, ma molto meno che in passato. Il 51,7% degli italiani continua a riempire il proprio bicchiere. E proprio il calice, in senso stretto, sembra non mancare nelle case di chi ama goderselo da solo o in compagnia. 28 milioni di persone gradisce ancora il nettare di Bacco. Il suo consumo, però, si lega strettamente alla sua qualità.

Secondo l’indagine di Federvini – Censis, infatti, solo il 6,8% opta per una scelta “low cost”. Il 93,2% degli italiani è disposto a spendere pur di portare in tavola un buon vino. Fortissimo il legame con il proprio Paese. Praticamente la stessa percentuale, e cioè il 92,1% di noi opta, nell’acquisto, per un vino Made in Italy con una netta preferenza per Dop e Igp (85%), come già ampiamente dimostrato dall’ultima ricerca Ismea. Il fatto che il 70,5% si affida al marchio aziendale la dice lunga sul fatto che la preferenza si lega ormai non solo alla tipologia, ma anche alla provenienza e la cantina che quel vino lo ha imbottigliato.

 

Vino è cultura: un motore che ha fatto muovere 24 milioni di enoappassionati

 

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Perché si può affermare che il vino oggi ha riscoperto un valore culturale che spinge al consumo? Beh non soltanto perché proprio il mondo del vino ha stretto un legame sempre più forte con l’arte trasformando le sue realtà in veri e piccoli nuovi mecenate, ma anche perché a berne sempre di più sono diplomati e soprattutto laureati.

In dieci anni, dal 2006 al 2016, la percentuale dei diplomati che consuma vino è passata dal 30,6% al 33,8%, quella dei laureati dal 35,5% al 39,5%. Un legame culturalmente così forte da aver conquistato anche i tanto agognati Millennials. Quelli che, si ritiene, rappresentano il futuro del vino e dei suoi consumi. Sono soprattutto loro ad aver preso parte alle attività organizzate da consorzi, associazioni e cantine. Nel complesso, nel 2016, sono stati 24 milioni gli italiani che si sono mossi per essere presenti in tali occasioni. Eventi, quali ad esempio l’imminente Cantine Aperte o sagre e feste locali, hanno conquistato 16,1 milioni di winelovers. Trattorie e ristoranti con importanti carte dei vini ne hanno ospitati 14,2. La scelta delle vacanze in località caratterizzate da un’imponente enogastronomia sono state scelte da 13,7 milioni di enoappassionati. La dimostrazione che il vino è cultura.

 

Vino è cultura: si torna a consumare un poco di più, l’export fa numeri, ma con i valori…non ci siamo

 

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Siamo lontani dai grandi consumi, ma seppur si beve meno che in passato si è tornati a bere un po’ di più dopo il crollo registrato tra il 2005 e il 2013. In questo arco di tempo, infatti, le famiglie italiane hanno speso il 21% in meno per il vino a differenza degli altri generi alimentari scesi comunque dell’11%. Tra il 2013 e il 2015 la tendenza si è invertita. Il recupero, ad oggi, è stato del 9%. 

Il tornare a crescere della spesa ha coinciso anche con un’importante crescita dell’export che tra il 2011 e il 2016 è salito del 27,6%. A trainarlo i vini Dop (+20,5% in quantità e +44,8% in valore) e le bollicine. Loro hanno decisamente fatto boom. Spumanti e Prosecco hanno infatti registrato un +85,1% in quantità e un +117,9% in valore. Non fatevi ingannare però. Se l’aumento della quantità significa affermazione della qualità del vino italiano nel mondo, le alte percentuali dei valori non lo sono poi così tanto. Basta guardare la media dei competitors. Il valore della produzione di vino in Italia è pari a 191,4 euro per ettolitro. In Francia è di 316,6 euro. In Germania a 207,7 euro.

 

Mancano idea d’impresa e comunicazione

Come ben afferma l’Osservatorio del Vino se il valore del nostro vino fosse pari a quello francese il nostro export non varrebbe 5,6 miliardi di euro, ma ben 12.

“Il quadro – ha quindi commentato il neo rieletto presidente Federvini Sandro Boscariniè sicuramente favorevole, ma si deve fare di più e meglio. Sarebbe oltremodo sbagliato adeguarsi alla logica del low cost. Dobbiamo stare ben lontani dal ricorrere alla leva del prezzo per puntare ai valori immateriali”. Valori identificabili con cultura e valorizzazione del territorio. Quello che ci vuole, afferma, è un “modello imprenditoriale e di comunicazione maggiormente adeguati ad un mondo globalizzato ed interconnesso”. D’altra parte l’enoturismo italiano ha un grande potenziale, ma le criticità sono ancora…troppe! Il vino è cultura!